Riforme | Populismo | Riformismo | Negli ultimi anni le riforme del lavoro, delle pensioni e le regole restrittive sul bilancio pubblico hanno finito per ridurre diritti e tutele e, di conseguenza, per far crescere il numero di conservatori e populisti in tutta Europa.
È esperienza comune che per tenere aggiornato un sistema sia necessaria una manutenzione periodica. Tutti fanno il tagliando all’auto o aggiornano lo smartphone. Le riforme, in questo senso, altro non sono che la periodica cura delle istituzioni e delle infrastrutture.
Tuttavia, molti politici lamentano come molte persone non comprendano le riforme fino in fondo perché non colgono appieno gli effetti complessivi e tutte le implicazioni, presenti e future, del farle o meno.
È tutto un fiorire di provvedimenti spot, di breve termine, che raramente si compongono in una opera compiuta. Il Governo di turno – miope ed autoreferenziale – vede come un valore la discontinuità, quel modo di pensare che ha prodotto il medioevo, un inconcludente moon-walk. È preferibile politicamente un provvedimento bandiera – poiché immediatamente esigibile – ad un contributo nella realizzazione (o miglioramento) di un bene o servizio in continuità col passato. Si preferisce l’umore al metodo.
In altri casi si rimandano le scelte finché qualcuno (tecnici, commissari, referendum) dovrà intervenire d’urgenza, prendendo quelle decisioni che la politica non ha avuto il coraggio di assumersi.
Poi c’è la lente ideologica su molte questioni (i c.d. totem) che non fa riconoscere “prove oggettive” (evidenze scientifiche, valutazioni indipendenti, …) quando contraddicono le proprie opinioni.
E non ultimo l’effetto memoria. Una stagione di interventi che hanno più tolto che dato, si sono visti più i costi che i benefici, in cui fattori istituzionali (debito, austerity, crisi, …) hanno caratterizzato l’intervento dello Stato in senso restrittivo. Un tempo la riforma era l’inizio di una stagione felice, di maggior benessere; al contrario ora la connotazione volge al negativo, viene vista come una diminutio.
A tutto ciò va aggiunto che il sistema cognitivo umano è limitato, così per risolvere problemi complessi ricorre a processi euristici ovvero utilizza categorie semplici per pervenire, attraverso approssimazioni successive, ad una soluzione. Questo meccanismo va bene nella maggior parte casi, ma quando le questioni sono complesse, possono portare a errori anche grossolani (sintesi e sillogismi comportano sempre una riduzione di informazioni). Un esempio è il processo di satisficing ovvero la mente si accontenta di soluzioni facili (stereotipi, ideologie,) inibendo la parte analitica e critica.
Alcune evidenze empiriche. Nelle indagini PLUS[1] (Corsetti e Mandrone, 2012) 2014 e 2016 si sono inseriti 11 quesiti[2] riconducibili a dilemmi sociali di tipo etico, economico o ecologico indipendenti tra loro. Le variabili binarie valgono 1 per “scelta riformista” e 0 “scelta conservativa”, così si sono sommati i fattori e si è ottenuta una variabile compresa tra 0 (indisponibile al cambiamento) e 11 (disponibile), ricondotte ai seguenti 4 idealtipi:
- Gli indisponibili al cambiamento, circa 5,5 milioni di persone che non rispondono al quesito. Non sono contrari allo specifico quesito quanto a rilevare in generale la propria opinione.
- I conservatori: 13 milioni di persone che hanno risposto positivamente a meno di 3 quesiti su 11
- I neutrali, 19 milioni di persone che hanno risposto favorevolmente tra i 4 e i 6 item.
- I riformisti, 5,5 milioni di persone che hanno mostrato favore nel cambiamento in più di 7 item.
Tra i fattori che influenzano positivamente la “propensione al cambiamento” notiamo (fig. 1) l’attivismo sociale (partecipare alla vita civile, attivarsi con iniziative democratiche), l’avere una laurea, il genere maschile, l’esser giovane, il numero di percettori e componenti della famiglia, l’essere in buona salute, il poter sostenere una spesa improvvisa di 300 €, l’avere una elevata economic literacy (Mandrone, 2018). Invece sono più “conservatrici” le persone anziane, con un reddito familiare inferiore ai 2.000€ e chi ha figli, chi ha abbandonato un talento, chi ha un forte network (famiglie più strutturate), chi è avverso al rischio, chi ha più spazio vitale (la dimensione della casa in metri quadrati pro-capite, intesa come misura di agio sociale).
