La moneta unica sudamericana: utopia o possibile realtà?

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Ricostruire tre decenni, forse anche più, della storia monetaria sudamericana potrebbe risultare un esercizio ambizioso, quasi presuntuoso nel tentativo di afferrare la verità o, almeno, di cercare soluzioni in un labirinto di scenari incerti, che si rivelano tanto illusori quanto fantastici.

Introduzione

Ricostruire tre decenni, forse anche più, della storia monetaria sudamericana potrebbe risultare un esercizio ambizioso, quasi presuntuoso nel tentativo di afferrare la verità o, almeno, di cercare soluzioni in un labirinto di scenari incerti, che si rivelano tanto illusori quanto fantastici. È evidente che, nel contesto delle aspirazioni commerciali di questa regione, si sta verificando un’attività innovativa significativa. Questo richiede un’analisi delle tappe che hanno portato alle attuali proposte, in un contesto di costante precarietà finanziaria e di complesse dinamiche economiche tra Stati confinanti e gli Stati Uniti. Non sorprende, dunque, che per comprendere appieno il quadro generale sia necessario tornare agli anni ’80 del secolo scorso, un periodo cruciale per molti Paesi occidentali segnato dalle crisi finanziarie e energetiche. Come è risaputo, gli eventi nel blocco atlantico influiscono con caratteristiche specifiche anche sul continente sudamericano. Proprio in questa parte del mondo, gli anni ’80 hanno generato situazioni di notevole rilievo.

E come in ogni fase dell’umanità, occorre individuare il cosiddetto “breaking point” (punto di rottura) per tracciare la linea temporale che collega tutti gli eventi: il 20 agosto 1982. Questa data, per molti, potrebbe sembrare insignificante, ma è in realtà il punto di svolta per tutto ciò che è seguito. In quel giorno, il governo messicano dichiarò il default sul proprio debito estero, segnando convenzionalmente l’inizio della “crisi del debito” che coinvolse il cuore dell’America Latina. Durante gli anni ’70, in un breve periodo di tempo, diversi Paesi latinoamericani si indebitarono pesantemente con alcune delle più importanti istituzioni finanziarie mondiali, accumulando un’enorme quantità di debito estero. Questo periodo fu caratterizzato da fenomeni di instabilità interconnessi: l’accelerazione del processo di europeizzazione dei mercati per far fronte al blocco sovietico, il completamento dei processi di ricostruzione delle economie occidentali post-belliche e la manovra a “U” del Direttore della Banca Centrale Americana dell’epoca. Quest’ultimo, per contrastare la crescente inflazione dovuta all’aumento dei costi petroliferi causati dalle crisi in Medio Oriente e nell’area di Suez, aumentò drasticamente i tassi d’interesse, provocando uno shock economico[1]. Questo colpì particolarmente i Paesi sudamericani confinanti, che fino ad allora avevano sperato di poter continuare a stampare moneta e spendere senza restrizioni[2].

Questo lavoro si propone di analizzare i momenti più significativi dell’ultimo trentennio della storia monetaria sudamericana, al fine di comprendere come gli equilibri tra gli Stati possano influenzare la loro posizione nel contesto continentale e oltre. Si passerà dall’esame storico alla situazione attuale, con particolare attenzione ai rapporti tra Argentina e Brasile, considerando i due modelli di governance radicalmente diversi che riflettono le politiche monetarie adottate e il ruolo dei due Paesi sia all’interno del continente che nelle relazioni internazionali. Si cercherà quindi di valutare se la dichiarazione di Lula secondo cui “Le relazioni tra Brasile e Argentina saranno le migliori dell’America Latina” si sia dimostrata profetica o meno, alla luce dei cambiamenti avvenuti.

Gli anni ’80 del Sudamerica: dal sogno liberista all’iperinflazione

Con tali premesse, gli anni ’80 furono estremamente tumultuosi sul fronte finanziario, poiché si avvertiva ancora l’impatto duraturo dell’incremento dei tassi d’interesse. Proprio in quel periodo, l’oro e il petrolio guadagnarono status di principali materie prime, mentre gli Stati Uniti decisero di rallentare la politica dei prestiti per le ricostruzioni post-belliche della Seconda Guerra Mondiale, generando tensioni non solo con gli alleati, ma anche nei Paesi sudamericani. Questi ultimi si resero conto della necessità di reinventarsi per mantenere in equilibrio i bilanci pubblici, considerando l’accelerazione del processo volto a creare un mercato all’interno del blocco occidentale.

