1. Pur nei limiti dell’impostazione economica e culturale della Commissione Europea[1], l’UE ha proposto delle linee di politica industriale. All’inizio con il libro bianco di Delors, poi con la strategia di Lisbona (2000), con risultati in chiaro scuro, e recentemente con Europa 2020.
La crisi del 2007 ha modificato molte consuetudini e cliché culturali. Cresce la consapevolezza di dovere affrontare sfide inedite in termini di competitività, difesa ambientale, risorse energetiche e conoscenza; la Commissione prepara una comunicazione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni dal titolo “Una politica industriale integrata per l’era della globalizzazione. Riconoscere il ruolo centrale di concorrenzialità e sostenibilità[2]”. L’Europa definisce lo scenario di lungo periodo, mentre i programmi comuni operano in una logica di network continentali (anche in competizione tra loro); gli Stati nazione orientano la politica della ricerca e dell’innovazione; le autorità regolano-controllano la concorrenza nel mercato; gli enti locali creano le condizioni ambientali favorevoli per lo sviluppo.
Sono due i principali terreni d’intervento: il primo è legato alla conoscenza[3]; il secondo è legato alla tutela del mercato[4]. Questi tratti di politica industriale sono rafforzati con il vertice del Consiglio Europeo di Bruxelles dell’11-12 Dicembre del 2008 e, recentemente, dal progetto “A Stronger European Industry for Growth and Economic Recovery”[5]. Pur nell’autonomia degli Stati, le misure per affrontare la crisi devono agire sull’innovazione tecnologica per far fronte alla sfida energetica e ambientale.
All’interno di questo scenario economico, si inserisce il progetto di bilancio europeo 2014-2020[6]. La proposta di bilancio risente gravemente delle politiche d’austerità adottate dall’insieme dei paesi di area euro, anche se vi è una ridefinizione interna degli stanziamenti che porta ad una crescita del 37% per quelli dedicati alla crescita e al lavoro (che passano così dal 9% al 12% del bilancio complessivo). Certo, una inversione apprezzabile, ma del tutto insufficiente per realizzare gli obiettivi di Europa 2020 e la sottesa politica industriale, proprio perché in un quadro complessivo di politiche fiscali restrittive.
Inoltre, le politiche industriali europee hanno un limite: le diverse specializzazioni produttive dei singoli Paesi, che si amplificano con la moneta unica; a parità di condizioni (finanziarie e monetarie), sono proprio le politiche industriali pubbliche, la presenza di un tessuto produttivo privato innovativo e non ostile, a governare i cambiamenti tecnologici e condizionare le traiettorie dello sviluppo e la dinamica strutturale. In altri termini, i Paesi che hanno costruito e consolidato dei sistemi nazionali d’innovazione[7] capaci di fare ricerca e sviluppo, hanno anche saputo governare l’evoluzione delle componenti della domanda effettiva, producendo i beni necessari per le esigenze di una struttura produttiva e di consumo sempre più fondata su beni e servizi ad alto contenuto tecnologico, riducendo gli investimenti sul Pil, ma rafforzando la struttura di ricerca e sviluppo[8].
2. “L’Europa ha bisogno di invertire il declino industriale”, questo è l’incipit della comunicazione “A stronger european industry for growth and economy recovery” della Commissione al Parlamento europeo e alle altre istituzioni europee[9]. L’obiettivo dichiarato è quello di portare la produzione industriale dal suo livello attuale, intorno al 16% del Pil, al livello del 20% entro il 2020. Questa sarebbe l’unica via per conseguire uno sviluppo sostenibile e un lavoro ad alto valore aggiunto per affrontare le sfide sociali che si affacciano. Una sfida che deve essere risolta via investimenti, innovazioni e crescita della competitività, soprattutto nelle clean technologies che condizioneranno tutti i settori produttivi manifatturieri. L’impianto generale è mutuato da Europa 2020, con 6 particolari priorità, che si fondano su energia verde, trasporti eco-compatibili, nuovi metodi di produzione, nuovi materiali e sistemi di comunicazione sempre più avanzati. Viene dichiarato che “una base industriale più ampia è essenziale per una Europa più ricca e di successo”, nella quale “gradualmente la competitività sarà meno dipendente dalla dinamica dei differenziali salariali”. Molta enfasi viene posta sul ruolo della formazione professionale e sull’obiettivo di un un tasso di occupazione del 75% da raggiungere sempre al 2020[10].
