Premessa
Mi pare che la situazione politica del nostro paese possa essere riassunta come segue. Il popolo è molto arrabbiato con la classe politica e in particolare con il governo: e con ragione, perché il governo non è capace di risolvere i problemi che assillano la vita quotidiana di tante persone normali. Uno dei più importanti, anche perché da esso ne derivano molti altri, è la mancata creazione di posti di lavoro. Se fossimo più vicini alla piena occupazione, infatti, ci sarebbero meno paura della possibilità di perdere il lavoro e una maggiore fiducia nella possibilità di avere a suo tempo una pensione adeguata; e i giovani smetterebbero di essere disoccupati e di emigrare in massa. E’ evidente che i motivi addotti dal governo per non implementare politiche adeguate (“fra qualche anno le cose andranno meglio”; “ce lo impone l’Europa”; “facciamo del nostro meglio, ma i soldi non ci sono”) non possono soddisfare l’opinione pubblica. Non lo potrebbero nemmeno se fossero veri, e giustamente, perché la democrazia si basa sul diritto/dovere del popolo di ritenere il governo responsabile di ciò che accade nel paese. Ma quei motivi veri non sono. Secondo un rapporto Unioncamere (l’ente che riunisce le Camere di Commercio) la disoccupazione al 2023 (quando si voterà, sempre che non si abbiano elezioni anticipate) sarà ancora superiore al 9% (oggi è intorno al 10), quindi le cose non andranno meglio (a conferma, la legge di bilancio recentemente approvata punta ad un tasso del 9.1% nel 2022, a fronte di un livello pre-crisi del 5.7%). Tre anni non sono pochi. Sono il tempo, per esempio, che occorre per passare dalla condizione di studente ricco di speranze a quella di lavoratore precario assunto per mansioni non qualificate, e per rendersi conto che ben difficilmente si riuscirà ad uscire da quella condizione. Non è nemmeno vero che “ce lo impone l’Europa”: l’Italia ha un potere di ricatto enorme nei confronti dell’Europa, che non usa (a differenza per esempio della Germania e della Francia, e persino del Portogallo). E infine, non è vero che “i soldi non ci sono”. Faccio un esempio. Due miliardi non sono pochi, due miliardi in più di tasse possono creare molto malcontento – basti pensare al dibattito sulla cosiddetta plastic tax– mentre due miliardi spesi (per esempio) per consentire ai comuni interventi per la messa in sicurezza del territorio e degli edifici creerebbero consenso (oggi sono 300 milioni). Ora, 2 miliardi sono lo 0,45 per mille della ricchezza finanziaria (quindi escluse le case) degli italiani. Per capirci: perché una tassa sulla ricchezza finanziaria dia un gettito di 2 miliardi occorre che chi ha 100.000 di risparmi paghi un po’ meno di 4 euro al mese. Se poi escludessimo metà -sottolineo: metà- delle famiglie italiane, vale a dire quelle che hanno meno di 6000E di risparmi, per dare un gettito di due miliardi gli altri dovrebbero pagare lo 0,46 per mille invece dello 0,45, tanto la ricchezza è concentrata. Ma davvero c’è qualcuno che può pensare in buona fede che simili cifre farebbero impazzire i mercati finanziari e farebbero fuggire i risparmiatori all’estero? Naturalmente sarebbe meglio un’imposta con aliquote progressive, ma il punto fondamentale è che i soldi per rimediare almeno a qualcuna delle carenze del nostro paese e per creare quindi dei posti di lavoro ci sono.
Non credo che i ricchi sarebbero contrari en masse a dare il loro contributo. Credo che il vero ostacolo siano da una parte i loro servi sciocchi che credono di servire bene i loro padroni sostenendo a spada tratta sui cosiddetti “giornaloni” i loro interessi fino all’ultimo centesimo e quelli meno sciocchi che preferiscono parlare d’altro; e dall’altra quelli che Solgenitzin avrebbe chiamato collettivamente “Il primo cerchio”, gli intellettuali e i tecnici incapaci di accettare l’idea che occorrono innovazioni: per formazione, o per pigrizia, o per interesse, o per amore di quieto vivere, o per tanti altri motivi. Ed è di costoro che vorrei parlare.