Durante la Guerra Fredda, i progressi erano spesso rallentati da conflitti e tensioni. In questo contesto, Margaret Thatcher, in Inghilterra, promosse una politica economica neoliberista. Questa politica, caratterizzata da misure economiche anche radicali, dimostrava una grande fermezza nella gestione delle crisi e portò alla creazione di un’importante alleanza con il Segretario di Stato americano Henry Kissinger. Kissinger sosteneva che le crisi economiche non erano causate dai prezzi elevati del petrolio, ma da un eccessivo protezionismo delle valute nazionali.

Questa visione trovava terreno fertile in Sudamerica, dove si iniziò a discutere della necessità di un nuovo ordine geopolitico. Si parlava di una nuova divisione internazionale del lavoro e dell’integrazione di ampie aree del mondo nello sviluppo economico globale.

Si cominciò in America Latina con i “golpes” orchestrati da militari addestrati nelle accademie militari degli Stati Uniti, supportati da consulenti economici provenienti dalle università americane, dove il “pensiero unico liberista” si affermava.[3]

Di conseguenza, sorse la necessità di istituire organismi sovranazionali in grado di monitorare il sistema monetario attraverso l’adozione di parametri definiti e fissi, al fine di prevenire eccessive svalutazioni delle valute. L’obiettivo principale era rafforzare la credibilità e l’efficacia del Fondo Monetario Internazionale (FMI), istituito nel 1945 durante la Seconda Guerra Mondiale attraverso gli Accordi di Bretton Woods, con lo scopo di prevenire grandi crisi finanziarie come quella del 1929, che aveva dato inizio alla Grande Depressione negli Stati Uniti.

Tuttavia, questa strategia non convinse completamente tutti, e si ricorse immediatamente all’acquisto di Buoni Ordinari del Tesoro (BOT) per consolidare le riserve di ciascun Paese. Come spesso accade nell’economia, il fenomeno del “cigno nero” era sempre in agguato e pronto a manifestarsi. Infatti, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, l’acquisto continuo di titoli del tesoro provocò un’iperinflazione del mercato tale che il 19 ottobre 1987 si verificò il “Lunedì nero delle borse mondiali[4]. Secondo Hugh Johnson, esperto di trattative, questo evento era considerato: “la fine del mondo; la fine del toro“.[5]

Le dichiarazioni suscitarono una nuova crisi che portò a una svalutazione dei titoli fino al 20%, colpendo soprattutto l’S&P e il Dow Jones. Inoltre, i sistemi informatici dell’epoca non furono in grado di gestire adeguatamente la situazione. Gli esperti di mercato considerano ancora oggi la crisi del 1987 come la peggiore di sempre, non solo per il suo impatto globale sulle borse, ma anche perché ha evidenziato la necessità in Sudamerica di avere un mercato interno robusto capace di resistere agli effetti delle crisi provenienti dall’America e dall’Occidente.

Le cause del crollo del mercato azionario erano poco chiare e includevano l’incapacità dei sistemi di valutazione del rischio, le modalità di compravendita delle azioni e i tassi d’interesse elevati. Si diffuse l’idea che il crollo fosse stato causato dalla paura e dall’eccessiva indicizzazione dei listini, creando una bolla speculativa che generò una confusione latente, di cui molti non si accorsero fino a trovarsi bloccati in una situazione difficile da gestire. Per comprendere appieno le conseguenze di questo evento, è necessario considerare anche i contesti storici dei Paesi coinvolti.

Il quadro storico sinottico ha spinto alla riflessione sui principali Stati, dai quali emergono, più o meno chiaramente e talvolta in modo distorto, i riferimenti politici. Iniziamo con l’Argentina, dove gli anni ’80 segnarono la fine della dittatura di Jorge Rafael Videla, rovesciato da un colpo di stato guidato dal Generale Roberto Eduardo Viola. Ma questo fu solo il primo dei “golpes” che il Paese attraversò: nello stesso anno, infatti, salì al potere Leopoldo Galtieri, il quale, a seguito della sconfitta nelle Falkland, fu costretto a dimettersi. Le giunte militari non si fermarono qui, continuando soprattutto durante il conflitto con la Gran Bretagna per il controllo delle isole Falkland, una questione che vede ancora oggi l’Argentina rivendicare il diritto di influenza su quelle terre presso l’ONU. Questa rivendicazione si affianca a un crescente interesse cinese nel penetrare il commercio occidentale[6]. Dopo il fallimento di un tentativo di governo nel 1983, la democrazia fu ristabilita con l’elezione di Raúl Alfonsín, che avviò una ripresa economica a Buenos Aires. Alfonsín stabilizzò i rapporti con i partner regionali e cercò di aprire l’Argentina al commercio internazionale, convinto che il paese potesse prosperare attraverso scambi e riforme. Tuttavia, durante la crisi dei mercati del 1987, Alfonsín si rese conto che l’economia argentina aveva fondamenta meno solide di quanto pensasse e che erano necessari interventi per affrontare le difficoltà economiche emergenti in Europa.

