Esistono tre tipi fondamentali di moneta: la moneta bancaria, creata dalle banche commerciali; le monete metalliche e le banconote, moneta legale; e la moneta riserva delle banche commerciali utilizzata per i pagamenti interbancari [1]. La banca centrale crea moneta dal nulla (moneta fiat) moneta di riserva solo ed esclusivamente per le banche commerciali e queste ultime creano moneta dal nulla (moneta bancaria) solo e esclusivamente per l’economia reale e finanziaria, ovvero per le imprese, gli individui e gli enti pubblici -. I due circuiti – quello di banca centrale e quello delle banche commerciali – sono separati ma collegati [2].
Solo le banche commerciali hanno il privilegio di avere un conto corrente presso la banca centrale e di ottenere moneta legale di prima emissione: il pubblico – cittadini/e, imprese, enti pubblici – non ha accesso diretto alla moneta di banca centrale e alla moneta legale (moneta sicura perché coperta dallo Stato).
Circa l’80-90% della moneta che circola nell’economia reale è moneta bancaria. Il resto sono (oltre che le monete spicciole per le piccole spese) banconote emesse dalla banca centrale: tuttavia per avere le banconote di moneta centrale occorre avere prima un conto bancario. Infatti la banca centrale non emette banconote direttamente per il pubblico. Quindi tutte le monete che circolano nell’economia reale e nell’economia finanziaria hanno in qualche modo origine solo ed esclusivamente nel sistema bancario.
La banca commerciale crea moneta bancaria dal nulla quando concede un credito: la moneta creata dalla banca è moneta scritturale, ovvero la banca segna all’attivo il credito che il creditore dovrà restituire con l’interesse e segna al passivo il deposito bancario creato per il cliente [3].
Le due caratteristiche fondamentali della moneta bancaria in regime privatistico sono che 1) essa è emessa come moneta-credito e quindi entra sempre nell’economia come moneta-debito 2) e che è money-for profit. La moneta bancaria corrisponde sempre a un debito che deve essere ripagato con interesse e è emessa sempre per accumulare altra moneta, cioè per un profitto monetario [4].
Le banche commerciali hanno l’autorizzazione da parte dello Stato a convertire la loro moneta privata – i depositi bancari derivati da un contratto privato – in moneta legale, in banconote. Così la moneta bancaria diventa moneta legale, moneta di Stato. La differenza tra la moneta bancaria (deposito bancario) e le banconote è che sulle prime si paga un interesse mentre sulle banconote non si paga alcun interesse.
Dagli anni 80 in poi, dopo la fine di Bretton Woods e poi con gli accordi di Maastricht, è stata decisa politicamente la liberalizzazione del sistema bancario: in Europa le banche pubbliche sono state per la quasi totalità privatizzate e le banche commerciali operano in regime competitivo per il massimo profitto e il massimo rendimento azionario per gli azionisti, come qualsiasi altra azienda privata. Questo ha comportato la completa privatizzazione dell’emissione monetaria per l’economia.
Dagli anni 80 in poi, dopo la fine di Bretton Woods e poi con gli accordi di Maastricht, le banche centrali sono gradualmente diventate “indipendenti”: fissano in autonomia il tasso di interesse, non dipendono più dal governo e dal Ministero del Tesoro e non sono tenute a coordinarsi con le politiche fiscali condotte dal governo. Inoltre, di fatto o di diritto, è stata proibita la “monetizzazione” dei debiti pubblici, cioè l’acquisto dei titoli pubblici direttamente dalla banca centrale nazionale sul mercato primario con emissione di nuova moneta. Così è stata sostanzialmente eliminata l’emissione nell’economia reale di moneta pubblica – ovvero di moneta da non restituire con interesse al settore bancario – e il rendimento sul debito pubblico è deciso principalmente dai mercati.
In pratica, con la fine degli accordi di Bretton Woods, gli Stati hanno ceduto alle banche commerciali la gestione del sistema monetario, almeno per quanto riguarda la moneta che circola nell’economia reale e finanziaria.
Le banche private autorizzate a creare moneta operano come tutte le altre aziende private in regime di competizione: devono dunque fare il maggiore numero di profitti nel più breve tempo possibile altrimenti vengono mangiate o spariscono dal mercato. Non a caso i fenomeni di concentrazione e di gigantismo sono molto marcati nel settore bancario.
