Prosegue la pubblicazione delle lezioni firmate da Sergio Cesaratto per economiaepolitica.it, dedicate alla Banca Centrale Europea e alla politica monetaria. Si tratta di quattro lezioni su: 1) Moneta endogena e politica monetaria; 2) La BCE di fronte alla crisi; 3) LTRO, Target 2, Omt; 4) Forward guidance e Quantitative easing.
Nella lezione precedente abbiamo introdotto il concetto di endogenità della moneta – cioè l’idea che normalmente è il mercato a determinare l’ammontare di liquidità creata dalla banca centrale – e in connessione a ciò, abbiamo spiegato come quest’ultima attui a politica monetaria[1]. In sintesi la banca centrale soddisfa le esigenze di liquidità del sistema in maniera tale che nel mercato monetario prevalga il tasso di interesse a breve termine che essa ha fissato come obiettivo. Questo tasso fa poi da punto di riferimento a tutti i tassi di mercato a più lunga scadenza.
Il bilancio della BCE
Andiamo dunque al bilancio della banca centrale, quello che nelle sue dichiarazioni più recenti Draghi vuole portare a 3 trilioni. Col termine bilancio traduciamo l’inglese “balance sheet”. In italiano dovremmo dire “stato patrimoniale”, ma il termine bilancio ci sembra meno minaccioso per il lettore. Il bilancio di una banca centrale racconta ciò che essa fa (o non fa). Più precisamente, dovremmo parlare di bilancio dell’Eurosistema che consolida (somma) i bilanci delle singole banche nazionali dei paesi membri dell’Euroarea.[2]
Come forse ricorderete, la BCE crea liquidità in cambio di “attività” (assets) – come valute straniere o titoli forniti a garanzia della liquidità ricevuta.[3] Come si vede dalla figura 1 il bilancio dell’Eurosistema, misurato dal valore di queste attività – cioè dai titoli che esso ha in pancia (incluse le riserve ufficiali) acquisiti creando in cambio liquidità – ha raggiunto i due trilioni di euro fra il 2008 e il 2009, raddoppiando rispetto al principio 2008, per poi raggiungere i tre trilioni nel marzo 2012, e ridiscendendo successivamente verso i due. Qualcosa di simile è accaduto alla Fed, ma nel suo caso il bilancio ha continuato a espandersi sino a tempi recenti.
Figura 1. Fonte: http://cepr.org/sites/default/files/policy_insights/PolicyInsight75.pdf
Prima della crisi il bilancio era dunque inferiore al trilione, come si evince dalla tavola qui sotto che ne semplifica una già a sua volta molto semplificata tratta da un’ottimo paper (Mercier 2014, un po’ wonkish, da secchioni) che ripercorre le vicende del bilancio della BCE prima e dopo la crisi.
Figura 2. Fonte: http://www.bcl.lu/fr/publications/cahiers_etudes/92/BCLWP092.pdf
Prima di spaventarvi, leggete la figura 2 così. A sinistra ci sono i modi in cui viene creata liquidità, a destra gli impieghi della medesima. A sinistra si vede che, soprattutto via canale estero, la banca centrale ha reso disponibili 449 miliardi di euro. Questo è un “fattore autonomo”, vale a dire la BCE ha ceduto euro quando le sono stati presentate divise straniere all’incasso, o ha ceduto queste valute assorbendo euro su richiesta degli operatori. In termini grossolani, un attivo di 449 miliardi di euro segnala che la BCE ha nel passato incassato più dollari, Yen, sterline e quant’altro, di quanti ne abbia ceduti. Per cui questa entrata netta di dollari, Yen, sterline ecc. scambiata presso la BCE ha dato luogo a una creazione di liquidità di 449 miliardi di euro. I dollari, Yen, sterline ecc. sono ora nelle riserve ufficiali (RU) della BCE, per cui a bilancio essa se li iscrive all’attivo (in alto a sinistra del bilancio trovate infatti scritto “attività”).[4] Nell’attivo compare inoltre il valore dei titoli dati dalle banche commerciali come collaterale nelle operazione di rifinanziamento a breve (MRO), a più lungo termine (LTRO) e di “emergenza” (prestito marginale), quest’ultima voce del tutto secondaria.
