Elezioni italia 2019 | Con l’avvicinarsi delle elezioni europee è possibile che alcuni governanti uscenti vengano colti da un qualche presagio e che istintivamente cerchino di scongiurarlo attraverso una decisa rivendicazione dei propri risultati oppure una mite ammissione di colpa, è questo il caso di Jean-Claude Juncker. Con un intervento a Strasburgo, il presidente della Commissione Europea ha infatti ammesso l’imprudenza con cui sono state adottate le politiche di austerità del fiscal compact e si è rammaricato della «mancanza di solidarietà nel momento di affrontare la crisi greca».
Non c’è dubbio che Juncker abbia preso nota dei recenti sondaggi elettorali e che si sia accorto che, oltre alla congiuntura economica e alla fatalità della crisi del debito sovrano, possono essere state proprio quelle politiche ad innescare la bomba del sovranismo. Infatti, egli ha precisato che in nessun modo la Commissione voleva «sanzionare chi lavora o chi è disoccupato», proprio perché sembra avere finalmente riconosciuto le categorie sociali che stanno adesso chiedendo conto della propria condizione economica attraverso il voto politico. In particolare, sono stati i risultati delle ultime elezioni italiane a far materializzare la “controparte” della classe politica europea al governo (Ppe+Pse), ormai distante dagli interessi dei cittadini comuni (i forgotten men che in America hanno votato Trump) e privata di ogni visione ideologica tanto da arrivare a confondere il suo europeismo con la pura e semplice eurocrazia.
La storia del sovranismo italiano si sviluppa in tre fasi distinte: la prima risale alla situazione che ha preceduto la crisi del debito sovrano del 2011, la seconda è stata la fase dei vari governi tecnici (con supporto dei partiti di centro-destra e di centro-sinistra) nominati all’unico scopo di applicare il Patto di bilancio europeo pur di rientrare “nelle grazie” della Commissione (e dei mercati finanziari), e infine la fase della presa di coscienza (di classe) dei ceti medi. Per ripercorrerle basta osservare alcuni dati macroeconomici.
Non è una novità che, dall’adozione della moneta unica, l’Italia non sia riuscita a trarre quei benefici economici che alcuni prospettavano. Questo lo si deve al fatto che la politica italiana ha cercato per molto tempo di sostenere le esportazioni (una componente rilevante della produzione) ricorrendo alla svalutazione del cambio che, quando questa conduceva ad un processo inflazionistico interno, riusciva anche a contenere il rapporto debito-Pil.
In altre parole, la politica comunitaria di contenimento dei prezzi, volta ad assicurare la valorizzazione del capitale dei “paesi produttivi”, ha generato un divario tra questi e i paesi del “Mezzogiorno europeo” e in particolare l’Italia, che ha subito un rallentamento della crescita causato dalla bassa produttività del lavoro e dalle rare opportunità di investimento[1]. La prima fase, pertanto, è stata segnata dalla limitata governabilità dell’economia nazionale all’interno di quei vincoli finalizzati ad uniformare i bilanci pubblici dell’Eurozona[2].
Grafico 1. Rapporto debito pubblico/Pil
Fonte. Elaborazione su dati Ameco
Se l’Italia era già affaticata sul piano finanziario e produttivo, la sua condizione è peggiorata dopo la situazione critica del 2011 che, secondo il pensiero economico egemone, avrebbe potuto risolversi soltanto impartendo a quei paesi indebitati una severa lezione di stabilità finanziaria. Sono seguiti dunque gli anni dell’austerità, ovvero di quelle misure introdotte allo scopo di ridurre il rapporto debito-Pil agendo essenzialmente sul suo numeratore. E mentre lo Stato si defilava da ogni intervento economico, la ricetta prevedeva anche un ulteriore abbassamento del costo del lavoro dipendente (già perseguito peraltro dagli anni novanta), nella promessa di una crescita degli investimenti privati ed esteri.