La Commissione individua sei priorità dell’industria manifatturiera, da sviluppare entro il 2020, che intercettano le principali aree di sviluppo economico e tecnologico:
a. Le tecnologie avanzate per la produzione pulita intercettano un mercato promettente, stimato dalla Commissione in 750 mld di euro. I principali campi-settori di produzione sono legati all’utilizzo di beni strumentali ad alta efficienza energetica e utilizzo di materiali, legati profondamente a modelli commerciali sostenibili, che devono convergere verso il recupero dei materiali, calore e dispersione di calore. L’Europa (in realtà alcuni Paesi europei) rappresenta il 35% del mercato internazionale e quasi il 50% dei brevetti industriali;
b. Le tecnologie abilitanti fondamentali (KETs) hanno un mercato potenziale tra i 646 mld e 1 trilione di euro. Si tratta di micro e nanoelettronica, materiali avanzati, biotecnologia industriale, fotonica, nanotecnologie e sistemi avanzati per la manifattura. Ora rappresentano quasi l’8% del PIL europeo e coprono il 30% del mercato internazionale. Il vero nodo dell’industria europea è quello dell’industrializzazione della propria ricerca e sviluppo;
c. I prodotti provenienti da fonti rinnovabili presentano diversi vantaggi per l’industria e le ricadute ambientali. Infatti, i bio combustibili hanno dei vantaggi rispetto ai combustibili fossili: consumano meno energia, emettono meno anidride carbonica e composti organici volatili e producono meno rifiuti tossici. La Commissione stima un mercato di 40 mld di euro e potrebbe realizzare 90.000 nuovi posti di lavoro solo nella biomedicina. I principali settori sono la bioplastica, biolubrificanti, biosolventi, biochimica, ecc.;
d. La modificazione dei processi industriali e la riqualificazione dell’edilizia pubblica e privata, compreso il recupero delle materie prime, permetteranno di tagliare la bolletta energetica dell’Europa. Infatti, queste strutture utilizzano il 40% dell’energia Europa. Potenzialmente è un mercato da 35 mld di euro annuo. La Commissione propone di rafforzare gli standards (edilizi e dei processi di produzione) per influenzare l’offerta dei beni necessari per conseguire i risultati attesi;
e. Le predisposizioni di navi e veicoli sostenibili-ecologici condizioneranno lo sviluppo e la riconversione d’intere filiere produttive e infrastrutturali. I veicoli ibridi ed elettrici rappresenteranno almeno il 7% del mercato, per lo più concentrato nei mercati a capitalismo avanzato, condizionando la catena del valore industriale, dei modelli di business, nuove abilità dei consumatori, come d’infrastrutture adeguate[11];
f. Le reti intelligenti presuppongono lo sviluppo d’infrastrutture adeguate, legate alla rete elettrica, alla capacità di stoccaggio e bilanciamento dell’energia, con un mercato potenziale di 480 mld di euro per il 2035. Si tratta di riconfigurare una parte della produzione di elettrodomestici, caldaie, e altre soluzioni che configurano un uso appropriato dell’energia.
3. Insomma, Europa 2020 individua alcuni importanti obiettivi: la conoscenza e il suo uso a fini ambientali, la crescita economica senza emissioni di carbonio e l’impiego accurato delle risorse, l’efficacia sul piano dei costi sull’intero ciclo di vita dei beni e servizi. E per molti aspetti si tratterebbe di obiettivi perseguibili. Se la tecnologia Ict, che aveva un retroterra (militare) robusto, ha raggiunto il 7% del PIL, la green economy potrebbe effettivamente raggiungere i risultati definiti dalla Commissione. Ma vi è una profonda contraddizione tra le politiche industriali che servirebbero all’Europa e il quadro di regole di politica fiscale restrittiva – insomma l’austerity – entro cui tutto ciò dovrebbe svolgersi. Senza una svolta espansiva e l’abbandono delle politiche di austerità gli obiettivi di Europa 2020 resteranno sogni nel cassetto.