Vent’anni di solitudine, con un’immagine presa in prestito da García Màrquez Giuseppe Soriero sintetizza bene la condizione del Mezzogiorno negli ultimi due decenni: relegato in secondo piano nel discorso pubblico nazionale, abbandonato a se stesso o peggio visto come zavorra dell’Italia, lato oscuro o da dimenticare della ben più prepotente «questione settentrionale», lacerato oramai fra rassegnazione, rabbia e abbandono. La rassegnazione di chi crede che a questo punto non ci sia più nulla da fare, essendo falliti tutti i tentativi di far «convergere» il Mezzogiorno quando l’Italia funzionava assai meglio di adesso; la rabbia di tutti coloro, e sono sempre di più, che finiscono preda del mito favolistico di un regno borbonico florido e avanzato, e credono che la più parte dei loro mali discendano dall’Unità e dallo stato nazionale (assolvendo così, più o meno implicitamente, le classi dirigenti locali del passato e del presente); l’abbandono di chi se n’è andato, se ne va e se ne andrà.
Giuseppe Soriero è uno di quegli intellettuali meridionali, di radicata tradizione riformista, e di sinistra (già segretario del Pci calabrese, sottosegretario del primo governo Prodi, ora docente universitario), che non si rassegna allo stato di cose presente, né si lascia prendere da illusorie tentazioni revanchiste, ma continua a studiare per capire l’economia del Mezzogiorno e opera per cambiarla. Il suo ultimo libro, pubblicato da Donzelli,[1] offre una puntuale ricostruzione dei venti anni successivi alla conclusione dell’intervento straordinario, dal 1993 ai nostri giorni, e avanza anche qualche proposta. È un libro raccomandabile per almeno due motivi: l’analisi delle recenti politiche per il Sud è accurata, a mio parere, più di altre, e tendenzialmente obiettiva (Soriero non «piange miseria», come si dice, e naturalmente contrasta con forza la retorica nordista che ritiene sprecata qualunque cosa si faccia per il Sud); il libro è scritto bene, non mancano i riferimenti colti, le trovate di stile, una dote non scontata per questo tipo di letteratura. Lì dove il testo mi appare problematico, è invece nelle soluzioni proposte; cioè nella sostanza delle cose da fare, al di là di una ispirazione generale che pure mi trova concorde.
Spieghiamoci meglio. Chi scrive non può che condividere il giudizio secondo cui il riscatto del Mezzogiorno e dell’Italia tutta dipende, al fondo, dalla qualità delle istituzioni, «impersonificate dalle sue classi dirigenti» (p. 174): e «non bastano misure economiche di qualsivoglia dimensione, se non sono sorrette da garanzie assolute, preventive e consuntive, sulla trasparenza e sui controlli» (p. 176). Ben vengano allora il ruolo dell’Autorità anticorruzione e norme più severe come la revoca degli appalti; dopo il fallimento delle regioni, auspicabile un coordinamento delle competenze sovra-regionali;[2] ma soprattutto, si metta mano a una «riforma strutturale» della pubblica amministrazione, che proceda su due binari, quello dell’efficienza della spesa, ma anche quello della trasparenza. Tutto bene, ma purtroppo qui non si va al di là delle mere enunciazioni. Se questi temi hanno l’importanza che Soriero sembra attribuirgli, bisognava parlarne di più. Riformare l’amministrazione è tema cruciale ma anche spinoso, nella pratica, non facile da attuare per le molte opposizioni (ma delle scelte che scontentino qualcuno andranno pur fatte). Si intreccia con la riforma della politica, su cui Soriero sorvola con eccessivo ottimismo, e che forse andrebbe attuata non tanto nella direzione di un abbassamento dei costi (come troppo spesso si sente dire cedendo a una facile demagogia), quanto piuttosto in quella di una maggiore trasparenza e responsabilità. E soprattutto si lega alle più ampie questioni del funzionamento della burocrazia e della giustizia in Italia: cioè all’esigenza di ammodernare, semplificare e snellire le regole con cui operano i soggetti economici, pubblici e privati. Entrambe, burocrazia e giustizia, presentano lungaggini e intoppi superiori a quelli di ogni altro paese avanzato − il che vuol dire incertezza del diritto − ma di tutto ciò nel libro non viene fatta menzione.
