Domanda autonoma e offerta aggregata negli Stati Uniti (1970-2021): un test sull’ipotesi di ‘positive hysteresis’

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A partire dai lavori di Blanchard e Summers (1986) e, in particolare, di Ball (1997, 1999, 2014), numerosi autori hanno proposto diversi argomenti volti a spiegare come un cambiamento della domanda aggregata possa avere effetti persistenti (e permanenti) sul livello del PIL. Tale fenomeno è noto come isteresi.

Introduzione e contesto

A partire dai lavori di Blanchard e Summers (1986) e, in particolare, di Ball (1997, 1999, 2014), numerosi autori hanno proposto diversi argomenti volti a spiegare come un cambiamento della domanda aggregata possa avere effetti persistenti (e permanenti)[1] sul livello del PIL. Tale fenomeno è noto come isteresi. Gli effetti di isteresi sono controversi in letteratura e, naturalmente, mettono in discussione la visione tradizionale secondo cui le variazioni inattese del trend di crescita siano causate esclusivamente da shock sul lato dell’’offerta.[2]  Secondo la visione tradizionale, la capacità produttiva (e la produzione potenziale) non è influenzata dagli shock della domanda. Dallo stesso schema teorico deriva il concetto di “tasso di disoccupazione che non accelera l’inflazione” (NAIRU), che rappresenta il corollario del prodotto potenziale per il mercato del lavoro.

In letteratura si trovano almeno tre tipi di isteresi. Il primo, diffuso nel quadro neokeynesiano, sostiene che a fronte di una caduta del prodotto effettivo (o di un aumento della disoccupazione), il prodotto potenziale diminuisca (o il NAIRU aumenti); in alcuni contributi, anche il tasso di crescita di lungo periodo può subire una modifica permanente (questo effetto, noto come “super-isteresi”)[3], è presente ad esempio in Blanchard et al. 2015).

Il secondo tipo di isteresi è relegato ai periodi di crisi: una volta che si verifica una caduta della posizione di equilibrio di lungo periodo a causa di una crisi economica, si riconosce la possibilità che un aumento della domanda possa favorire un recupero anche del prodotto potenziale. In questi studi, in sostanza, si sostiene che politiche espansive limitate e temporanee, possano determinare un aumento del prodotto potenziale limitato al suo trend pre-crisi, a costo di un’inflazione crescente (Ball 2014, 2105; Tervala e Watson, 2022).

Mentre negli ultimi anni molti lavori hanno preso in considerazione la possibilità che, in periodi di crisi, politiche di stimolo alla domanda aggregata possano essere efficaci, poco spazio è stato dedicato allo studio del terzo tipo di isteresi, che definiremo ‘positive hysteresis’ o ‘reverse hysteresis’ (Girardi et al, 2020; Paternesi Meloni et al., 2022).  Con questo termine si fa riferimento agli effetti permanenti che un’espansione della domanda aggregata può avere sulla capacità produttiva e sull’occupazione anche durante le fasi espansive o stazionarie.

Lo scopo di questo articolo è di verificare empiricamente se espansioni della componente autonoma della domanda possono avere o meno effetti persistenti su tasso di disoccupazione, utilizzo della capacità produttiva, inflazione, capacità produttiva e tasso di partecipazione alla forza lavoro.

Analisi empirica

L’analisi econometrica si basa sui dati trimestrali forniti dalla Federal Reserve Bank di St. Louis (https://fred.stlouisfed.org) tra il 1970Q1-2021Q4 (cfr. Tabella 1). [4] La variabile Domanda autonoma (LAD) è costruita come somma di Consumi pubblici e Esportazioni). Tutte le variabili considerate sono trasformate in forma logaritmica.

Tabella 1: Dati

Domanda Autonoma (LAD)     1970Q1-2021Q4
Utilizzo della capacità (LCU)1970Q1-2021Q4
Indice dei prezzi al consumo (LCPI)1970Q1-2021Q4
Capacità produttiva (LK)1970Q1-2021Q4
Tasso di attività (LLFPR)1970Q1-2021Q4
Tasso di disoccupazione (LUR)                       1970Q1-2021Q4
Fonte: FRED St. Louis.