Tuttavia, tale orientamento politico ha prodotto dei risultati ben diversi. La minaccia della deflazione (rivelata con l’adozione delle misure di austerità espansiva) ha fatto precipitare l’Italia in un vortice a ribasso dovuto all’abbattimento delle componenti della domanda effettiva[3]. La riduzione dei salari ha compromesso il consumo di beni e servizi, questo ha suscitato una sfiducia nelle imprese che hanno posticipato gli investimenti e infine lo “Stato austero” ha allontanato ogni prospettiva di sviluppo attraverso il risparmio pubblico forzato (sul lato produttivo attraverso le privatizzazioni e sul lato sociale nei tagli alla sanità, la ricerca, l’istruzione, l’assistenza, etc.) [4].
Grafico 2. Investimenti Pubblici
Fonte. Elaborazione su dati Ameco
La conseguenza naturale della stagnazione dei redditi da lavoro, delle delocalizzazioni da parte di alcune imprese alla ricerca di alti profitti e del taglio della spesa pubblica è stata l’abbassamento della produzione che, generando ulteriore disoccupazione, ha aggravato la condizione del lavoro.
Grafico 3. Tasso di disoccupazione
Fonte. Elaborazione su dati Ameco
Come si è visto, tutti i sacrifici non si sono tradotti in un miglioramento della situazione economico-finanziaria italiana ma piuttosto essi hanno compromesso lo spirito di coesione dell’Unione Europea, ed è su queste basi che ha avuto inizio la terza fase. Nel momento delle elezioni politiche del 2018 (le prime dopo quattro amministrazioni “eurocratiche”), avevamo una classe lavoratrice precaria e oppressa dalla disoccupazione e un settore artigianale e di piccola e media impresa schiacciato tra il peso della fiscalità e una concorrenza globalizzata. A questo punto i ceti medi hanno preso a manifestarsi sulla scena politica[5].
Sulla base dello studio delle scelte di voto proposto da Piketty in Sinistra Bramina vs Destra Mercatista[6] e già sintetizzato in un’analisi delle basi sociali del movimento dei Gilet gialli[7], qui si propone di estendere il suo modello reddito-cultura al caso italiano.
Piketty osserva che in Francia e nel Regno Unito le preferenze elettorali si sono spostate dall’equilibrio class-based nel periodo 1950-1980 (destra borghese vs sinistra operaia) all’equilibrio di multiple-elites nel 2000-2010 (sinistra intellettuale vs destra industriale) e che negli USA c’è stata la grande inversione del conflitto politico nel 2016 (Globalists vs Nativists) che ha portato alla vittoria inattesa di Trump[8]. Ma un’approssimazione del sistema partitico a doppia coalizione non riesce a far comprendere i caratteri del conflitto recente in Italia poiché nessun partito presente nel suo Parlamento ha più di trent’anni.
Inoltre, l’elettorato sarà configurato secondo le categorie adiacenti alla composizione sociale di Sylos Labini poiché «per distinguere le diverse classi sociali il reddito è un elemento importante, ma non tanto per il suo livello, quanto per il modo attraverso cui si ottiene, che […] si riflette nell’ambiente e nel tipo di cultura ed è condizionato dalla storia precedente della società di cui le classi costituiscono parti integranti»[9]. Infine, saranno analizzati soltanto i dati statistici delle elezioni politiche italiane del 2018[10].
Dalle percentuali di gradimento delle forze politiche rispetto alla –classe, otteniamo delle curve di consenso che possono offrire una illustrazione del conflitto italiano attuale. I dati della sinistra comprendono: Pd, PiùEuropa, LeU e altre liste; la destra è la curva dei consensi di coalizione: FI, Lega, FdI, e UdC (da cui viene distinta la curva specifica della Lega, essendo poi divenuta forza di governo); naturalmente separati sono i voti del M5S; tralasciamo le forze politiche minori (intorno al 4%).