La banca commerciale ricava una rendita da signoraggio per la creazione della moneta, e questa rendita grava sull’economia [5]. Infatti la moneta bancaria è essenzialmente moneta-bit, ha un costo tendenziale pari a zero, può dunque essere creata all’infinito e genera un reddito molto superiore al suo costo. Oltre che dal signoraggio, le banche ottengono dei ricavi dalle loro altre attività: gestione del sistema dei pagamenti, selezione del merito di credito dei richiedenti prestiti, commissioni, trading, ecc.
In generale i crediti aumentano per la soddisfare la richiesta crescente di liquidità da parte delle aziende, delle famiglie, degli enti pubblici e del settore finanziario. Ma, dal momento che la moneta bancaria – ovvero la moneta-debito – viene a sua volta prestata, e quindi diventa debito su debito, e viene prestata anche e soprattutto al settore finanziario – che opera prevalentemente a leva, ovvero con debito –, anche a causa degli interessi composti, il debito nell’economia cresce normalmente in progressione geometrica.
Il debito complessivo non solo aumenta in progressione geometrica ma cresce anche in misura tale che non può essere ripagato dal reddito derivato alla produzione reale. In generale l’economia reale tende infatti a crescere in misura più graduale rispetto ai debiti, come mostra il grafico seguente. Il gap tende a allargarsi nel tempo. La moneta bancaria genera dunque debiti che per loro natura non possono essere ripagati, e quindi la moneta bancaria genera crisi.
La moneta-debito tende a crescere più dell’economia perché il core-business delle banche è creare moneta e quindi in un regime competitivo si afferma la propensione a creare moneta in eccesso nel tentativo di fare più profitti possibile (soprattutto nei periodi di boom e di euforia). Ne deriva che in un regime di concorrenza per il massimo profitto la creazione della moneta tende spontaneamente a essere superiore alle necessità e alla crescita dell’economia reale, e a essere inflazionata. La possibilità delle banche commerciali di creare moneta porta alla tendenziale sovrapproduzione di moneta bancaria non accompagnata dalla produzione di valori reali.
Il sistema bancario nei periodi di boom tende a creare moneta in eccesso non solo per l’economia produttiva ma soprattutto per la finanza e il settore immobiliare: questi sono infatti i settori che dal punto di vista della singola azienda-banca sono i più profittevoli nel breve e medio periodo. Invece gli investimenti produttivi offrono margini incerti e solo nel lungo e medio periodo.
Le banche commerciali spinte dalla esasperata ricerca competitiva del profitto a breve termine sono portate tendenzialmente a allocare molto più credito nei settori non produttivi dell’economia, e così inevitabilmente gonfiano i mercati finanziari e immobiliari [6]. Nei mercati finanziari il rendimento potenziale è commisurato al rischio: i maggiori rendimenti si hanno quando i rischi di perdita sono maggiori. Nella competizione per il massimo profitto le banche tendono a cercare rendimenti sempre più elevati correndo sempre maggiori rischi, e così provocano crisi.
Il settore finanziario può creare titoli all’infinito, ovvero senza corrispettivo nell’economia reale, grazie ai titoli derivati. Quindi all’eccesso di moneta corrisponde un eccesso di titoli e all’eccesso di titoli corrisponde un eccesso di moneta-debito: nella finanza la moneta debito si trasforma facilmente in moneta-scommessa. I derivati sono essi stessi una forma di moneta-scommessa, ovvero di capitale fittizio, di moneta spuria.
Non è tanto e solo l’aumento del credito – e quindi del debito – a provocare le crisi. Il problema è che il credito viene allocato soprattutto e in maniera crescente nella finanza. Da qui il fenomeno della finanziarizzazione. I crediti bancari attualmente vengono per gran parte impiegati per scopi speculativi, ovvero per finanziare passaggi di proprietà di titoli e di immobili che esistono già, e che vengono trasferiti da un proprietario all’altro senza creazione di valore reale [7].
Development of total credit and the non financial business credit share.