Per stimare il modello con i dati istituzionali utilizziamo la metodologia VAR strutturale (SVAR), seguendo Blanchard e Perotti (2002). Stimiamo un VAR(p) in forma ridotta come il seguente:

Dove yt è il vettore kx1 delle variabili considerate – livello di domanda autonoma LAD, utilizzo della capacità produttiva (LCU), tasso di disoccupazione (LUR), inflazione (D(LCPI)), capacità produttiva (LK) e partecipazione alla forza lavoro (LLFPR) – c è il termine costante, Ai è la matrice kxk dei coefficienti in forma ridotta e ϵt è un vettore kx1 composto dai termini di errore. Il ritardo P del VAR è calcolato utilizzando il criterio di informazione di Akaike (AIC). Imponiamo una strategia di identificazione ricorsiva tramite la fattorizzazione Cholesky in cui si impongono delle restrizioni nelle relazioni contemporanee tra le variabili che vengono dunque ordinate dalle più esogene alle meno esogene. Le funzioni di risposta agli impulsi (IRF) sono calcolate per un periodo di 20 trimestri (5 anni). Gli errori standard sono stimati con il metodo Monte Carlo (1000 ripetizioni) e le IRF sono riportate con un limite di errore a due standard, ovvero un intervallo di confidenza del 95%.

La catena di variabili per ottenere le risposte agli impulsi nel lato “capitale” è quindi predeterminata come segue:

LAD →−LCU→−D(LCPI)→−LK

Quindi la nostra variabile di domanda autonoma è la più esogena e la capacità produttiva la più endogena. Nel caso del lato “lavoro”, la catena di esogeneità è la seguente:

LAD →−LUR→−D(LCPI)→−LLFPR

In altre parole, si ipotizza che le variazioni del livello di domanda autonoma (LAD) influenzino l’utilizzo della capacità produttiva, l’inflazione e il capitale, all’interno del trimestre, mentre le variazioni esogene dell’utilizzo della capacità produttiva, dell’inflazione e del capitale – qualunque sia la loro origine – non influenzano la domanda autonoma all’interno del trimestre.

La Figura 1 e la Figura 2 riportano le IRF relative alla Domanda Autonoma (LAD). Come si vede nella Figura 1, lo shock del livello di domanda autonoma (in alto a sinistra) è altamente persistente, in quanto rimane significativamente positivo per tutti i 20 trimestri – a nostro avviso, questo dato è interpretabile come uno shock permanente. Le IRF mostrano che tale shock permanente della domanda autonoma ha un impatto transitorio sull’utilizzo della capacità produttiva (LCU) e sull’inflazione (D(CPI)), che cessano di essere significativi rispettivamente dopo 6 e 2 trimestri. Al contrario, l’effetto dello shock sulla capacità produttiva (LK) è permanente e tende a rimanere positivo per tutti i periodi considerati.

Fig. 1. Response to Structural VAR Innovations +/- 2 S.E.

Fonte: Elaborazione propria.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, l’evidenza è molto simile. Secondo le IRF, il tasso di disoccupazione (LUR) e il tasso di inflazione sono solo temporaneamente influenzati dallo shock di domanda autonoma (LAD), come si può vedere nella Figura 2. Si noti che le IRF mostrano una persistenza relativamente maggiore dell’effetto degli shock di domanda autonoma sul tasso di partecipazione alla forza lavoro (LLFPR), che interpretiamo come la variabile di aggiustamento che consente al tasso di disoccupazione di tornare al suo livello iniziale.[5] Il tasso di disoccupazione (in alto a destra), infatti, mostra una chiara tendenza a tornare al suo valore iniziale e questo risultato può essere interpretato alla luce dell’aumento del tasso di partecipazione alla forza lavoro (LLFPR). Dato che il rapporto tra il totale dei disoccupati e la forza lavoro determina il tasso di disoccupazione, un aumento del numero di persone in cerca di occupazione potrebbe tradursi in un tasso di disoccupazione più elevato. Infine, si può notare che l’impatto sull’inflazione è relativamente lieve e transitorio, e perde significatività dopo sei trimestri.

Fig. 2. Response to Structural VAR Innovations +/- 2 S.E.