Il primo cerchio
La storia e il buon senso confermano che l’unica arma vincente contro il sostegno di massa alla destra eversiva sono la crescita economica, e in particolare la creazione di posti di lavoro. Che dopo dieci anni di euroausterità un giovane disoccupato o sottooccupato voti Salvini non dovrebbe stupirci, e ancora meno se quel giovane sa che la situazione resterà la stessa almeno nei prossimi tre anni; e abbiamo visto che questo è appunto il caso per quanto riguarda l’occupazione. (Si noti che i dati che abbiamo citato all’inizio includono già le assunzioni dovute all’annunciato sblocco del turnover nella pubblica amministrazione). Ripeto, la rabbia e la frustrazione di chi vive questa situazione spiegano ampiamente il suo rifiuto della politica e la sua voglia di ribellarsi.
Meno comprensibile, e meno giustificabile, è l’aiuto che a Salvini viene da persone serie, responsabili e progressiste. Cito qualche nome, ma sono solo degli esempi. Il primo è il ministro dell’economia Gualtieri. L’on. Gualtieri conosce certamente le cifre citate più sopra. Presumibilmente si rende conto della gravità dei problemi che affliggono molti italiani, soprattutto giovani, e dei pericoli che essi comportano. Quindi si potrebbe pensare che il suo rifiuto di adottare politiche più innovative, che necessariamente implicano una qualche rottura delle tendenze spontanee, dipenda da una attenta valutazione delle possibili alternative, al termine della quale risulterebbe che le politiche effettivamente adottate, che lasciano praticamente inalterato il tasso di disoccupazione, sono inevitabili perché ogni altra ipotesi è peggiore.
Non è così. La realtà è che l’on. Gualtieri è probabilmente una persona seria e responsabile, ma è prigioniero di una tradizione culturale e politica che gli impedisce di ragionare in termini di alternative innovative. Se si trattasse solo di lui, poco male. Ma il guaio è che le scelte di Gualtieri vengono inevitabilmente lette come le scelte ponderate e rigorose di una parte politica che sostiene di volere il meglio per il paese. Ora, se il governo e il partito che le esprimono pretendono che lo siano, non possiamo poi stupirci se molti preferiscano il rischio di un cambiamento verso destra a un futuro che il governo promette essere senza speranze.
Faccio un altro esempio: un’imposta del 2.5 per mille sulla ricchezza finanziaria consentirebbe di creare 500.000 posti di lavoro nel settore pubblico. 500.000 sono pochi, per colmare il divario che ci separa da Francia o Regno Unito ne occorrerebbero più di 2 milioni, e del resto che i pubblici dipendenti siano davvero molto pochi lo sperimentiamo ogni giorno quando dobbiamo fare una coda a uno sportello o aspettare mesi per un esame clinico. Faccio parte del gruppo di professori di politica economica che da anni studia e quindi propugna un piano di assunzioni straordinarie. Esso non è stata respinto dai politici dei vari governi: non è stato nemmeno preso in considerazione. L’unica eccezione è stato l’on. Borghi (Lega Nord), il quale ci ha risposto di essere contrario, coerentemente con la linea del suo partito – cosa che avrebbe dovuto suscitare qualche interesse fra coloro che si oppongono a tale linea. La proposta di assunzioni nel settore pubblico (e altre anch’esse ragionevoli) non sono state confrontate con le scelte che di è deciso di fare, il che autorizza a dire che tali scelte non sono state ponderate a sufficienza. (Fra parentesi: è lecito domandarsi -e credo che sia una domanda importante- perché vengono pagati stipendi anche elevati a persone che hanno come incarico professionale l’elaborazione di proposte di politica economica, se poi le loro proposte non vengono ascoltate).