Guardiamo ora al lato destro. La domanda di banconote costituisce il grosso della domanda di euro ed è classificata come fattore autonomo in quanto, come detto più sopra, la banca centrale non può far molto per influenzare questa domanda di liquidità. La domanda di liquidità per le riserve è 182 miliardi di euro, sulla base di una riserva obbligatoria che all’epoca era il 2%; la domanda di riserve è dunque considerata fra le operazioni di politica monetaria in quanto la banca centrale la può influenzare, per esempio riducendo il coefficiente di riserva come ha fatto nel dicembre 2011 quando lo ha dimezzato. Ci sono poi riserve in eccesso che le banche parcheggiano nel deposito marginale. Poca roba (1 miliardo), ma vedrete cosa succederà nel 2012! Summa summarum, la domanda complessiva di liquidità nel giugno 2007 era di 913 miliardi di euro.
Facciamo due conti:
liquidità creata via fattori autonomi meno domanda di liquidità uguale: 449 – 913 = -464.
Quest’ultima cifra, 464, è il fabbisogno netto di liquidità (net liquidity deficit), del sistema, ovvero la liquidità che il sistema medesimo non genera autonomamente attraverso i fattori autonomi. Esso coincide normalmente con il fabbisogno di liquidità di cui le banche commerciali hanno bisogno per assolvere all’obbligo delle riserve obbligatorie. Il fabbisogno netto di liquidità deve essere coperto da moneta offerta dalla banca centrale attraverso le sue operazioni di rifinanziamento. In tal modo le banche commerciali non devono procacciarsi la liquidità di cui necessitano nel mercato creando tensioni al tasso di interesse. E in effetti se sommate la liquidità creata dalla banca centrale attraverso le operazioni di politica monetaria (lato sinistro MRO + LTRO + MLF) otterrete precisamente 313 + 150 + 1 = 464.
Ora sappiamo cos’è il bilancio dell’Eurosistema e, nel frattempo, abbiamo imparato un mucchio di cose che ci torneranno utili più avanti. Il bilancio dell’Eurosistema era sotto il trilione di euro nel 2007. Salirà a 2,5 trilioni nel 2012 per poi ridiscendere a 2 trilioni nel 2014. Ora Draghi vuole salire a 3 trilioni. Perché questo andamento a organetto?
L’espansione del bilancio della BCE
Vediamo dunque, in primo luogo, perché dal 2008 il bilancio dell’Eurosistema ha cominciato a espandersi.[5]
Uno dei primi effetti della crisi finanziaria è quello della rottura della fiducia fra le banche e, di conseguenza, del mercato interbancario, quello in cui gli istituti di credito si prestano vicendevolmente la liquidità con scadenze che vanno dall’overnight (dall’oggi al domani) a diversi mesi. Questa rottura può avere conseguenze gravi in quanto le banche illiquide, sebbene solvibili, possono essere costrette a svendere attività patrimoniali per recuperare la liquidità necessaria a far fronte a impegni di pagamento (come restituire prestiti da altre banche scaduti e non rinnovati), e al contempo essere obbligate a stringere i cordoni del credito per non impegnare ulteriore liquidità. I tassi di interesse sul mercato interbancario, che è parte del mercato monetario (quello in cui gli operatori si scambiano fondi con scadenza entro un anno), aumentano trascinando con sé i tassi che gli istituti di credito praticano alla clientela, sia sui nuovi crediti che su quelli in essere, se indicizzati. E’ questo il caso dei mutui indicizzati al tasso Euribor che è il tasso interbancario dell’area dell’euro per scadenze fra un mese e l’anno. La liquidazione di titoli da parte delle banche per procacciarsi liquidità determina una caduta del loro valore e un effetto ricchezza negativo sui consumatori che, in particolare negli USA, posseggono molti titoli nei fondi pensione e di investimento. Il “credit crunch”, la riduzione dei crediti da parte delle banche a imprese e famiglie trasmette la crisi all’economia reale.[6]
Dal punto di vista della banca centrale, si rompe il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, ovvero il meccanismo attraverso cui il controllo dei tassi a breve termine si trasferisce attraverso l’impatto sui tassi a più lunga scadenza in impulsi all’economia reale – espansivi o recessivi a seconda dell’orientamento della politica monetaria.[7] In pratica i tassi a breve smettono di gravitare attorno al tasso sulle MRO e schizzano verso l’altro; questo e la generale difficoltà delle banche di approvvigionarsi nel mercato interbancario fanno aumentare i tassi a più lungo termine.
