La crisi pandemica ha messo sotto pressione i sistemi sanitari nazionali. Provando a mettere da parte il dibattito sull’adeguatezza della spesa sanitaria è forse opportuno ritornare a discutere sulle motivazioni che giustificano il finanziamento dei sistemi sanitari attraverso i bilanci pubblici. Il presente contributo cerca di mostrare come il concetto di bene di merito, teorizzato da Musgrave, limitando l’ipotetica sovranità del consumatore, possa ancora contenere una forte e valida giustificazione dell’intervento dello Stato a tutela della salute pubblica attraverso il sistema sanitario.
La sanità pubblica italiana ha ricevuto finanziamenti adeguati negli anni del pre-covid o i tagli subiti nel periodo dell’austerità ne hanno limitato sensibilmente la capacità di contrasto della pandemia? Su questa rivista, Saramani (2020) ha documentato una contrazione della spesa sanitaria pubblica nel triennio 2011-2013 senza precedenti nella storia del Servizio Sanitario Nazionale. Rizzo e Secomandi (2020) in un recente articolo pubblicato su la voce.info sono di opinione diversa. Secondo gli autori il problema non sarebbe l’ammontare di spesa pubblica sanitaria – rimasta invariata in termini reali tra il 2010 e il 2018 – ma i costi troppo elevati ai quali si offrono servizi di qualità e in quantità insoddisfacenti.
Questo disaccordo sui dati non deve stupire. Gli economisti spesso si dividono quando sono chiamati a giudicare se lo Stato spende “troppo” o “troppo poco”. Si tratta di un dissenso connaturato al dibattito tra scuole di pensiero che propongono idee alternative sul ruolo dello Stato in economia. Perciò, prima di dividersi sul “quanto” si spende in sanità pubblica, è sempre utile far precedere queste valutazioni da qualche considerazione sul “perché” il settore pubblico finanzia la sanità o, come sarebbe meglio dire per gli argomenti esposti più avanti, a salvaguardia della salute pubblica.
L’intento del presente scritto è ritornare ad offrire il concetto di bene di merito teorizzato dal Musgrave (1959, 1987) come principale giustificazione dell’intervento dello Stato nel settore della Sanità.
Su questo tema è intervenuto di recente Vittorio Pelligra in un interessante articolo apparso sulle colonne del Sole24ore lo scorso 19 aprile. Riprendendo gli argomenti originariamente esposti da Hardin in “The tragegy of the Commons”, Pelligra motiva l’intervento pubblico in ambito sanitario per la natura di bene comune della sanità ovvero, nel linguaggio tecnico da economisti, per la sua natura di pubblico misto con le proprietà di rivalità e di non escludibilità. Una conclusione alla quale l’autore arriva a partire dalle definizioni utilizzate dagli economisti di beni pubblici (puri e misti) e beni privati. Definizioni che sarà utile richiamare brevemente per chiarezza. Seguendo un approccio di finanza pubblica possiamo definire beni pubblici puri quei beni che risultano tecnicamente ed economicamente non escludibili, caratterizzati dal consumo congiunto proprio sulla base della non rivalità. Un bene pubblico puro è non escludibile nel senso che non è possibile impedire di consumarlo a chi non ha pagato per averlo. Gli evasori, ad esempio, beneficiano dell’illuminazione pubblica come ogni onesto contribuente. Ed è non rivale nel consumo: il bene può essere consumato congiuntamente da diversi individui, come l’illuminazione pubblica, appunto. I beni pubblici misti presentano solo una delle due proprietà. Tra questi, i cosiddetti beni comuni, come ricorda Pelligra, sono non escludibili ma rivali nel consumo(1). La salute, secondo l’autore, è un bene comune globale (global commons): gli effetti associati alla sua gestione dovrebbero presentare la caratteristica della non escludibilità.
L’argomentazione appare in qualche modo seducente ma anche parziale; è infatti evidente che la tassonomia impiegata dall’autore necessita della classificazione del bene sulla base degli effetti associati al godimento dello stesso. Sul piano astratto, tornando alle caratteristiche della non escludibilità e della non rivalità, la salute e in particolare i servizi sanitari, potrebbero essere tranquillamente collocati tra i beni privati. Infatti provocatoriamente il bene sul piano tecnico ed economico potrebbe essere tranquillamente escludibile grazie ad un meccanismo di prezzi che garantisca quel mistico equilibrio di mercato nel quale la disponibilità a pagare dei consumatori di salute eguagli la disponibilità ad accettare di quanti offrono salute. Il bene salute inoltre potrebbe essere rivale al consumo in quanto la salute da me consumata non sarà congiuntamente consumata da qualcun altro. Le numerose cliniche private della Lombardia, ad esempio, sono lì a dimostrare che il meccanismo dei prezzi di mercato può escludere chi non ha una disponibilità a pagare sufficiente e tra tutti i “consumatori” con una disponibilità a pagare adeguata, solo uno si aggiudicherà il posto letto dell’ultimo posto letto disponibile nella clinica di cui sopra.
Tuttavia se il piano di analisi comincia a considerare gli effetti associati a determinate scelte, verosimilmente cominciano a cambiare i confini definitori e si potrebbe pertanto stabilire che la salute, o più correttamente la salute pubblica, possa spesso rappresentare un bene comune globale. Ma siamo sicuri che questa rappresenti la cornice più corretta entro la quale definire la salute pubblica?