Il suo successore, Carlos Menem, continuò le politiche avviate da Alfonsín. Menem capì l’importanza di attuare le riforme sviluppate nei decenni precedenti, ispirate dagli eventi storici come le guerre d’indipendenza contro la Spagna. Dopo queste guerre, i Paesi sudamericani avevano concepito trattati di integrazione economica per aumentare la loro indipendenza economica e presenza sui mercati internazionali, riducendo la dipendenza dall’estero. Questa strategia rispondeva anche alla necessità di industrializzazione e di creare occupazione per stimolare la crescita del PIL, che fino ad allora era stata insoddisfacente. La Commissione Economica per l’America Latina (CEPAL), fondata nel 1948 per promuovere il libero scambio nella regione, fornì un contesto utile per questo obiettivo. I presupposti per un mercato unico erano già presenti e dovevano solo essere aggiornati alle condizioni attuali.

Tuttavia, questo processo non poteva essere realizzato unilateralmente; era essenziale stabilire relazioni commerciali durature con alleati e partner, allo scopo di bilanciare le esportazioni e le importazioni in modo da ridurre le discrepanze con le altre potenze mondiali.

Tra i Paesi sudamericani, il Brasile era particolarmente rilevante. Negli anni ’80, il Brasile affrontò un momento cruciale, cercando di instaurare la democrazia mentre era immerso in una grave crisi economica. La situazione cominciò a cambiare nel 1985, quando José Sarney divenne presidente, succedendo a João Figueiredo, il cui vice, Tancredo Neves, era deceduto. Sarney, purtroppo, non aveva il pieno sostegno dei suoi colleghi e continuava a sostenere il vecchio sistema che aveva portato a un’inflazione molto alta, gravando sull’economia del Brasile. Tuttavia, nonostante le difficoltà, Sarney riuscì a mantenere una certa speranza di superare la crisi.

Nel 1988, il Brasile adottò una nuova Costituzione, considerata molto più moderna e progressista rispetto ai modelli precedenti e alle tendenze autoritarie dei Paesi vicini. La nuova Costituzione includeva il riconoscimento dei diritti dei lavoratori e mirava a promuovere il progresso sociale in vari ambiti, come la cultura, l’economia e il sostegno alle persone più svantaggiate. Tuttavia, la stabilità costituzionale fu messa a rischio.

Negli anni ’90, Fernando Collor de Mello entrò sulla scena politica brasiliana e criticò gli stipendi elevati dei dipendenti pubblici, che considerava responsabili dell’inflazione crescente. Questa critica portò a problemi economici profondi, che influenzarono seriamente la vita politica ed economica del Paese.

Collor de Mello aveva un forte sostegno elettorale, avendo sconfitto Lula nelle elezioni precedenti. Questo portò a una maggiore vicinanza politica con l’Argentina, e i segnali positivi provenienti da Buenos Aires ispirarono politici e cittadini brasiliani a cercare un cambiamento, sfidando le influenze esterne che sembravano mantenere il Sudamerica in una condizione di subordinazione. Questo desiderio di riscatto era radicato anche nel passato economico solido del Brasile e di altri Paesi sudamericani come il Cile, il Perù, il Paraguay e l’Uruguay.

Le implicazioni sulle monete nazionali e il Mercosur

Dal punto di vista monetario, sin dalla fine della Prima Guerra Mondiale, il dollaro è stato il principale punto di riferimento. Gli Stati Uniti, approfittando della svalutazione delle banche britanniche, hanno acquisito un controllo significativo sulle aziende sudamericane. Ad esempio, le imprese americane controllavano circa il 60% della produzione di zucchero a Cuba, il 92% del rame in Cile, e la totalità della produzione industriale in Paesi sudamericani come Guatemala, Honduras e Venezuela.

Questo controllo commerciale ha avuto conseguenze anche sul piano politico. I governi militari, capaci di mantenere l’ordine e prevenire disordini civili, ricevevano ampio sostegno poiché garantivano la stabilità necessaria per mantenere il controllo politico ed economico. Il dollaro è diventato la valuta dominante, soprattutto per l’export e le transazioni commerciali, arricchendo gli Stati Uniti e indebolendo le valute locali.

Le monete sudamericane mostravano costantemente segni di debolezza rispetto al dollaro, con un divario troppo ampio per considerare un avvicinamento. Gli Stati Uniti, attraverso la gestione regolata della propria moneta e le politiche della Federal Reserve, esercitavano un controllo che non poteva essere ignorato. Questa situazione si aggravava ulteriormente a causa dei tassi di indebitamento elevati dei Paesi sudamericani.