2008-9: le misure della BCE al principio della grande crisi finanziaria. L’Enhanced Credit Support
Fra l’estate del 2008, quando esplode la crisi americana, e la fine del 2009 quando comincia la crisi greca, l’azione della BCE è dunque principalmente orientata a fornire liquidità al sistema bancario a bassi tassi di interesse e per durate più lunghe del solito in maniera tale da rassicurare il pubblico sulla solvibilità degli istituti di credito, far diminuire i tassi di interesse nel mercato interbancario e ripristinare le condizioni di ripresa del credito a imprese e famiglie.
La BCE lo fa con una serie di misure chiamate “Enhanced Credit Support” (sostegno al credito rafforzato) e con una diminuzione del tasso di interesse (quello sulle MRO) che scende dal 4.25% dell’ottobre 2008 all’1% del maggio 2009 (v. figura 1 della lezione 1). Queste misure sono definite non-convenzionali in quanto vanno oltre il normale approvvigionamento di liquidità volto a coprire il net liquidity deficit.[8] Le misure menzionate includevano: la concessione di tutta la liquidità desiderata dalle banche a un tasso prefissato attraverso le MRO; l’allungamento delle operazioni LTRO che giungono sino all’anno svolgendosi anch’esse con il soddisfacimento di tutte le richieste a un tasso prefissato; l’accettazione come collaterale di una più ampia gamma di titoli;[9] l’accordo con la Federal Reserve attraverso cui la BCE metteva a disposizione liquidità in dollari alle banche europee che si erano indebitate nella moneta USA e che si vedevano allora costrette a restituire i crediti ai prestatori americani.[10] Si osservi come in tutti questi casi la BCE metteva a disposizione del sistema creditizio liquidità (illimitata) ed era quest’ultimo, dunque, a decidere quanta prelevarne. Nel solo caso delle “covered bonds”, un titolo che le banche emettono per raccogliere liquidità e che è considerato molto sicuro perché collegato a garanzie reali, ma il cui mercato si era tuttavia inaridito, la BCE agì acquistando direttamente titoli. Questo è un piccolo caso di quantitative easing (QE) (60 più 40 miliardi di acquisti programmati fra il 2009 e il 2011), comunque rivolto al settore bancario.
Per contro dal novembre 2008 la Fed si è imbarcata in tre tornate di massiccio QE (note appunto come QE1/2/3) rivolto verso titoli pubblici e privati (v. Box).
La BCE ritiene dal suo canto che nell’Eurozona la trasmissione della politica monetaria debba principalmente rivolgersi al settore creditizio che in Europa riveste una centralità maggiore che negli Stati Uniti dove, invece, sarebbe il mercato finanziario (il mercato dei titoli) ad essere più centrale per il finanziamento alle imprese (Cour-Thimann e Winkler 2013: 21). Per questa ragione la BCE guarda all’insieme delle misure intraprese come complementari alla politica del tasso di interesse a breve e alla trasmissione di tale politica all’insieme dei tassi. Le misure non convenzionali della Fed, invece, danno per scontata l’inefficacia della politica del tasso a breve una volta che questo sia stato portato a zero (zero lower bound, ZLB) – cosa che la Fed si è peraltro affrettata a fare assai più rapidamente della BCE. Con il tasso nominale a breve a zero, la FED ritenne che l’unica maniera efficace per diminuire i tassi a lunga fosse: (i) un impegno esplicito della banca centrale a mantenere il tasso obiettivo a zero, la cosidetta “forward guidance”, oltre che (ii) un acquisto aggressivo di titoli privati e pubblici – il cosiddetto QE – volto a favorire la politica di bilancio espansiva tenendo bassi i tassi sui titoli pubblici, a sostenere consumi privati attraverso effetti ricchezza conseguenza del rialzo dei valori mobiliari,[11] provocare un deprezzamento della valuta in seguito all’investimento in titoli esteri della liquidità immessa. Vedremo come solo nel 2013 la BCE adotterà la forward guidance, e nel gennaio del 2015 il QE. Su questo tipo di misure dovremo dunque ritornare nella lezione 4.