Un altro comportamento esemplare è quello del prof. Cottarelli, anch’egli uno studioso probabilmente serio e responsabile, impegnato con il suo Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (all’Università Cattolica di Milano) a individuare e denunciare gli sprechi della pubblica amministrazione, e autore di articoli in materia su “La Stampa” sovente interessanti. Si tratta di un lavoro di per sé utile, ma che diventa dannoso se non è accompagnato dall’altra metà dell’analisi necessaria per valutare correttamente la spesa della pubblica amministrazione, e cioè la mancanza di alcune spese fondamentali. E’ un’analisi che deve essere fatta a livello istituzionale, perché richiede risorse e tempo di lavoro professionale, ma che per motivi che non possono essere che politici nessuna istituzione svolge.
In queste condizioni, dicevamo, il lavoro del gruppo di Cottarelli diventa dannoso, nel senso che contribuisce alla resistibile ascesa di Salvini. Perché una proposta fondamentale di Salvini, che gli attira molti consensi, è “riduciamo le tasse. Si può fare, perché basta eliminare gli sprechi”. Se gli economisti seri e preparati vicini alla cultura politica di centro-sinistra si occupano solo di sprechi, e non parlano delle necessità di espandere da qualche parte la spesa pubblica, o al massimo propongono di spostare la spesa da una voce ad altre, ma senza aumentarla e se possibile riducendola, allora è evidente che Salvini potrà dire con fondatezza “vedete che ho ragione: anche i miei avversari dicono che basta ridurre gli sprechi” (la differenza fra “basta ridurre” e “sarebbe opportuno ridurre” è reale, ma difficile da percepire). Si noti che è assolutamente ovvio che da qualche parte la spesa pubblica deve essere aumentata, perché se così non fosse vorrebbe dire che in tutti i settori essa è in eccesso, oppure, cosa ovviamente molto improbabile, esattamente quella giusta.
Naturalmente Cottarelli può obiettare che qualcun altro dovrebbe studiare dove espandere la spesa pubblica, e con quali risorse. Però nessuno lo fa. E così stando le cose Cottarelli non ha nessuna colpa per l’ascesa di Salvini; ma ha un po’ di responsabilità. Nulla gli impedirebbe, per esempio, di avvertire i suoi lettori che parlare di produttività della Pubblica Amministrazione non ha senso se prima non si stabilisce quale e quanta debba essere la produzione. E il fatto, ben noto, che in Italia il numero di pubblici dipendenti è assurdamente basso rispetto alla normalità di un paese sviluppato suggerisce che qualche carenza di produzione molto probabilmente esiste, ed è seria; probabilmente talmente seria da richiedere politiche fiscali straordinarie, come una piccola tassa sulla ricchezza. Forse non è così; ma è certamente scorretto respingere questa ipotesi a priori, senza nemmeno valutarla.
Leggi dell’economia e leggi della politica
Per un ulteriore esempio facciamo un balzo fortunatamente molto lungo, anche se piuttosto di moda. Consideriamo l’avvento al potere di Hitler negli anni trenta del secolo scorso. E stato evidentemente il frutto della azione cosciente di forze esplicitamente reazionarie che non si è riusciti a contrastare. Ma non ci si è riusciti anche perché le forze politiche Serie e Responsabili che si opponevano al nazismo proponevano e attuavano delle politiche altamente impopolari “perché non c’erano alternative”. Sappiamo che invece c’erano, ma avrebbero richiesto un coraggio e una capacità che sono mancati. L’Italia della grande crisi di oggi non è la Germania della precedente grande crisi, e ovviamente è sbagliato assimilare Salvini a Hitler. Però, oggi come ieri, la reazione che possiamo attenderci da parte di una persona a rischio di povertà a cui i politici (e gli studiosi) Seri e Responsabili dicono che la sua condizione non può migliorare non sarà di rassegnarsi: sarà di rivolgersi a politici non seri e non responsabili, che però offrono una speranza. (Ed è bene non dimenticare che oggi in Italia le persone in povertà o a rischio di povertà sono quasi una su tre). Si tratta di una reazione razionale (sulla base della Teoria dell’Utilità Attesa, per chi sa cosa è) e quindi pienamente rispettosa delle cosiddette leggi dell’economia.