Dalla metà degli anni ’80 in poi – in coincidenza con la deregulation e la fine dei controlli amministrativi nel settore bancario – è decollato il mercato dei mutui immobiliari. In pratica gran parte dei finanziamenti bancari serve a trasferire la proprietà di beni già esistenti. Questo fenomeno è facilitato dal fatto che la singola banca considera le proprietà già esistenti come valido collaterale, ovvero come garanzia per il credito erogato. Si comprano case già costruite per rivenderle a maggiore prezzo; si comprano titoli per rivenderli a prezzo maggiorato. Per esempio le banche finanziano le scalate a società che, una volta acquisite, vengono fatte a pezzi per “estrarre valore”, ossia vengono rivendute con possibili plusvalenze per i finanzieri. Ma la speculazione non dà valore aggiunto all’economia reale. Il gioco speculativo si basa sul debito e ha l’effetto di aumentare i prezzi degli asset immobiliari e finanziari. Così crescono le bolle finanziarie e immobiliari.
L’aumento dei prezzi dei titoli e degli immobili attira nuovi investimenti e provoca ulteriori aumenti dei prezzi in una crescita a spirale. Le plusvalenze e gli interessi guadagnati dalla finanza tendono infatti a essere reinvestiti in gran parte nella finanza stessa (certamente non sono per la maggiore parte impiegati in nuovi investimenti produttivi o in nuovi consumi) e così il settore finanziario si gonfia in progressione geometrica [9].
Quando improvvisamente si scopre che alcune classi di titoli sono fortemente sopravvalutate a causa della speculazione allora le crisi precipitano: allora la moneta-debito e la moneta-scommessa investita in quei titoli non può più essere onorata. Per tentare di pagare i debiti le società finanziarie e le banche sono costrette a smobilizzare subito i loro titoli svendendoli e provocandone una brusca diminuzione di valore. Crolla la lunga catena dei debiti e crollano i titoli corrispondenti.
Per bilanciare le perdite, le banche sono costrette a chiedere l’immediato rientro dai debiti e a contrarre il credito: ne risulta che la moneta scompare improvvisamente nell’economia reale e in quella finanziaria, e che per mancanza di liquidità e di potere d’acquisto l’attività produttiva viene congelata.
Il difetto genetico della privatizzazione del sistema monetario – ovvero della moneta bancaria for profit – è che è strutturalmente pro-ciclica: viene ritirata dall’economia reale proprio quando ce ne sarebbe più bisogno, semplicemente perché nella crisi scompaiono le prospettive di profitto.
Le recessioni derivano dal fatto che in generale e per sua natura la moneta bancaria scompare nell’economia reale quando i debiti vengono saldati. Il paradosso della moneta-debito è che se tutti i debiti venissero saldati l’economia crollerebbe per totale mancanza di liquidità. Questo è un difetto genetico della moneta-debito: la moneta appare e scompare nell’economia in coincidenza con i cicli creditizi e finanziari invece di circolare sempre come mezzo di pagamento e garantire continuità alle attività produttive.
Nelle crisi deve intervenire la banca centrale a fornire liquidità al sistema bancario con l’immissione di grandi quantità di moneta di banca centrale. Ma, come abbiamo visto, la moneta di banca centrale non entra nell’economia reale. Quindi le banche centrali possono salvare le banche commerciali dalla crisi ma non l’economia reale. Nell’economia reale si verifica invece contemporaneamente una contrazione della liquidità: i debitori cercano di sdebitarsi e così fanno sparire la moneta dal circuito dell’economia produttiva.
Il congelamento del credito comporta il blocco della produzione e questo comporta la riduzione dei consumi e degli investimenti. A quel punto si innesca la spirale della crisi nell’economia reale e questa spirale può essere fermata solo con l’immissione di nuova moneta pubblica (spesa pubblica) per finanziare gli investimenti e i consumi.
Da questa analisi risulta con evidenza che la moneta bancaria – ovvero la moneta-credito emessa per profitto, che diventa subito moneta-debito e poi, con la finanza, anche moneta-scommessa – è geneticamente e strutturalmente il principale fattore delle crisi del debito e delle crisi finanziarie e recessive che scuotono ciclicamente e con violenza il sistema economico. Si dimostra che la privatizzazione del sistema monetario non fa bene all’economia e alla società.