Il risultato delle misure intraprese dalla BCE nell’ambito dell’Enhanced Credit Support fu il rafforzamento della liquidità bancaria a scopo precauzionale (frontloading), in una situazione in cui il mercato interbancario era rotto e la sfiducia regnava sulla solvibilità degli istituti di credito. Fu anche la discesa dei tassi interbancari, presumibilmente non perché tornò la fiducia, ma perché la domanda di liquidità privata era scarsa – dato che ci si poteva rifornire in abbondanza presso la BCE. Attraverso le misure intraprese sotto l’Enhanced Credit Support la BCE ha svolto un’efficace funzione di prestatore di ultima istanza (lender of last resort) verso il sistema bancario; in linea con la teoria della moneta endogena, non ci si poteva tuttavia attendere che la creazione di liquidità a favore del sistema bancario potesse favorito la creazione di nuovo credito, come vedremo.
2010-11: La crisi dei debiti sovrani
Contemporaneamente al miglioramento delle aspettative di ripresa globale dovute alle azioni internazionali di sostegno della domanda aggregata intraprese nel 2009 che porta la BCE a cominciare a rientrare dalle misure non convenzionali, al principio del 2010 si innesca la crisi del debito sovrano greco che si estenderà successivamente agli altri due piccoli Stati europei, Irlanda e Portogallo, e nell’anno successivo a Spagna e Italia. La BCE rinuncia al rientro dalle misure straordinarie, che anzi vengono rafforzate, nel maggio 2010 nell’ambito delle misure europee di salvataggio della Grecia – presto estese a Irlanda (novembre 2010) e Portogallo (aprile 2011) – e lancia il Security Market Program (SMP), un programma di acquisto di titoli di Stato. Gli acquisti sono effettuati in due riprese, nel 2010 per i piccoli Stati, e dall’agosto 2011 relativamente ai titoli italiani e spagnoli una volta che la crisi ha contagiato i due grandi.
A questa ulteriore forma di creazione di liquidità – che tecnicamente è definita dalla BCE Outright Market Transaction, un nome che poi diventerà famoso nel 2012 quando verrà però impiegata in maniera diversa – la BCE fa corrispondere un drenaggio di liquidità (tecnicamente una sterilizzazione), tanto per accontentare la Germania preoccupata di fantasiosi effetti inflativi del SMP. Sterilizzazione del tutto superflua dato che le banche hanno comunque a disposizione liquidità illimitata per altre vie.[12] E’ da osservare inoltre che, aggiungendo menzogna a ipocrisia,[13] la giustificazione ufficiale che la BCE dà per il SMP non è di sostegno ai debiti sovrani (il vero scopo che tutti sanno, ma inconfessabile pubblicamente), ma di assicurare la trasmissione della politica monetaria (Cour-Thimann e Winkler 2013: 13-4).[14] Infatti, si argomenta, i tassi di interesse sui titoli sovrani influenzano quelli che le banche praticano alla clientela. Questo perché l’impiego di fondi da parte degli investitori (fra cui le banche medesime) per l’acquisto di titoli pubblici attratti dagli alti tassi di interesse costituisce una alternativa al loro impiego per prestiti alle banche desiderose di liquidità: in tal modo aumenta il costo dell’approvvigionamento bancario che si trasmette successivamente ai tassi praticati alla clientela. Il SMP portò all’acquisto di poco più di 200 miliardi di euro di titoli, che la BCE tiene sino a scadenza. Manganelli (2012) sembra confermare l’impatto assolutamente marginale e di breve periodo del SMP sui tassi di interesse sovrani dei paesi periferici. Evidentemente alla BCE fu consentito un intervento sul mercato dei titoli, ma non certo della dimensione tale da rassicurare i mercati (il famoso big bazooka).[15] Che la BCE potesse farlo è dimostrato dal successivo intervento di acquisti illimitati, sebbene solo minacciato e pieno di caveat, che seguì il famoso discorso di Draghi di fine luglio 2012.