In effetti, oggi come allora ci sono economisti e politici che invocano a giustificazione della loro timidezza le “leggi dell’economia“. Farebbero bene a non dimenticare che esistono anche delle leggi della politica. Una di esse dice che chi è scontento del governo voterà per l’opposizione. E’ quanto ammette implicitamente un’altra persona forse onesta e corretta, il prof. Giampaolo Galli (Università Cattolica), che in un’audizione presso la Camera dei Deputati (6 novembre 2019) osserva che “nessun partito politico è disposto ad ammettere che per mettere in sicurezza il paese occorrerebbe –come sostengono le organizzazioni internazionali e la Banca d’Italia- un avanzo primario del 3,5-4% mantenuto per molti anni a venire”. Un avanzo primario del 3.5% vuole dire che “per molti anni a venire” lo Stato deve spendere circa 65 miliardi in meno di quanto ottiene con le tasse e le imposte. Il fatto che nessun partito voglia farlo non è insipienza: è democrazia. Quando parla di sicurezza Galli si riferisce ai conti finanziari dello Stato; ma mi sembra puerile pensare che questi possano essere messi in sicurezza se il paese vota contro, e se “per molti anni” il paese sarà in preda ai seri conflitti e alle serie proteste di cui vediamo per ora solo le prime avvisaglie. Inoltre, un 3.5-4% di avanzo primario per molti anni farebbe quasi sicuramente calare il denominatore del rapporto debito/pil, e non è affatto garantito che il numeratore cali di più. Galli dovrebbe rendersi conto che le conclusioni del suo discorso sono che “mettere in sicurezza i conti” tramite “molti anni” di attivo primario è quasi impossibile, e dovrebbe pensare a cosa si deve fare data questa (quasi) impossibilità. Ma lui (suppongo) ritiene che questo non sia compito suo, lui è un economista e non si occupa di politica.
C’è un altro motivo, più sottile e forse più importante, per cui gli atteggiamenti di molti pensatori “seri e responsabili” propiziano l’ascesa di Salvini: ed è la distruzione della solidarietà. Quando Galli afferma che è necessario tagliare servizi per 60 miliardi per molti anni, implicitamente dice “si salvi chi può”. Ma questo contribuisce a far sì che diventino sempre più importanti (dis)valori come la furbizia e la spregiudicatezza, a scapito della solidarietà e della cooperazione. Questo trend è quotidianamente sotto gli occhi di tutti, ma manca una sua stima quantitativa, e ciò fa sì che molti economisti ritengano tranquillamente di poterne ignorare i costi. (Molti anni fa Sylos Labini scrisse che chi considera solo i costi monetari e trascura gli altri non è un economista ma un ragioniere). Di nuovo, gli economisti “seri e responsabili” possono dire che qualcun altro dovrebbe occuparsene. Ma di nuovo, visto che questo qualcun altro non esiste, essi sono corresponsabili, anche se non colpevoli.
Naturalmente è possibile che quanto sopra sia sbagliato. I vari Gualtieri, Galli e Cottarelli (che -ripeto- ho preso come esempi di una categoria più vasta) dovrebbero però spiegarci perché non è possibile tassare un po’ i ricchi per creare lavoro; e perché dovendo scegliere fra i molti problemi di cui occuparsi si è ritenuto che quello della riduzione del debito pubblico fosse il più importante; e quali spese devono essere abolite per far sì che lo Stato spenda ogni anno 65 miliardi in meno di quanto ottiene da tasse e imposte. E anche perché una persona che deve arrangiarsi da sola, senza un aiuto sufficiente da parte dello Stato, che non ha mai conosciuto il fascismo ma ha conosciuto Monti e Fornero, dovrebbe opporsi a Salvini solo perché Salvini è fascista. Ma dovrebbero spiegarlo davvero, con argomenti solidamente fondati nella teoria e nei dati economici; non con degli slogan tipo “ce lo chiede l’Europa”. Perché se accettiamo di fare politiche sbagliate e/o improvvisate solo perché ce lo chiede l’Europa, allora sconfiggere Salvini diventa molto probabilmente impossibile.