Figura 1 – Correlazione tra l’indicatore di propensione al cambiamento e vari controlli.
Fonte Indagine Plus, Panel 2014-2016
Gli ambiti e la frequenza con cui dobbiamo confrontarci con questioni complesse è crescente: dalle carte di credito alle scelte previdenziali, dalla assicurazione alla finanza, dalle opzioni sanitarie alla prevenzione, dal rischio idrogeologico ai pericoli connessi con la velocità, la dieta, il web fino alla democrazia diretta.
I social non hanno stravolto solo l’informazione ma hanno pure invertito il flusso della formazione: da verticale (docente con titolo a discente) a orizzontale (tra pari, senza titoli). Le interazioni hanno creato un moltiplicatore informativo straordinario che, però, è necessario governare con autorevolezza per evitare che il ‘rumore copra il segnale’ (Silver, 2012) e si propaghino falsi bersagli ed errori. Non è censura: anzi, il pensiero alternativo, critico, laterale sono il sale del web, ma i risultati scientifici non sono negoziabili.
Il cambiamento tecnologico, e le ripercussioni che sta avendo sulla vita delle persone, ha bisogno di una adeguata elaborazione culturale (Mandrone, 2018) affinché realizzi progresso universale. L’informazione e la controinformazione combattono una guerra che produce moltissime vittime inconsapevoli: individui frastornati, insicuri e incerti, più di quando le spiegazioni avevano solo basi qualitative o induttive.
La corsa al dato ha avuto un potente alleato nella disponibilità di fonti e alla crescita della capacità di calcolo dei processori. L’aumento di informazioni (e di elaborazioni) ha comportato un effetto inflattivo sul dato, che ha perso valore in termini di autorevolezza, sintesi semantica e capacità aletheica. Dunque, il dato non è più il risultato finale. È il paradossale esito della ricerca della valutazione neutrale, asettica, basata solo su evidenze quantitative.
Fateci caso. Ogni volta che cerchiamo e acquistiamo qualcosa sul web veniamo profilati, così la volta successiva ci vengono proposte soluzioni, risposte e prodotti con una alta probabilità di esserci graditi. Proprio le scarpe che cercavo, proprio la vacanza che volevo. Anche con le opinioni sta succedendo questo. Chi legge certi media lo fa perché vuole vedere rafforzate le proprie convinzioni, non per capire o farsi una opinione. Lo sapevo, avevo ragione! La verità ha ceduto il posto alla verosimiglianza.
La conoscenza rimane l’unico antidoto al degrado civile e una maggiore educazione concorrerà ad un aumento della comprensione delle implicazioni che ci sono nel governare un sistema complesso (Mandrone, 2018). Ma avrà anche importanti ricadute sui costumi. Si pensi alle scelte familiari basate su “usanze irrazionali” sostituite da analisi che conducano a soluzioni eque, ecologiche, laiche: l’uomo lavora la donna sta a casa; usare anziché consumare; pubblico vs privato …
Non si condivide la semplicistica identità ignoranza=conservazione. La democrazia è prima di tutto riconoscimento e rispetto degli altri. I soggetti più esposti agli effetti delle riforme esercitano il loro istinto di conservazione il giorno del voto. La loro avversione al cambiamento non è da intendersi come un rifiuto aprioristico quanto piuttosto un segnale di sfiducia e di insicurezza (De Minicis, 2018).
Il sistema, d’altronde, è congeniato con una sovranità ad assetto variabile per cui l’elettore non riesce a ‘premiare/punire’ il responsabile delle politiche, frutto congiunto di vari livelli di governo (comunale, regionale, nazionale o Europeo). Ciò genera un senso d’impotenza nell’elettore che alimenta disimpegno e isteresi del voto.