Nonostante la diffusa dollarizzazione, questi anni segnarono per alcuni Paesi sudamericani un’era di inflazione ribattezzata “iperinflazione”, caratterizzata da una continua emissione di moneta. Questo fenomeno fu strettamente legato alla scoperta di immense risorse petrolifere, che spinsero gli Stati a basare le loro economie esclusivamente sui giacimenti di combustibili fossili. Un caso emblematico fu quello del Venezuela, che raggiunse un tasso di estrazione del 100%. Tuttavia, il governo di Caracas decise di nazionalizzare l’industria petrolifera, provocando uno scossone difficile da gestire. Negli anni ’80, temendo l’esaurimento delle preziose riserve di petrolio, il governo venezuelano decise di ridurre la produzione di barili. Nello stesso periodo, a causa di un eccesso di offerta, il prezzo del petrolio crollò: questo mix fu letale e l’economia venezuelana, che dipendeva per il 96% dalle entrate petrolifere, vacillò. In sei anni, dal 1981 al 1987, il prezzo del petrolio precipitò da 106 a 32 dollari al barile, e il PIL del paese seguì la stessa tendenza, diminuendo del 46%. Il decennio fu crudele, e con minori risorse economiche, il Venezuela si rese conto gradualmente dell’insostenibilità del suo modello di welfare state.[7]

Con il crollo dei petroldollari e l’eccessiva emissione di moneta, l’intero sistema economico e monetario sudamericano ha visto la formazione di una bolla inflazionistica difficile da gestire. Questa situazione ha innescato una serie di effetti a catena che hanno influenzato anche le politiche economiche di altri Stati, portando a discussioni su modifiche dei tassi di cambio e alla dedollarizzazione. Paesi come Argentina e Brasile hanno attraversato diverse crisi a causa della difficoltà dei governi di garantire stabilità politica ed economica, con frequenti cambiamenti di politica monetaria che hanno alimentato l’uso instabile della valuta.

Il caso dell’Argentina è particolarmente significativo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il paese ha subito crisi economiche che hanno portato a frequenti svalutazioni della moneta e alla creazione di nuove denominazioni per correggere i disavanzi di bilancio. Ci sono state cinque fasi principali nella storia del peso argentino:

  • 1881-1969: Il peso argentino era la valuta principale durante un periodo di crescita economica guidata dall’industria e dal petrolio.
  • Anni ’70: La crisi dei mercati portò alla svalutazione del Peso Moneda Nacional, che fu sostituito dal Peso Ley con un tasso di cambio di uno a cento.
  • 1983: Fu introdotto il Peso Argentino con un tasso di cambio di uno a diecimila, ma anche questa misura si rivelò inefficace.
  • 1991: Il Peso Argentino fu sostituito dal Nuovo Peso, mantenendo un tasso di cambio di uno a diecimila.

Strategia di Convertibilità: Negli anni ’90, l’Argentina legò il nuovo Peso al dollaro con un tasso di cambio fisso di uno a uno (1:1) per stabilizzare l’economia e migliorare la competitività.

Anche il Brasile ha avuto una storia simile con il Real. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Real fu temporaneamente sostituito dal Cruzeiro, che sopravvisse nonostante alti tassi di inflazione. Ispirandosi al modello argentino e adottando nuovi piani economici negli anni ’90, il Brasile introdusse il Real come valuta ufficiale, fissando anch’esso un tasso di cambio di uno a uno.[8]

In questo contesto, il dollaro era visto come un modello da seguire per guidare l’economia, migliorare la posizione globale e diventare una delle principali potenze economiche. L’obiettivo era esportare materie prime come caffè, cacao, cioccolato e prodotti ortofrutticoli. Inoltre, si cercava di attrarre investitori stranieri introducendo manodopera specializzata, il che portava alla delocalizzazione delle sedi aziendali e contribuiva in modo significativo al PIL.

Il “real” brasiliano, però, attraversò diversi periodi di crisi, in particolare riguardo al tasso di cambio. Il rapporto cambiò da due a uno nel 1999, a quattro a uno nel 2002, per poi stabilizzarsi a livelli più sostenibili a metà degli anni 2000. Questo miglioramento non riguardava solo l’avvicinamento al dollaro e al mercato statunitense, ma anche un allineamento delle strategie di sviluppo economico tra Argentina e Brasile. Questi due Paesi divennero un punto di riferimento per l’intera regione dell’America Latina. Entrambe le economie avevano precedentemente trascurato questo processo a causa della presenza dei regimi militari.