Da qui la necessità che per superare le crisi lo Stato si riappropri della sovranità monetaria: lo Stato dovrebbe emettere moneta pubblica, per esempio grazie alla monetizzazione dei titoli di debito pubblico sul mercato primario da parte della banca centrale. La monetizzazione del debito pubblico era comune nei Trenta Gloriosi (1945- 1975) ovvero nel periodo di maggiore sviluppo del capitalismo e nel periodo in cui le crisi bancarie erano sostanzialmente inesistenti o comunque limitate ai singoli istituti [10].
La moneta pubblica può essere spesa per investimenti pubblici e, grazie al moltiplicatore keynesiano, ha effetti benefici su tutta l’economia. La moneta pubblica non è moneta-debito, non deve essere restituita e non genera interessi, rimane sempre nel circuito dell’economia reale, non viene ritirata come debito e dunque non genera crisi di liquidità [11].
Il sistema monetario è considerato sul piano scientifico un bene cosiddetto “pubblico” – ovvero è un bene non esclusivo e “non rivale” (infatti se è usato contemporaneamente da molti non si consuma ma accresce il suo valore) – e quindi andrebbe trattato come tale [12]. In quanto bene pubblico, per funzionare in maniera efficiente e equilibrata, il sistema monetario non dovrebbe essere completamente privatizzato e essere gestito esclusivamente dai privati.
Per evitare la crescita insostenibile dei debiti e le conseguenti violenti crisi finanziarie occorrerebbe separare la creazione di moneta (bene pubblico) dal credito (attività privata o pubblica). Le banche private tendenzialmente non dovrebbero creare moneta perché creano moneta-debito, perché nella ricerca esasperata del profitto sono portate inevitabilmente a crearne in eccesso, e quindi a generare speculazione e crisi. Le banche alla ricerca del profitto sono portate a allocare moneta prioritariamente nei settori improduttivi, nella finanza fine a sé stessa e nell’immobiliare. Le riforme del sistema monetario e bancario dovrebbero dunque tendere a abolire o a diminuire drasticamente la creazione di moneta bancaria [13].
In linea di principio lo Stato attraverso la sua banca centrale dovrebbe creare moneta pubblica, ovvero moneta debt-free e no-profit [14]. Sempre in linea di principio, le banche, sia private che pubbliche, dovrebbero invece operare non come creatrici di moneta ma come intermediari tra risparmio e investimenti (narrow banking).
Le due funzioni andrebbero distinte. L’emissione monetaria e il sistema dei pagamenti (beni pubblici) andrebbero gestiti in ambito pubblico, mentre il credito e la finanza sono ambiti privati. Questa è anche l’opinione di alcuni economisti, come Martin Wolf, capoeditorialista del Financial Times. “Il nostro sistema finanziario è così instabile perché lo Stato prima gli ha permesso di creare quasi tutta la moneta nell’economia e poi perché è stato costretto a garantirlo mentre svolgeva quella funzione. Si tratta di un buco enorme nel cuore delle nostre economie di mercato. Si potrebbe chiudere separando l’offerta di moneta, che è propriamente una funzione dello Stato, dall’offerta di finanziamenti, una funzione del settore privato. Questo non accadrà ora. Ma occorre ricordare questa possibilità. Quando arriverà la prossima crisi – e sicuramente arriverà – dobbiamo essere pronti.”.
Una alternativa a questa tesi è che le banche dovrebbe eventualmente essere autorizzate a creare moneta solo in vista del potenziamento delle attività produttive e non per attività speculative e immobiliari[15]. Se le banche non potessero più creare moneta dal nulla e a costo zero da impiegare nella finanza si eviterebbe il gonfiamento dei debiti e della finanza autoreferenziale, e le crisi finanziarie e economiche sarebbero fortemente limitate se non completamente eliminate.
[1] Elaborazione delle tesi contenute nel saggio di Enrico Grazzini “Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito” Fazi Editore , 2023.