I c.d. partiti bipolari (Gattei e Oro, 2017) – di lotta e di governo, popolari e borghesi, votati al multilateralismo – sono difficili da gestire in termini di fidelizzazione, comunicazione e azione politica. Il rischio è di rimanere intrappolati in una liaison dangereuses sui valori da affermare, sull’ordine delle priorità, sulla sintesi da comporre.
Si pensi al processo di gentrificazione degli scranni della ‘sinistra’, con un riposizionamento lontano dalle istanze delle categorie sociali di riferimento. È pur vero che essere nei fatti dalla parte della gente non richiede necessariamente manifestazioni populiste, tuttavia l’aver messo mano nel recente passato al lavoro, alla pensione, alla sanità, alla scuola agendo soprattutto per sottrazione, rende la percezione di ogni disegno riformatore ostile. C’è una reciprocità esplicita tra governo e consenso. È questo il difficile…
È strano che non si ascoltino i cittadini, anche significative minoranze. Paradigmatico è l’atteggiamento intransigente della Commissione Europea che pone l’attuazione dei trattati al riparo da revisioni congiunturali, preferendo correre il rischio di risultare distante anziché permeabile. Fare sintesi tra fermezza e empatia è necessario: stiamo parlando di istituzioni sociali! A lungo andare, quindi, diventa difficile criticare le scelte anti-sistema in presenza di un evidente deficit democratico (Fitoussi, 2003). La politica deve avere consenso per diventare governo legittimo.
Non è un debole chi è disposto a cedere qualcosa – nella vita come in politica – spesso è quello più sicuro di sé, quello che tiene di più alla relazione, chi ha a cuore vincere la guerra. Non a caso, i passi avanti la nostra società li ha fatti quando chi comandava ha fatto un passo indietro, perché era un passo avanti.
La fine delle ideologie aveva sospinto un laico pragmatismo al governo, sostituendo ad una visione del mondo una lista di cose da fare. La disaffezione ha rapidamente prevalso. Val la pena ricordare come l’Europa si è fatta a ‘ideologie vigenti’ e si sta disfacendo ora, per consunzione di una certa idea di Europa, una ideologia essa stessa.
* Ricercatore ISTAT
Le opinioni sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza
Riferimenti bibliografici
Corsetti G. e Mandrone E., (2012) Isfol Plus Survey in (a cura di E. Mandrone) Labour economics: Plus Empirical Studies, Temi&Ricerche ISFOL, Ediguida.
De Minicis M. (2017), Flessibilità e sicurezza? Come cresce il debito dei lavoratori, Economia&Politica.
Fitoussi J. P. (2003), Il dittatore benevolo, Il Mulino.
Gattei G. e Orco G. (2017), Terza Repubblica e “coscienza di classe” dei ceti medi, Economia&Politica.
Mandrone E. (2018), Cambiamento tecnologico e ripercussioni sugli assetti sociali: è la fine dell’uomo comune? Scientific Journal on Digital Cultures.
Mandrone E. (2018), Economic Literacy: Financial Costs and Social Implications, Social Science Research Network.
Silver N. (2012), Il segnale e il rumore. Arte e scienza della previsione, Fandango Libri.
[1] L’indagine PLUS è prodotta dall’Isfol dal 2005; è presente nel Piano statistico nazionale dal 2006, è una fonte della statistica ufficiale. L’indagine intervista con metodologia CATI diretta (senza rispondenti proxy) circa 50.000 individui e la componente panel biennale è di circa 35.000 rispondenti. I microdati sono disponibili su richiesta al link https://inapp.org/it/dati/plus
[2] Legenda 1) Preferisco assegni familiari per 150€ a 50€ di salario in più; 2) Preferisco una formazione di qualità a 50€ di salario in più; 3) preferisco flessibilità del lavoro a 50€ di salario in più; 4) preferisco una indennità di 800€ a 50€di salario in più; 5) Preferisco tasse fisse piuttosto che proporzionali; 6) Favorevole ad una assicurazione europea contro disoccupazione; 7) Favorevole a tassare di più i patrimoni che il lavoro; 8) Favorevole ad aiutare più le imprese che i lavoratori; 9) Ridurre le tasse su benzina piuttosto che su energie alternative; 10) Preferisce denaro elettronico al contante; 11) Ha introdotto innovazioni sul lavoro.