La ritrovata democrazia puntava a ricostruire non solo il tessuto sociale e valoriale, ma soprattutto quello economico, che era stato gravemente danneggiato da interessi irresponsabili. L’enorme peso dei debiti esteri accumulati negli anni precedenti, la mancanza di nuovi prestiti e la necessità di investimenti per modernizzare e rendere competitive le imprese sui mercati internazionali rendevano evidente la necessità di cooperare per evitare un collasso economico simile a quello dei Paesi vicini.

Nel 1985, il Presidente argentino Alfonsín e il Presidente brasiliano Sarney confermarono l’intenzione di perseguire obiettivi comuni. Si cercò di creare un quadro politico adatto per questo scopo. L’Argentina propose una “associazione preferenziale” con il Brasile e invitò i rappresentanti brasiliani a una riunione privata all’inizio del 1986 per discutere la proposta. Poco dopo, il Brasile invitò a sua volta i rappresentanti argentini per definire i dettagli dell’accordo.

Nel dicembre 1985, con la dichiarazione di Foz de Iguazú, i due Paesi si impegnarono a presentare entro metà 1986 una relazione con i principi fondamentali per lo sviluppo di una cooperazione che si configurava come un’unione doganale. L’obiettivo era facilitare la circolazione delle merci e creare condizioni di mercato favorevoli per una competizione positiva. Questo impegno si concretizzò l’anno successivo quando l’Argentina invitò ufficialmente il Brasile a una serie di incontri tecnici per definire meglio i parametri del mercato comune, cercando di evitare gli errori del passato come l’aumento del protezionismo, che era avvenuto in iniziative precedenti come l’ALADI.

Concordati i dettagli, fu tracciata una roadmap con linee guida precise, tra cui il libero commercio per aumentare la produzione, lo sviluppo industriale basato sulla tecnologia piuttosto che sulle materie prime, il rinnovo delle attrezzature e l’apertura verso nuove opportunità commerciali e tecnologiche.

Nel 1988, il trattato fu firmato anche dall’Uruguay, e successivamente fu sottoscritto il Trattato di Asunción del Paraguay, con un periodo di prova di quattro anni durante il quale i Paesi partecipanti ottennero l’accesso al libero scambio. Il Mercosur (Mercado Común del Sur) entrò in vigore il 1° gennaio 1995, comprendendo Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, e fu aperto ad altri Stati. Questo trattato rappresentava una concreta realizzazione di un’idea di unione doganale che risaliva ai primi del ‘900, ma che non si era mai realizzata a causa dei regimi politici precedenti. La restaurazione della democrazia permise di riprendere e concretizzare questa idea. L’obiettivo era armonizzare le spese e creare una rete di scambi duratura.

Il Mercosur ha due organi principali:

  1. Il Consiglio del Mercato Comune: composto dai Ministri degli Esteri o dell’Economia dei Paesi membri. Questo consiglio si occupa della pianificazione e delle decisioni politiche. La presidenza viene assunta a turno da ciascun membro per sei mesi, seguendo un ordine alfabetico. Le decisioni devono essere prese all’unanimità per garantire che tutti i membri abbiano voce in capitolo.
  2. Il Gruppo Mercato Comune (GMC): gestisce le funzioni esecutive e traduce le decisioni del Consiglio in azioni pratiche. Si occupa di applicare le norme dei trattati e di negoziare con Paesi esterni. Il GMC si riunisce ogni tre mesi e le decisioni sono prese all’unanimità. È composto da quattro membri permanenti e quattro supplenti per ogni Paese membro.

La collaborazione tra i governi argentini e brasiliani ha aiutato il Mercosur a svilupparsi, anche se l’Argentina ha affrontato una grave crisi economica all’inizio degli anni 2000, dovuta all’iperinflazione e al dominio del dollaro. Gli eventi globali, come il conflitto in Afghanistan e gli attacchi terroristici di Al-Qaeda, hanno influenzato il valore del dollaro e i mercati esteri.

Nonostante le sfide, il Mercosur è riuscito a inserirsi nei principali forum commerciali globali, aderendo all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Questo ha aumentato la sua credibilità e ha contribuito a migliorare le prospettive di sviluppo, anche grazie alla presenza di una forte comunità di immigrati di origine italiana e occidentale.

Tuttavia, con il cambiamento dei governi in Argentina e Brasile, il processo di integrazione del Mercosur ha rallentato a causa della maggiore attenzione ai problemi interni dei vari Stati.

