Acquisita la decisione della Banca centrale europea di prolungare fino al prossimo settembre il programma di acquisti di titoli di Stato ed altri assets finanziari (Quantitative easing), con l’immissione nel “sistema” di altri 270 miliardi di euro (creati dal nulla), a tenere banco nel mondo della finanza è ora la riforma dell’Euribor (acronimo di Euro Interest Bank Offered Rate). Cos’è l’Euribor? Molto semplicemente, il prezzo al quale le banche si prestano il denaro tra di loro. Soltanto? No, da questo parametro discendono anche i tassi che si applicano ad una serie di “prodotti” bancari, tra cui i mutui ipotecari a tasso variabile (un mercato che vale 180 mila miliardi di euro). Ergo: quando chiediamo soldi in prestito alla nostra banca, il prezzo al quale dovremo restituirlo dipende molto da questo parametro.
Ogni giorno, entro le 10,45, 20 istituti di credito comunicano il valore dei tassi ai quali “ritengono” che le banche si prestino il denaro. Alle ore 11, l’agenzia Reuters, scremando i dati forniti dalle banche, comunica il tasso Euribor per le varie scadenze dei prestiti. Al vertice del sistema, lo European Money Market Institute (Emmi), un’associazione natata contemporaneamente all’euro, i cui membri sono le associazioni bancarie degli Stati membri dell’Unione europea.
Finora, quindi, la determinazione di questo indice è avvenuta coniugando andamento del mercato e, in un certo senso, “discrezionalità” degli attori convolti. Ovvero: il risultato finale è stato sempre il frutto di una stima, di una valutazione ponderata, anziché della mera, fedele, registrazione dei tassi praticati nel mercato interbancario. E questo è stato all’origine di molti dubbi (e di qualche scandalo) sull’uso che alcune banche avrebbero fatto di questo potere, soprattutto negli anni più burrascosi della crisi. Ci vuole poco a capire, d’altronde, che un certo margine di discrezionalità nel manovrare il costo del denaro, per le banche può significare una grande opportunità di guadagno. Non solo per i tassi da praticare sui mutui (a scapito dei cittadini), ma anche, e soprattutto, per una serie di attività speculative che hanno come base lo stesso costo del denaro. Ci sono derivati il cui sottostante è dato proprio dall’Euribor, il cui mercato ha avuto una gigantesca espansione negli ultimi anni. Vuoi mettere la possibilità di farne il prezzo? Basta creare un cartello, tra le banche che compongono il cosiddetto panel, e il gioco è fatto. Che poi è quello che materialmente è accaduto negli anni scorsi, come dimostrano alcuni casi giudiziari recenti che hanno coinvolto importanti istituti di credito, tra cui Barclays, Credìt Agricole o Deutsche Bank.
Ora, però, si dovrebbe cambiare. Ma come? In linea di principio la riforma dovrebbe rendere tale parametro più aderente alla realtà. Anche più volatile, soggetto a repentine fluttuazioni, dato che a determinarlo dovrebbe essere il mercato. Una sorta di liberalizzazione nel mercato liberalizzato dei capitali. In realtà, le ipotesi che circolano fanno supporre che il nuovo tasso d’interesse sarà un “ibrido”, nel senso che a determinarlo saranno sia le transazioni reali nel mercato interbancario, sia altri dati (o prezzi), sui quali, però, ancora non c’è nessuna certezza (certamente interessi su carte, scoperti, ecc.). Fatta la legge, trovato l’inganno, verrebbe da dire. Perché con questo metodo a rimetterci sarà ancora la trasparenza (e di conseguenza i cittadini). Chi assicurerà che il percorso di monitoraggio delle operazioni e, infine, la determinazione del valore dei tassi saranno scevri da condizionamenti da parte degli operatori stessi? Sembra che la giostra della speculazione stia scaldando i motori, in attesa che finisca l’effetto dopante del Quantitative easing sui tassi d’interesse.
Quale che sarà la soluzione, pertanto, rimane il problema di una finanza che sfugge totalmente al controllo politico e democratico. Dall’indipendenza assoluta della Bce, fino alla determinazione dei tassi di interesse sui mutui, passando per il mare magnum dei derivati, appare evidente che la finanza influisce sulle nostre vite in maniera inversamente proporzionale alla nostro potere di orientarne le finalità.