[2] Bank of England “Money in the modern economy:an introduction” By Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate. “There are three main types of money: currency, bank deposits and central bank reserves. Each represents an IOU from one sector of the economy to another. Most money in the modern economy is in the form of bank deposits, which are created by commercial banks themselves. “
[3] Bank of England “Money creation in the modern economy” By Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate “In the modern economy, most money takes the form of bank deposits. But how those bank deposits are created is often misunderstood: the principal way is through commercial banks making loans. Whenever a bank makes a loan, simultaneously creates a matching deposit in the borrower’s bank account, thereby creating new money”. Ovviamente la banca deve sottoporsi a dei vincoli per la creazione di moneta: per esempio deve avere un certo ammontare di capitale proprio commisurato alla rischiosità dell’attivo; deve procurarsi sufficiente moneta di banca centrale per i pagamenti interbancari, ecc.
[4] Enrico Grazzini “Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito” Fazi Editore , 2023.
[5] Tra gli altri vedi Biagio Bossone, Massimo Costa Moneta bancaria: debito o rendita da signoraggio? Economia e politica 15 Febbraio 2018 “Una conseguenza importante, di cui nessuno ha prima d’ora parlato, è che una quota rilevante dei depositi che le banche riportano in bilancio come “debiti verso la clientela” genera redditi in tutto e per tutto analoghi alle rendite da signoraggio generate dalle monete legali (monete, banconote e riserve) emesse dallo Stato. Come si mostra altrove,tale forma di signoraggio introduce nell’economia reale un elemento strutturale di sottrazione netta di risorse, con effetti deflattivi su profitti e/o salari e con conseguenze redistributive e di frizione fra capitale e lavoro, che andrebbero attentamente studiati”.
[6] Nellle economie più finanziarizzate, come in UK e Svizzra, solo il 10-20% dei crediti va alle attività produttive
[7] Bezemer, D., Ryan-Collins, J., van Lerven, F. and Zhang, L. (2018). Credit where it’s due: A historical, theoretical and empirical review of credit guidance policies in the 20th century. UCL Institute for Innovation and Public Purpose Working Paper Series (IIPP WP 2018-11).
[8] Idem
[9] Michael Hudson “The Destiny of Civilization: Finance Capitalism, Industrial Capitalism or Socialism” Islet 2022
[10] Un’altra maniera di creare moneta da parte dello Stato è la moneta digitale con l’apertura delle banche centrali al pubblico – cittadini/e, imprese, enti pubblici). Ma qui non ce ne occupiamo
[11] Martin Wolf Strip private banks of their power to create money Financial Times APRIL 24 2014 “La nuova moneta (creata dallo Stato, NdA) verrebbe immessa nell’economia in quattro modi possibili: per finanziare la spesa pubblica, al posto delle tasse o dei prestiti; per effettuare pagamenti diretti ai cittadini; per riscattare i debiti insoluti, pubblici o privati; oppure per concedere nuovi prestiti tramite banche o altri intermediari. Tutti questi meccanismi potrebbero (e dovrebbero) essere resi trasparenti quanto si potrebbe desiderare”.
[12] Ormai perfino il Fondo Monetario Internazionale e le altre istituzioni ufficiali sono costrette a ammettere che la moneta è un public good. Vedi per esempio: International Financial and Monetary Stability: A Global Public Good? – Remarks by Michel Camdessus, May 28, 1999 At the IMF/Research Conference. Key Issues in Reform of the International Monetary and Financial System Washington, D.C., May 28, 1999.
[13] Martin Wolf Strip private banks of their power to create money Financial Times APRIL 24 2014. La separazione tra creazione di moneta e credito è attualmente promossa dall’associazione europea Positive Money e è supportata in diverse versioni da numerosi accademici. I precedenti storici derivano ovviamente dal Chicago Plan del 1933. Il piano fu sostenuto da importanti economisti come Frank H. Knight, Paul H. Douglas e Henry C. Simons. In diverse forme la separazione tra emissione monetaria e credito è stata notoriamente supportata da economisti del calibro di Milton Friedman e di James Tobin.
[14] Secondo la teoria dei beni comuni di Elinor Ostrom essi possono essere gestiti nella maniera più sostenibile, più efficace e efficiente possibile solo dalle comunità interessate, e non dallo Stato né dal settore privato. Ne deriva che la banca centrale dovrebbe essere governata non da tecnocrati, né da banchieri né da politici ma dai rappresentanti delle comunità interessate alla moneta, ovvero in primis dalle associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori. Vedi Enrico Grazzini “Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito” Fazi Editore , 2023.
[15] Sergio Rossi “Money and Payments in Theory and Practice” Routledge; 2007