Qui ci occupiamo di politica monetaria, ma vale la pena ricordare come con la crisi dei debiti sovrani comincia a prevalere la tesi che l’origine della crisi sia fiscale, e non invece in meccanismi di indebitamento fra paesi innescati dall’euro (Cesaratto 2013; 2014). Le politiche di austerità che ne sono seguite sono diventate causa ulteriore e prevalente della crisi. E’ in quest’ambito che si muove la politica monetaria della BCE: limitata nelle azioni che può intraprendere, per statuto e per l’ottusa opposizione della Germania, e non coadiuvata da politiche di bilancio espansive.
Che fine fa la liquidità?
Nel periodo 2008-11 la BCE pone dunque a disposizione del sistema moltissima liquidità che gli istituti di credito assorbono. Prima di vedere alcuni dati domandiamoci: ma questa liquidità che fine fa?
La teoria della moneta esogena (ancora) impartita in molti libri di testo è che la liquidità creata dalla banca centrale faccia da base alla creazione di credito bancario. Si ragiona così: ogni volta che una banca concede un credito, essa crea al contempo un deposito a favore del cliente (un fido per esempio), deposito a fronte del quale la banca necessita di liquidità per ottemperare all’obbligo della riserva. Se ne deduce che tanto maggiore la quantità di liquidità della banca centrale potenzialmente disponibile per soddisfare l’obbligo della riserva obbligatoria, tanto maggiore è l’ammontare di depositi/credito che le banche possono creare. Abbiamo tuttavia già sopra dimostrato che secondo la teoria della moneta endogena le riserve sono create dalla banca centrale “alla bisogna”, e non condizionano dunque la quantità di depositi/credito che le banche commerciali possono creare. E in effetti la quantità di liquidità messa a disposizione dalla BCE dal 2008 è grandemente maggiore rispetto alla domanda di riserve obbligatorie espressa dagli istituti di credito, domanda che si è mantenuta relativamente costante dal 2008 al 2011 in un ordine di 200 miliardi di euro, per poi dimezzarsi quando alla fine del 2011 il coefficiente di riserva obbligatoria viene dimezzato.
La stabilità della domanda di riserve dimostra che, al di là delle dichiarazioni, lo scopo delle misure non convenzionali della BCE non è stata l’espansione del credito, ma altro. Non che l’espansione del credito fosse un target indesiderato, ma la stessa BCE riconosce che “the amount of central bank reserves held by a bank is not the determining factor in its ability to generate new loans” (ECB, Annual Report, 2012: 36).[16] E poco sopra si osservava: “There is not necessarily a stable relationship between bank reserves and, in particular, excess liquidity held by euro area banks on the one hand and monetary liquidity on the other, as evidenced by the subdued pace of money and credit growth observed since late 2010. “ (ibid)
Anche laddove si tenesse conto della domanda di banconote – l’altro utilizzo standard della liquidità della banca centrale oltre al soddisfacimento della riserva obbligatoria -, la differenza fra la liquidità creata e le necessità del sistema è ampio. La linea verde nella parte superiore della figura 3 mostra le necessità nette di liquidità espresse dal sistema nei confronti della BCE come somma di domanda di riserve più domanda di banconote (quest’ultima non già soddisfatta dalla creazione di moneta via canali autonomi, principalmente, come spiegato sopra, tramite il canale estero). Le parti colorate[17] della parte superiore corrispondono alla creazione di liquidità da parte della BCE attraverso vari canali convenzionali o meno a cui abbiamo sopra accennato. Come si vede, sino al settembre del 2008 la BCE metteva a disposizione del sistema esattamente la liquidità che esso richiedeva – al netto della liquidità creata autonomamente dal canale estero – per riserve obbligatorie e circolante. Dal settembre 2008 ne crea di più; dal gennaio 2012 molta di più. Se questa liquidità non si traduce in credito bancario, che fine fa?[18]
Figura 3. Fonte: Cour-Thimann, 2013)