Durante la presidenza di Jair Bolsonaro, dal 2018 al 2023, il Brasile ha vissuto una fase difficile. Bolsonaro, un veterano del Parlamento brasiliano dal 1991, è salito al potere dopo la condanna e successiva assoluzione del suo rivale Lula da Silva. La sua elezione è stata significativa, poiché ha ottenuto il sostegno dei “fazenderos”, gli agricoltori che, nonostante il loro tradizionale orientamento a sinistra, si erano sentiti trascurati dalle precedenti amministrazioni di Lula e Rousseff.[9] Bolsonaro, sostenitore dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha affrontato la pandemia di Covid-19 con posizioni contrarie alla scienza ufficiale. Per mantenere attivo il sistema produttivo, ha contribuito a far diventare il Brasile uno dei Paesi con il più alto numero di contagi. Ha minimizzato l’importanza delle chiusure e ha promosso teorie del complotto internazionali.

Durante il suo mandato, l’Argentina ha continuato a richiedere prestiti internazionali per cercare di risolvere il proprio debito pubblico, raggiungendo un tasso di inflazione del 95% nel 2019. Questo ha avvicinato il Paese al rischio di un nuovo default, accentuato dall’instabilità politica interna.

Con la fine della crisi pandemica e l’assoluzione di Lula nel 2021, seguita dalla sua rielezione nel 2022, è riemersa la proposta di creare una moneta unica digitale per migliorare le esportazioni tra Argentina e Brasile.

Sotto la guida di Lula, il Brasile ha avanzato la proposta di creare una nuova moneta chiamata “SUR” (acronimo di SUD) per i Paesi del Sudamerica. L’idea è di aumentare le esportazioni e fornire un punto di riferimento monetario stabile, mantenendo comunque il real brasiliano e il peso argentino.

La proposta ha suscitato polemiche. Da un lato, potrebbe rappresentare un tentativo di distaccarsi dal dollaro come valuta per gli scambi commerciali con i Paesi vicini. Dall’altro lato, ha sollevato dubbi sulla sua realizzabilità e sui rischi economici.

Lula ha chiesto scusa agli argentini per le tensioni causate dall’atteggiamento di Bolsonaro e ha ribadito la volontà del Brasile di promuovere l’integrazione continentale tra governi di sinistra. Tuttavia, la proposta è stata vista come una provocazione verso gli Stati Uniti e ha sollevato interrogativi sulla sua fattibilità.

La proposta di integrazione monetaria tra Brasile e Argentina non si basa su parametri simili a quelli dell’Unione Europea. Il SUR sarebbe un’unità di conto destinata a rafforzare l’economia della regione e a facilitare il commercio bilaterale, ma non fungerebbe né come moneta di scambio né come riserva.

Un esempio comparabile è il SUCRE (Sistema Unificado de Compensacion Nacional), lanciato da Cuba per facilitare il commercio tra Bolivia, Nicaragua e Venezuela. Il SUCRE aveva l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal dollaro, ma fallì poco dopo il suo avvio.

Non è chiaro se Lula stia cercando di entrare nel mercato delle monete digitali con questa proposta. Tuttavia, è evidente che la creazione di una nuova moneta, come il SUR, potrebbe indicare un tentativo dei Paesi sudamericani di ridurre la dipendenza dal dollaro e di ottenere maggiore autonomia economica. Sebbene il dollaro abbia avuto effetti positivi sul commercio, ha anche creato una forte dipendenza che i Paesi della regione desiderano superare.

Con questa proposta, Lula si posiziona come leader di un possibile cambiamento economico in Sudamerica, evidenziando il ruolo del Brasile nella regione. Questo tentativo potrebbe mettere in secondo piano l’Argentina, poiché il Brasile ha gestito meglio la ripresa economica post-Covid grazie a un’industria più solida. Lula, avendo osservato lo sviluppo dell’euro, riconosce i benefici di una moneta unica per i mercati, ma non è certo che una simile manovra sia realizzabile in Sudamerica.

L’economista Andrea Cornia dell’Università di Firenze osserva: “Questo renderebbe le economie sudamericane meno dipendenti dal dollaro. Attualmente, tutte le materie prime, inclusi petrolio e altri beni, sono valutati in dollari, il che rappresenta un problema per le economie instabili del Sudamerica. Con il SUR, invece, gli scambi avverrebbero nella stessa moneta. Noi europei conosciamo i benefici di una moneta unica.”[10]

Dall’analisi emerge chiaramente che, prima di avviare un processo di integrazione economica in Sudamerica, i Paesi della regione dovrebbero sistemare i propri bilanci, in modo simile a quanto avvenuto con il Trattato di Maastricht in Europa. È fondamentale affrontare prima il problema dell’inflazione e delle disuguaglianze sociali, che sono ancora evidenti e urgenti. Finora, sono state adottate solo misure temporanee che hanno dato risultati deludenti. Tuttavia, è importante notare che il divario nei settori assistenziale, sanitario e scolastico, soprattutto nelle grandi città, è diminuito.