In realtà lo stesso Samuelson, che ha contribuito in maniera fondamentale al problema della fornitura dei beni pubblici, nei sui Principi di Economia specifica una ulteriore demarcazione, già nota agli studiosi, tra beni collettivi e beni pubblici. Mentre i primi identificano quei beni forniti collettivamente dallo Stato, i secondi si caratterizzano per la presenza dei cosiddetti effetti di traboccamento (spillover effects); questi ultimi indicano la possibilità che gli effetti legati alla gestione di tali beni possano traboccare l’area giurisdizionale dell’ente che ne assicura l’erogazione (Samuelson e Nordhaus, 1985). Quindi seguendo questa nuova demarcazione, sarebbe possibile definire la salute pubblica come un bene pubblico.
Soprattutto, l’analisi di Pelligra va estesa accogliendo la distinzione tra i bisogni collettivi e bisogni meritori (merit wants) introdotta da Musgrave. Una distinzione, questa, che mette in discussione un principio molto caro all’economia neo-classica: la sovranità del consumatore. Infatti, secondo Musgrave i bisogni diventano meritori quando la loro soddisfazione diventa così importante da dover essere finanziata collettivamente attraverso il bilancio pubblico limitando la sovranità del consumatore (Musgrave, 1959; 1987). L’idea di Musgrave, dalla quale nascono i cosiddetti beni di merito, nella sua ragionevolezza, presenta un conto salato all’ipotetico individuo razionale il cui obiettivo è la massimizzazione della propria utilità: in alcuni casi costui non è ritenuto capace di scegliere la quantità ottimale se osservassimo le sue scelte attraverso le lenti della collettività. È per questo motivo che sarebbe più corretto parlare esplicitamente di salute pubblica. Nella misura in cui, seguendo l’interpretazione del Parravicini (1986), si ritiene che il bilancio pubblico rappresenti il luogo nel quale contrapposte esigenze politiche possano trovare una composizione formale (Di Majo e Paradiso 2011), lo Stato dovrà necessariamente operare coattivamente seguendo un assetto tutorio, basato sul desiderio del più forte di costringere il più debole a sostituire determinate scelte che questi spontaneamente avrebbe fatto (Cosciani, 1953, 1991).
Sulla base di queste brevi riflessioni, pur condividendo la riflessione di Pelligra quando scrive che “l’utopia di vivere in un mondo globalizzato, ma chiusi dentro confini nazionali” si scontra con “la realtà tragica dei fatti” resta un interrogativo al quale rispondere. Come tutelare la salute pubblica?
Sicuramente, come suggerisce l’autore, la crisi della pandemia ci spinge a guardare nuove forme di organizzazione istituzionale che siano capaci di affrontare sfide transnazionali. Con lo sguardo della storia è anche vero che questa è soltanto l’ennesima sfida di questo genere che l’umanità si trova ad affrontare. Tuttavia, nell’attesa di un kantiano governo mondiale delle cose, ritorna semplicemente (o forse rivoluzionariamente secondo alcuni) centrale ridare rilevanza all’azione dello Stato che rappresenta ad oggi l’unica istituzione capace di garantire assetti tutori nell’erogazione dei beni di merito. La pandemia infatti ha riportato alla luce dell’opinione pubblica quanto la nostra vita collettiva sia fondata su bisogni che necessitano di un’adeguata ed equa tutela. Oltre alla sanità il cui compito è quello di garantire la salute pubblica, è necessario ridare centralità al ruolo tutorio dello Stato nell’erogazione di tutti quei beni meritori che hanno contribuito a disegnare quegli spazi di vita che oggi tanto ci mancano, come ad esempio andare a teatro o seguire un corso universitario.
Per fare ciò sarebbe opportuno augurarsi che passata l’emergenza non si torni ad ascoltare opinionisti che ci riproporranno le virtù salvifiche del mercato. Basterebbe vedere un rinnovato interesse sull’importanza dei bisogni di merito e una conseguente composizione formale nelle decisioni di finanza pubblica. Insomma, non un continuo conflitto concettuale tra Stato e mercato, quanto una corretta attribuzione delle funzioni tra queste due istituzioni.
1 Per completezza ricordiamo che esiste una ulteriore categoria, quella dei cosiddetti beni di club, la cui caratteristica è proprio di essere escludibili, ma non rivali (almeno fino al raggiungimento dei livelli di congestione).
Bibliografia
Cosciani C. (1953, 1991). Scienza delle Finanze. UTET, Torino
Di Majo, A., Paradiso, M. (2011). Forma e realtà del bilancio dello stato negli scritti di Giannino Parravicini. Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, 70(1), 24.
Hardin, G. (1968). The Tragedy of the Commons. Science. 162 (3859)
Musgrave, R. A. (1959). The theory of Public Finance. McGrawHill, New York
Musgrave, R. A. (1987). Merit goods. The new Palgrave: a dictionary of economics, 3, 452.
Parravicini, G. (1986). Scritti scelti. Padova, Cedam.
Pelligra, V. (2020). La salute è un bene comune globale. Il Sole 24 Ore (19 aprile)
Rizzo, L., Secomandi R. (2020). Posti letto: perché in Italia costano di più. Lavoce.info
Samarani M. (2020). Spesa sanitaria, austerità e “malattia dei costi” di Baumol. Economia e Politica
Samuelson, P., Nordhaus, W. (1985). Principles of economics. McGrawHill, New York.