Prima di vedere tecnicamente dove finisce questa liquidità,[19] rimanga assodato il fatto che la principale ragione per cui la BCE ha reso disponibile tutta quella liquidità fu inizialmente la rottura del mercato interbancario e successivamente, con la crisi dei debiti sovrani, la necessità dei paesi periferici di liquidare i capitali stranieri in fuga dai loro titoli. In una situazione di crisi le banche non si fidano più l’una dell’altra e cercano di ridurre la loro esposizione verso gli altri istituti di credito.[20] Questo è particolarmente accaduto nei prestiti interbancari fra istituti di membri differenti dell’EZ, in particolare da parte dei paesi “core” che negli anni dell’euro avevano maturato persistenti avanzi di partite correnti, nei confronti dei paesi “periferici” che avevano invece maturato corrispondenti disavanzi. Se ne deriva dunque che tale rottura del mercato finanziario ha coinciso in larga misura con l’interruzione del flusso di capitali dai paesi core a quelli periferici, flusso destinato a finanziare i disavanzi di partite correnti di questi ultimi. Dal 2010, inoltre, gli investitori dei paesi “core” hanno cominciato a ritirare i propri investimenti nei titoli di Stato dei paesi periferici, vendendo i titoli in loro possesso e non rinnovando gli acquisti quando i titoli vengono a scadenza (no roll-over). Questo fenomeno riguardò i piccoli periferici nel 2010 e in maniera repentina e massiccia Italia e Spagna nel 2011 e 2012 (sudden stop of capital flows), come meglio vedremo nella lezione 3. Il ricorso delle banche alle fonti di rifinanziamento della BCE ha consentito di liquidare i capitali stranieri, che vennero rimpatriati. Per esempio, le banche italiane utilizzarono finanziamenti dell’Eurosistema per acquistare titoli del Tesoro non più desiderati dagli investitori tedeschi o francesi, ciò che consentì al Tesoro di liquidare gli investitori stranieri.
In sostanza le banche dei paesi periferici, ricorrendo al rifinanziamento della BCE, furono in grado di fronteggiare l’uscita di capitali prestati sia a loro che ai rispettivi Stati consentendo agli investitori dei paesi nordici di rimpatriare i propri capitali, che finirono depositati presso le loro banche dei paesi “core”, che a loro volta se li trovarono accreditati presso i propri conti di riserva/regolamento presso la BCE (v. lezione 1). Qualche lettore più smaliziato avrà già qui riconosciuto il collegamento con la saga di Target 2 che racconteremo meglio nella prossima lezione.[21]
La parte sotto l’asse orizzontale della figura 3 permette di apprezzare l’impiego dei fondi da parte delle banche dei paesi core. Normalmente essi sono depositati nella deposit facility dove, in tempi normali, essi ricevono una remunerazione positiva, sebbene inferiore al tasso sulle MRO. Normalmente non conviene invece alle banche detenerli sul conto di riserva e regolamento dove il tasso di remunerazione sulle riserve in eccesso è, in tempi normali, zero. Dal luglio 2012 le banche sono invece diventate indifferenti su quale conto detenere i fondi in eccesso in quanto la remunerazione è stata portata a zero anche per il deposito marginale; dal giugno 2014 ambedue i conti correnti (deposit facility e fondi sul conto di riserva/regolamento in eccesso dell’obbligo della riserva) hanno un rendimento negativo, con lo scopo ufficiale di stimolare le banche a offrire i fondi nel mercato interbancario – che dal 2013 si è in effetti ripreso, sebbene per altri motivi (v. lezione 3). In estrema sintesi, dunque, la parte superiore della figura 3 mostra il progressivo ricorso delle banche dei paesi periferici alla liquidità della banca centrale per finanziare il deflusso di precedenti prestiti ricevuti dalle economie periferiche dai paesi core, ricorso che si è effettuato attraverso vari strumenti di politica monetaria, mentre la parte inferiore mostra la destinazione di tali fondi presso i conti correnti detenuti dalle banche core presso la BCE. Il picco si è avuto nel marzo 2012 con oltre 827 miliardi di euro depositati nella deposit facility (che normalmente conta nel bilancio dell’Eurosistema per un miliardo di euro) (ECB, Annual Report, 2012: 34). Ci arriveremo nella prossima lezione.