Grafico 4. Curve di consenso per classe di reddito
Fonte. Elaborazione su dati Ipsos
L’abbandono dell’elettorato tradizionale della sinistra italiana sembra trovare una chiara testimonianza nella tendenza della sua curva che si presenta come la trasformazione definitiva nella forma «bramina», per dirla alla Piketty, egemone solamente nelle classi agiate tra le quali non riesce comunque a dominare.
Se Forza Italia mostra ciò che rimane dell’elettorato «mercatista» (autonomi e dirigenti), è stata la trazione leghista a riempire la pancia dei consensi di destra, che si è trasformata in sovranista attraverso il sopravvento nei ceti sociali più precari (operai e autonomi). Possiamo così osservare le stesse dinamiche che hanno condotto all’elezione di Trump, con il mondo operaio e i ceti medi delle periferie coalizzati entrambi sotto una bandiera di velleità protezionistiche. Come scrive Romitelli: «mentre il pensiero conservatore si accorge a mala pena della sperimentazione politica, sempre da esso minimizzata e banalizzata in quanto estranea a quanto già si sa, il pensiero reazionario prende del tutto sul serio la sperimentazione politica, facendo leva sulle passioni tristi, come odio e paura, che quest’ultima suscita tra le popolazioni non direttamente coinvolte»[11].
Il terzo soggetto è il Movimento 5 Stelle la cui curva prevale tra le categorie sociali che sono rimaste scontente della politica di austerità, delle modifiche dei parametri pensionistici e delle riforme sulla flessibilità del lavoro, oltre ad essere espressione del malcontento del Mezzogiorno[12]. E si possono osservare anche le preferenze del ceto impiegatizio rispetto ai settori economici come misura dello spostamento del consenso elettorale.
Grafico 5. Scelta di voto per settore economico
Fonte. Elaborazione su dati Ipsos
Si presenta dunque lo specchio di una società divisa che risponde a diversi impulsi, un fenomeno che viene alla luce soprattutto dalle curve di consenso rispetto alla –cultura.
Grafico 6. Curve di consenso per titolo di studio
Fonte. Elaborazione su dati Ipsos
Tralasciando la classe “elementare” che si riferisce perlopiù ad anziani e pensionati, la sola curva crescente nella cultura è il voto a sinistra, e pertanto ritornano anche in Italia i risultati di Piketty. Il grande lavoro di egemonia culturale dei partiti di sinistra sembrava aver dato i suoi frutti con l’estensione del consenso tra le fasce più istruite, tuttavia, essi hanno finito per perdere proprio la guida del mondo del lavoro, come ha precisato Michéa, «professando l’universalismo astratto e benpensante tipicamente liberale: modernizzazione a oltranza, mobilità obbligatoria e trasgressione morale e culturale sotto tutte le sue forme»[13].
Infatti, è la perfetta specularità delle curve della sinistra e della Lega a chiarire che è sul piano culturale che si è verificata la contrapposizione distributiva tra le classi elitarie (economiche e intellettuali), rappresentate dalla sinistra “globalista”, e le classi medie che ripongono l’unica speranza nella destra nazionalista. Ma in Italia non tutte perché nel mezzo, tra i picchi della cultura e del reddito e le profondità dell’ignoranza e del precariato, esiste comunque la terza curva (maggioritaria alle elezioni) del M5S che con una dinamica sistematica sottrae voti dalle categorie storicamente di sinistra (dipendenti pubblici, insegnanti, operai e disoccupati, anche acculturati).
La reazione alla globalizzazione del «ceto medio concorrenziale», da destra, insieme all’opposizione del ceto medio (non più) «riflessivo»[14] alle politiche fiscali restrittive, da sinistra, sono andate a congiungersi nelle due forze di governo chiudendo il cerchio del sovranismo italiano.
Tornando alla nostra sintesi del modello, l’equilibrio del conflitto italiano dà spazio a più interpretazioni: ad esempio si potrebbe pensare ad un caso particolare di quello che Piketty ha indicato come great reversal, ovvero ad una doppia inversione dell’equilibrio in cui i globalisti si collocano in alto a destra e l’elettorato rimasto “sommerso” (sotto l’asse orizzontale) si divide tra i nativisti in basso a sinistra e coloro che si definiscono cittadini in basso a destra, secondo le categorie di Piketty.