Un altro aspetto da considerare è la limitazione geografica degli interventi. Paesi come la Guyana e il Belize, legati al colonialismo inglese, hanno una stabilità difficile da modificare. Quindi, un’unione economica composta dai principali Paesi dell’America Latina – Argentina, Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay e Messico – dovrebbe riconoscere Lula come leader, simile al ruolo che la Germania di Angela Merkel ha avuto in Europa, come sottolinea il Professor Cornia.

Tuttavia, Lula affronta una nuova sfida con il cambiamento politico in Argentina. Javier Milei, un ultra-liberista, è salito al potere e propone di fare una riforma radicale dell’economia argentina. Tra le sue proposte ci sono l’eliminazione di ministeri ritenuti non necessari[11], e la dollarizzazione dell’economia, con l’intento di cancellare il debito pubblico e ricominciare da zero. Tuttavia, ci sono due fattori che influenzano l’inflazione: la svalutazione del tasso di cambio e le aspettative future.

Dopo una svalutazione iniziale del peso del 54%, il governo ha previsto ulteriori svalutazioni del 2% al mese. Queste svalutazioni rendono le importazioni più costose e contribuiscono all’inflazione. Attualmente, il tasso di cambio ufficiale è di 838 pesos per dollaro americano, mentre il tasso di cambio informale, noto come “cambio blue”, è di circa 1.085 pesos per dollaro (dati aggiornati al 23 febbraio 2024).

Infine, dopo un lungo periodo di inflazione, le aspettative di individui e aziende sono influenzate più dall’esperienza passata che dai cambiamenti futuri, creando un meccanismo inflazionistico difficile da modificare. A partire da dicembre, l’inflazione è aumentata notevolmente a causa dell’aumento delle tariffe di molti servizi pubblici e degli effetti della svalutazione. Infatti, l’inflazione è stata del 25,5% a dicembre 2023 e del 20,6% a gennaio 2024 (variazione mensile). Nonostante il miglioramento rispetto a dicembre, l’inflazione rimane molto elevata e la lotta contro di essa non può considerarsi conclusa solo con l’azzeramento del disavanzo di bilancio.[12]

Conclusioni

Appare evidente, quindi, che sarà estremamente difficile per Lula abbattere il muro ideologico che si è creato con l’Argentina, anche se continua a mantenere rapporti molto stretti con l’opposizione di sinistra del governo di Buenos Aires. Al momento sembra che il progetto sia stato accantonato e che l’obiettivo principale di Lula sia quello di criticare il “vicino di casa” per le sue affinità ideologiche e personali con l’ex presidente Bolsonaro, dal quale è proibito avvicinarsi in Brasile a causa delle accuse di tentato condizionamento delle elezioni precedenti, con l’obiettivo di sovvertire il risultato delle urne e alimentare tensioni civili, analogamente a quanto fece Trump in occasione dell’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca con gli eventi del 6 gennaio 2021.

Ciò che si prospetta all’orizzonte è un banco di prova significativo sia per Lula, per dimostrare le sue capacità di leadership nel contesto sudamericano, sia per l’Argentina, per mostrare al mondo la sua vera natura e se ha imparato dagli errori passati, evitando di ripetere le stesse problematiche del Brasile e di trovarsi in situazioni svantaggiose per il futuro, sia a livello nazionale che internazionale.

In questo contesto, i dati argentini sono significativi. Milei ha avviato una politica economica di austera riduzione che non si limita solo all’adeguamento ministeriale, ma si estende anche al tasso di cambio della moneta, che è passato da 320 a 800 pesos per un dollaro, con l’obiettivo di promuovere un uso sempre più diffuso del dollaro. Questo contrasta direttamente con gli obiettivi di creazione di una moneta unica sudamericana. È proprio per questo motivo che ora spetta a Lula un ruolo di mediatore con gli altri paesi sudamericani, per dimostrare come Milei stia riportando l’Argentina agli oscuri giorni del populismo estremo, specialmente nei primi anni del secondo decennio del 2000.

Con un tasso di inflazione del 211,4% nel 2023, è difficile immaginare che Lula possa influenzare significativamente le politiche argentine per realizzare l’idea di una moneta unica. Ciò comporterà inevitabilmente un periodo di instabilità nell’area, poiché sarà necessario trovare un modo per garantire uno scambio commerciale corretto, specialmente considerando che Buenos Aires ha ora un forte bisogno di importazioni per evitare il default.