La figura 4 permette intanto di apprezzare l’evoluzione del bilancio dell’Eurosistema rispetto al giugno 2007 (figura 2).
Figura 4. Fonte: http://www.bcl.lu/fr/publications/cahiers_etudes/92/BCLWP092.pdf
Dal lato dell’attivo – dove sono registrate le attività (come divise estere e titoli pubblici e privati) detenute dall’Eurosistema e ottenute in cambio di liquidità – si può osservare l’inversione nell’importanza delle MRO rispetto alle LTRO a favore di queste ultime. Inoltre compaiono i titoli che l’Eurosistema ha ottenuto con le operazioni CBPP (acquisto obbligazioni bancarie) e SMP (acquisto di titoli di Stato) sopra illustrate. Dal lato del passivo registriamo dove sta la liquidità creata. Molta è come nel 2007 fra i fattori autonomi sotto forma di banconote e di riserve obbligatorie. Nel 2007, tuttavia, la liquidità parcheggiata nella deposit facility era minuscola, mentre ora è salita a 200 miliardi. Di liquidità parcheggiata ve ne sarebbe molta di più se non fosse per il fatto che quella creata via SMP è stata in quel periodo riassorbita dalla BCE medesima; questo fatto è registrato con una voce “Riassorbimento SMP” del valore di 157 miliardi.[22] Nel complesso il bilancio dell’Eurosistema risulta quasi raddoppiato (sebbene ciò sia dipeso anche da fattori autonomi, cioè indipendenti dalla politica monetaria).
Cosa abbiamo imparato?
In questa lezione abbiamo visto come nel periodo 2008-2011 la BCE abbia espanso il proprio bilancio attraverso la creazione di liquidità a favore delle banche (che appare dal lato delle passività del bilancio) allo scopo di tenere sotto controllo i tassi di interesse a breve termine una volta rotto il mercato inter-bancario. Nel 2010-11 essa ha anche acquistato titoli sovrani dei paesi periferici dell’Eurozona per calmierare i differenziali nei tassi di interesse con i titoli dei paesi “core”. La giustificazione ufficiale dell’intervento è stata tuttavia quella di assicurare la trasmissione della politica monetaria. In altri termini, poiché elevati tassi di interesse sui titoli sovrani si trasmettono anche al prezzo del credito, per assicurare condizioni di credito non (troppo) divergenti fra i paesi membri dell’UME, la BCE ha cercato di calmierare i tassi sui titoli sovrani. Nella prossima lezione vedremo come tali misure si siano rivelate insufficienti, anche per l’aggravamento della crisi dovuta alle politiche di bilancio di austerità (che però rimangono sullo sfondo di queste lezioni). Da un punto di vista analitico in questa lezione abbiamo imparato che la banca centrale crea liquidità che, a parte la quota che circola come banconote, rimane per il resto presso di essa nei conti di riserva delle banche commerciali. Normalmente le banche detengono solo l’ammontare di riserve necessarie per soddisfare all’obbligo della riserva obbligatoria, ma in tempi di incertezza, come dal 2008, si cautelano detenendone in eccesso. Abbiamo anche visto che un’altra spiegazione dell’espansione della liquidità creata dalla BCE dal 2010 è dovuta al ricorso delle banche periferiche al rifinanziamento dell’Eurosistema[23] per finanziare la restituzione dei capitali che i prestatori dei paesi “core” intendevano riportare in patria. Tale liquidità è così finita nei conti di riserva delle banche core presso l’Eurosistema, in particolare nella deposit facility.