Fonte: Elaborazione propria.
Conclusioni

Questi risultati non dovrebbero sorprendere se letti alla luce del principio keynesiano della domanda effettiva (Keynes, 1936). In accordo con tale approccio, gli imprenditori aumentano il grado di utilizzo della capacità produttiva all’aumentare della domanda (in questo caso, direttamente catturato dalla domanda autonoma LAD) riducendo il tasso di disoccupazione.[6] Secondo la visione ortodossa, in un contesto in cui la domanda aggregata aumenta, il tasso d’inflazione dovrebbe aumentare. Tuttavia, come emerge dai risultati empirici, l’impatto sull’inflazione è solo temporaneo. Nel lungo periodo, gli imprenditori aggiustano la capacità produttiva in modo da essere in grado di soddisfare i nuovi livelli di domanda e riportando il grado di utilizzo ai livelli pre-shock. Ciò agisce anche come ostacolo a possibili fenomeni inflattivi derivanti dal sovra utilizzo della capacità produttiva. Un processo simile è in atto nel mercato del lavoro nel quale il tasso di partecipazione, al pari dell’aggiustamento della capacità produttiva dal lato dell’offerta, gioca il ruolo di variabile di aggiustamento dal lato dell’offerta di lavoro. In tal modo, la variazione del tasso di partecipazione in risposta alle variazioni alla domanda di lavoro ripristina, nel medio termine, il tasso di disoccupazione ai livelli pre-shock. In questo caso, l’aumento dell’inflazione può concorrere a spegnere eventuali processi inflattivi indotti dalle richieste di salari monetari più alti da parte lavoratori. L’effetto sul mercato del lavoro è comunque positivo, visto l’aumento della forza lavoro.[7] Dal lato dell’offerta, il sistema produttivo si adatta, quindi, alla dinamica della domanda effettiva sia dal lato della capacità produttiva che del mercato del lavoro. Lo sviluppo futuro di questa ricerca prevede l’inclusione dell’innovazione e, quindi, del tasso di crescita della produttività del lavoro all’interno dell’analisi. Questo fattore, di fatti, è in grado spiegare una fetta importante della dinamica del tasso di disoccupazione che, al momento risulta spiegata esclusivamente dal tasso di partecipazione che, appunto, svolge il ruolo di variabile di aggiustamento.

Infine, sebbene i risultati del nostro studio possano indicare una tendenza verso il ripristino del tasso di disoccupazione e dei livelli di inflazione alle condizioni precedenti allo shock, è importante sottolineare come essi non indichino alcuna tendenza al ripristino del NAIRU. Al contrario, la nostra analisi rivela che l’offerta di lavoro aggregata presenta un grado significativo di flessibilità, che conduce a un auto-ripristino dell'”esercito di riserva” (Serrano, 2019; Lavoie e Nah, 2021; Braga e Serrano, 2023). Inoltre, questo risultato mette in discussione, in una certa misura, l’ipotesi che la forza lavoro rimanga poco reattiva ai cambiamenti nelle dinamiche del mercato del lavoro, anche nel lungo periodo (Layard et al., 1991).

Bibliografia

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[1] Si veda Cerra et al. (2023) per una discussione su questo tema. Secondo Blanchard (2018, p. 100), “anche nei modelli più standard, è probabile che la politica monetaria influenzi il prodotto potenziale per qualche tempo. Al contrario, nella maggior parte dei modelli di isteresi, gli effetti della politica monetaria sono probabilmente persistenti, ma non necessariamente permanenti”. La questione riguarda quindi l’entità e la persistenza degli effetti della politica monetaria sul prodotto potenziale, non la loro esistenza o permanenza”. Nel presente lavoro analizziamo gli shock permanenti. Pertanto, la nostra definizione di isteresi è associata a shock permanenti e agli effetti permanenti di tali shock.

[2] Si vedano Røed (1997) e Cerra et al. (2023) per un’interessante rassegna della letteratura.

[3] Per un riferimento si vedano, tra gli altri, Blanchard e Summers (1986), Ball (1997), Fatàs and Summers (2018), Galì (2022). Per un caso di “super hysteresisi” si veda Blanchard et al., 2015.

[4] Abbiamo deciso di iniziare nel 1970, quando il dollar standard stava già cominciando ad essere imposto.

[5] Come mostra la Figura 2, l’impatto di uno shock della domanda autonoma sulla partecipazione alla forza lavoro sembra persistere per oltre 20 trimestri, più a lungo dell’impatto dello stesso shock sul tasso di disoccupazione (9-11 trimestri).

[6] In realtà, iniziano ad aumentare il numero di ore lavorate e, se lo shock della domanda persiste, aggiungono altri dipendenti.

[7] Si noti che il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, insieme ad altri fattori di natura istituzionale, storica e politica, possono alimentare il conflitto sociale per una diversa distribuzione del reddito che prenda la forza di un’inflazione dei prezzi. Tuttavia, tale conflitto può portare a una nuova configurazione distributiva, associata a un nuovo livello dei prezzi ma ad un’inflazione stabile. Per una discussione si veda Stirati (2001) e per un test empirico si veda Fontanari et al. (2023).

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