È in questo contesto che il resto degli attori deve dimostrare di sapersi adattare e riconoscere il Brasile non solo come punto di riferimento normativo, ma anche economico. Proprio ora che il governo di Lula ha approvato la “Nova Industria Brasil”, testimoniando come il settore manifatturiero abbia registrato la maggiore ripresa post-Covid, è chiaro che si riconosce nel lavoro di Lula una visione strategica che posiziona il Brasile in una posizione contrattuale favorevole.


Il presente lavoro rappresenta il risultato di una ricerca collaborativa. L’introduzione e il primo capitolo sono stati redatti dal Prof. Renato Ghezzi, mentre il secondo capitolo è stato curato dal dottor Elia Fiorenza. Le conclusioni sono state elaborate congiuntamente da entrambi gli autori.


Bibliografia
  • Boughton, J. (2001). Silent Revolution: The International Monetary Fund, 1979-1989. International Monetary Fund, 269.
  • Leonardo Casalino, Cahiers d’√©tudes italiennes, pag 13, UG A √âditions/Universit√© Grenoble Alpes, 2012;
  • Bongiovanni, M. (2022, 17 giugno). Il piano di Lula: una moneta unica per l’America Latina. Valori.it. https://valori.it/lula-moneta-unica-america-latina/
  • Cassis, Y. (2011). Crises and opportunities: The shaping of modern finance. New York: Oxford University Press.

[1] James Boughton, Silent Revolution: The International Monetary Fund, 1979-1989, International Monetary Fund, 2001, p. 269

[2] Youssef Cassis, Crises and opportunities: The shaping of modern finance, New York, Oxford University Press, 2011, p. 37.

[3] Leonardo Casalino, Cahiers d’études italiennes, , UG, Éditions/Université Grenoble Alpes, 2012 p. 13.

[4] Il 19 ottobre 1987, noto come “Lunedì Nero”, è il giorno con il maggior ribasso storico delle Borse mondiali in una sola seduta, superando la crisi del 1929. In tale giornata, il Dow Jones perse il 22% del suo valore, un calo doppio rispetto a quello del “giovedì nero” del 24 ottobre 1929. Contesto e Conseguenze: Nel 1987, il mercato azionario americano, che aveva sperimentato una forte crescita economica negli anni ’80, impiegò due anni per recuperare i livelli precedenti. Il panico del Lunedì Nero fu amplificato dall’uso crescente di sistemi elettronici e dalla globalizzazione. In risposta, furono introdotti meccanismi di sospensione automatica delle contrattazioni per ridurre l’impatto dei ribassi superiori al 10%. Da allora, i maggiori crolli del mercato hanno comportato perdite intorno al 7%, come nel caso dell’attacco alle Torri Gemelle l’11 settembre 2001.

[5] Gaia Giorgio Fedi, Il lunedì nero che sconvolse le Borse mondiali (e la lezione che possiamo trarne) in FocusRisparmio, 18.10.2021. https://www.focusrisparmio.com/news/lunedi-nero-wall-street-benetti-gam, (link consultato 10.02.2024)

[6] Stefano Modena, Falkland e Malvinas: una contesa tra passato e futuro, in Geopolitica.info, 04.10.2023, https://www.geopolitica.info/falkland-e-malvinas-una-contesa-tra-passato-e-futuro/, (link consultato il 04.02.2024).

[7] Alessandro Rosset, Venezuela, storia di uno Stato ricco gestito male, in Orizzonti Politici, 12 novembre 2018. https://www.orizzontipolitici.it/venezuela-storia-di-uno-stato-ricco-gestito-male/, (link consultato il 03.04.2024)

[8] Il Real del Brasile: storia, valore e cambio della moneta brasiliana, in Small World Financial, 14 marzo 2023.

https://www.smallworldfs.com/it/blog/il-real-del-brasile-storia-valore-e-cambio-della-moneta-brasiliana, (link consultato il 13.04.2024)

[9] Francesca Campanini, L’assoluzione di Lula e la complicata situazione del Brasile, in Frammenti Rivista, 1° aprile 2021. https://www.frammentirivista.it/lula-situazione-brasile/, (link consultato il 15.04.2024).

[10] Maurizio Bongiovanni, Il piano di Lula: una moneta unica per l’America Latina, in Valori (Fondazione Finanza Etica) 17 giugno 2022. https://valori.it/lula-moneta-unica-america-latina/ (link consultato il 21.04.2024).

[11] Simona Lazzari, Argentina: Milei eliminerà 12 ministeri, in Periodicodaily, 22 novembre 2023. https://www.periodicodaily.com/argentina-milei-eliminera-12-ministeri/, (link consultato il 26.04.2024).

[12] Argentina: prova della realtà per la cura Milei, in ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), 05 marzo 2024. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/argentina-prova-della-realta-per-la-cura-milei-165395, (link consultato il 25.04.2024).

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