L’interpretazione maggioritaria della questione meridionale fa leva, da anni, su tanti consolidati luoghi comuni. Più di recente, gli stereotipi sul Mezzogiorno hanno conquistato la scena del dibattito sul declino italiano. Acquisito lo status di verità indiscutibili, interpretazioni parziali quanto strumentali della natura dualistica del Paese, forniscono presupposti erronei perfino alle analisi di raffinati osservatori della società italiana, che diventano narratori – più o meno consapevoli – di un racconto lontano dai numeri e dalla realtà.
L’ultima vittima (inconsapevole?) del luogo comune è Massimo Cacciari. Lo dimostra l’intervista dal titolo Cacciari «L’evasione resta solo al Sud, ecco come si frena il treno del Nord» pubblicata giorni fa dal Corriere del Mezzogiorno[1].
Il Nord è la locomotiva del Paese frenata dalla zavorra Sud. L’evasione fiscale è una prerogativa meridionale. Il peso eccessivo che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese è un dato oggettivo. Cacciari muove da queste tre «constatazioni di fatto» per proporre una lettura a dir poco semplificata del dualismo italiano, indicando, perentorio, la strada della ripresa: «O si ricomincia dalla locomotiva o non c’è ripresa. Mica possono essere i vagoni a portare avanti il Paese». Peccato che i tre fatti siano solo luoghi comuni smentiti dai dati.
Primo luogo comune. Il Nord è una locomotiva frenata da vagoni troppo affollati da meridionali evasori e spreconi. Le statistiche Eurostat sull’andamento del PIL pro capite nelle regioni europee raccontano una storia diversa che troppo a lungo, e in maniera strumentale, è stata sottaciuta. Negli anni del declino nazionale, si è verificata la caduta parallela delle economie di Nord e Sud Italia. Il declino è stato uniforme a livello nazionale: nella graduatoria delle regioni europee, dal 2000 al 2010 la Lombardia è scivolata dal 17° al 28° posto, l’Emilia Romagna dal 19° al 44°, il Veneto dal 28° al 55°, il Piemonte è sprofondato dal 40° all’84°. In discesa anche (non «solo»!) le regioni meridionali[2]. Questa evidenza sconfessa la tesi di un Nord locomotiva del Paese dallo slancio frenato dal Mezzogiorno, al netto del quale figurerebbe tra le macroregioni più avanzate d’Europa. L’immagine è piuttosto quella di un treno – dalla locomotiva fino all’ultimo vagone – fermo alla stazione da tempo e incapace di ripartire, anche a vagoni vuoti.
Secondo luogo comune. L’evasione fiscale è sistematicamente più elevata al Sud. L’economia sommersa è tema troppo complesso per essere ridotto a fenomeno peculiare di una parte del territorio nazionale popolato da cittadini antropologicamente inclini all’evasione e al crimine. E comunque, nonostante l’opinione largamente diffusa, da molti studi risulta il contrario. È questo il caso dell’indagine condotta nel 2011 dal Gruppo di lavoro “Economia non osservata e flussi finanziari” istituito dal Ministero dell’Economia[3]; dello studio della SVIMEZ su dati Istat, Agenzia delle Entrate e Ministero dell’Economia pubblicato nello stesso anno[4]; di alcune ricerche più recenti pubblicate da altri ricercatori[5].
Terzo luogo comune. Il peso che il Nord deve sostenere per i conti generali del Paese, è un dato oggettivo. È la riproposizione della tesi leghista dell’ingiustizia fiscale sofferta dal Nord, il cui surplus primario coprirebbe gli sprechi di un Sud beneficiario di un flusso sovrabbondante di risorse. A sostegno di questa tesi, vengono di solito portati i dati relativi ai residui fiscali pro capite delle regioni italiane. Questi ultimi vengono calcolati come differenza tra la partecipazione di un contribuente medio di una regione al finanziamento dell’azione pubblica (in primo luogo attraverso il pagamento delle imposte) e i benefici che lo stesso riceve da tale azione (soprattutto sotto forma di servizi pubblici)[6].
In effetti, da diversi lavori scientifici risulta univocamente che le regioni del Mezzogiorno beneficiano di notevoli trasferimenti interregionali, soprattutto dalle grandi regioni settentrionali. Ma questa evidenza non è di per sé sufficiente a dimostrare che la redistribuzione così realizzatasi sia «eccessiva». È solo l’ovvio riflesso del dualismo economico del Paese, la conseguenza del normale operare della funzione redistributiva dello Stato centrale che produce, fisiologicamente, un trasferimento di risorse da contribuenti a maggiore capacità contributiva a contribuenti meno abbienti ai quali deve essere assicurato lo stesso livello di servizi pubblici.
I residui fiscali negativi delle regioni meridionali, dunque, non sono altro che il riflesso della redistribuzione nell’azione pubblica diretta all’attuazione dei principi costituzionali della progressività del sistema tributario, dell’universalità della spesa pubblica e della perequazione dei territori in ritardo di sviluppo[7]. Strumentalmente, la redistribuzione interpersonale tra contribuenti a diversa capacità contributiva viene confusa con la redistribuzione tra i territori di residenza degli stessi. Ha poco senso affermare che il Sud ha dei residui fiscali «troppo alti» se non si specifica quale sia il valore di riferimento «giusto», rispetto al quale il giudizio viene espresso[8].
In definitiva, basare le proprie argomentazioni su questi luoghi comuni, equivale a (ri)proporre una visione tanto ingenerosa nei confronti dell’economia meridionale quanto parziale nel riconoscere, tra i diversi aspetti dell’integrazione economica tra Nord e Sud del Paese, solo quelli che penalizzerebbero il primo a vantaggio del secondo. Il che, cosa ancor più grave, coincide con una pericolosa banalizzazione della questione «nazionale» del declino. Ma l’integrazione tra le economie del Nord e del Sud implica reciproci legami che si sostanziano in corposi trasferimenti di risorse anche in direzione opposta. Basti ricordare il ruolo che svolge il Mezzogiorno come mercato di sbocco per la manifattura settentrionale. E che dire della perdita netta sofferta dal Mezzogiorno in termini di capitale umano a favore delle regioni settentrionali?
Il Nord vuole vivere ancora nell’illusione che liberandosi della zavorra possa tornare a crescere? E Cacciari è proprio convinto che valga la pena continuare ad alimentare questa illusione?
*Università degli Studi della Basilicata