Figura 1. Dalle élites – Left (L) vs Right (R) – alla doppia inversione – Globalists (G) vs Nativists (N) & Citizens (C)
Se le dinamiche delle preferenze elettorali hanno prodotto, nel corso del Novecento, la stabilizzazione sullo scenario politico delle due élites di destra e di sinistra, mentre le classi medie lavoratrici crescevano nel benessere diffuso delle conquiste economiche, sociali e culturali, la fine di questo processo è stata segnata dalla crisi del debito sovrano che ha provocato le “fiammate populistiche” e reso instabile l’equilibrio politico prestabilito.
In questo senso il sovranismo, in tutte le sue forme (sia a sinistra che a destra), sembra essere il frutto del declassamento percepito dei ceti medi che si sollevano contro tutto ciò che è stato identificato come establishment, che sia questo personificato nei diktat delle istituzioni europee, nell’affarismo dell’alta finanza o nell’intellettualismo dei radical chic. Per questi ultimi è quasi una loro nemesi, secondo il romanzo fantapolitico di Giacomo Papi: «abbiamo aspettato per tutta la vita la Rivoluzione francese, ma quando è arrivata gli aristocratici eravamo noi»[15].
*Cultore della materia in Storia del Pensiero economico – Università di Macerata
[1] Cfr. REALFONZO, R., VISCIONE, A. (2014), Eurocrisi: il conto alla rovescia non si è fermato, Economia e Politica, 2 dicembre, online: www.economiaepolitica.it/
[2] Cfr. PANICO, C., PURIFICATO, F. (2013), Policy coordination, conflicting national interests and the European debt crisis, Cambridge Journal of Economics, vol. 37, April.
[3] Cfr. GATTEI, G., IERO, A. (2016), Una Eurozona da Draghi?, Economia e Politica, 15 marzo, online: www.economiaepolitica.it/
[4] Cfr. PERRI, S., REALFONZO, R. (2014), Tagli alla spesa pubblica? Una vecchia ricetta, Economia e Politica, 1 aprile, online: www.economiaepolitica.it/
[5] Cfr. GATTEI, G., ORO, G. (2018), Terza Repubblica e “coscienza di classe” dei ceti medi, Economia e Politica, 1 giugno, online: www.economiaepolitica.it/
[6] PIKETTY, T. (2018), Brahmin Left vs Merchant Right: Rising Inequality and the Changing Structure of Political Conflict, WID.World Working Papers, vol. 7.
[7] Cfr. ORO, G. (2019), Gilet gialli: una lettura alla Piketty, Economia e Politica, 7 gennaio, online: www.economiaepolitica.it/
[8] Cfr. WOLFF, M. (2018), Fuoco e furia. Dentro la Casa Bianca di Trump, Rizzoli, Milano.
[9] SYLOS LABINI, P. (1974), Saggio sulle classi sociali, Laterza, Roma, 2015, cit. pp. 24-26.
[10] IPSOS PUBLIC AFFAIRS (2018), Elezioni politiche 2018 – Analisi del voto, 6 marzo, online: www.ipsos.com
[11] ROMITELLI, V. (2014), L’amore della politica. Pensiero, passioni e corpi nel disordine mondiale, Mucchi, Modena, cit. p. 100.
[12] Cfr. ISTITUTO CARLO CATTANEO (2018), Elezioni politiche 2018. Il voto per il Movimento 5 Stelle: caratteristiche e ragioni di un successo, online: www.cattaneo.org
[13] MICHÉA, J.-C. (2013), I misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, Neri Pozza, Vicenza, 2015, cit. p. 47.
[14] Cfr. GINSBORG, P. (2011), I ceti medi: cambiamenti, culture e divisioni politiche, in ASQUER, E. (a cura di), Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere, Laterza, Roma-Bari.
[15] PAPI, G. (2019), Il censimento dei radical chic, Feltrinelli, Milano.