L’autore dedica invece molto spazio alla logistica, e alla proposta di creare delle Zone economiche speciali a Gioia Tauro e negli altri grandi scali del Mezzogiorno. Seguendo un’idea già enunciata un decennio orsono da Nicola Rossi,[3] egli nota che il Mezzogiorno ha acquisito oggi una centralità geografica che prima non aveva, essendo diventato il punto di approdo delle grandi navi in arrivo dai mercati in ascesa dell’Oriente. Certo è però che queste opportunità bisogna saperle cogliere (e infatti sono già passati dieci anni). Nella descrizione delle potenzialità e degli sviluppi del porto di Gioia Tauro, Soriero è molto chiaro: «Non più la richiesta di incentivi a medio e lungo termine, ma la riduzione immediata e temporanea delle imposte», ma invece una «Zona economica speciale» (p. 173), ovvero un’area in cui gli operatori godano di sostanziosi benefici contributi e fiscali (da pagarsi con i fondi di coesione europei). Io francamente non so se questa proposta (approfonditamente discussa nell’appendice del libro)[4] sia la strada giusta, almeno nello specifico. In generale è vero che agire sugli incentivi fiscali, in un’area a illegalità diffusa e radicati comportamenti opportunistici quale il Mezzogiorno permane, è meglio che puntare sui contributi a fondo perduto i quali, appunto, si (dis)perdono: Soriero fa quindi bene a mettere in risalto questo aspetto. Ma il problema dei porti meridionali, e delle difficoltà che essi trovano nel recepire le opportunità del grande commercio mondiale, non è tanto dovuto ai costi (da ridurre con incentivi), quanto alla normativa: più che di vantaggi fiscali, i grandi porti del Sud (non solo Gioia Tauro, ma anche Taranto, Napoli, e poi Catania, Cagliari), abbisognerebbero di una semplificazione delle procedure. Questo è quel che dimostra, ad esempio, il recente caso del trasferimento di linee cinesi e taiwanesi dal porto di Taranto al Pireo;[5] ma questo emerge anche dall’analisi che proprio Soriero fa delle recenti difficoltà del porto di Gioia Tauro (che sono legate a contenziosi legali fra le diverse istituzioni presenti nell’area portuale), e credo che valga anche per il caso di Napoli. Sono lo snellimento burocratico e la semplificazione normativa davvero indispensabili, anche per i necessari lavori di ampliamento e per il potenziamento delle circostanti infrastrutture terrestri. È appena il caso di notare che questa riforma delle regole deve avvenire di pari passo con un rafforzamento dei controlli: sembra difficile, ma non lo è, perché in realtà è proprio nelle astrusità burocratiche e nei cavilli che trova terreno fertile l’illegalità.
In quanto alle altre linee strategiche di intervento, Soriero fa bene a insistere sulla riqualificazione urbana, un obiettivo su cui impegnare con più decisione i fondi europei (aggiungo: come avvenuto con successo in altre parti d’Europa, si pensi alla Siviglia andalusa). Fa bene anche a insistere sull’industria: guai a pensare che un’area popolosa come il Sud possa prosperare solo con il turismo o inseguendo i miti della decrescita (che peraltro vive già, da anni, involontaria); e questo naturalmente vale anche per l’Italia. Tuttavia, anche per quel che riguarda l’industria Soriero rimane nel vago: a quali settori dare la priorità, con quali politiche, cioè con quali strumenti? Perché non parlare anche in questo caso di incentivi fiscali (invece che di contributi a fondo perduto o mutui agevolati, come quelli stanziati di recente dal governo Renzi),[6] su cui impegnare i fondi europei? Andrebbe anche detto, in verità, che la scelta tra incentivi fiscali (ex-post) e contributi (ex-ante) è sul piano tecnico un po’ più complessa di quel che appare, perché per erogare i fondi l’Europa impone dei precisi piani di spesa: fare dei credibili preventivi ex-ante sugli incentivi fiscali non è impossibile, ma bisogna predisporsi per tempo e attrezzarsi di conseguenza.
Anche se personalmente avrei dedicato parte dello spazio ad altri temi, purtroppo solo accennati, o ad altre proposte, a me pare che il libro di Soriero vada nella direzione giusta. È un buon segno. Negli ultimi vent’anni diverse chimere hanno attraversato e incantato il discorso pubblico sul Mezzogiorno: il mito dello sviluppo autopropulsivo (ricordate il Mezzogiorno dei distretti? Dissolto nella crisi economica), quello della pianificazione dal basso (su cui si fondava l’esperienza della neo-programmazione, un sostanziale fallimento per quanto le responsabilità siano anche del governo centrale), quello di un Sud a macchia di leopardo (impietosamente sepolto sotto i colpi delle statistiche macroeconomiche, da ultimo il rapporto Svimez dei giorni scorsi, che ci dicono che sì, esiste ancora una frattura netta, profonda, fra le due parti del paese, e che anzi è oggi più forte di prima). Molti intellettuali del Sud si sono lasciati ammaliare da questi discorsi à la page, e anzi ne hanno pure alimentato di altri (ad esempio il mito della Borbonia felix). Da troppo tempo, ha ragione Soriero, siamo davanti al paradosso di un Mezzogiorno senza meridionalismo, «privo cioè di quella incalzante corrente di pensiero che nel passato seppe rappresentare con dignità i diritti dei meridionali» (p. XIII). L’intenso dibattito degli ultimi mesi e anche, mi pare, il messaggio che vuole trasmettere il libro di Soriero, testimoniano però che qualcosa sta cambiando. Forse il pensiero critico meridionale sta risorgendo dalle ceneri accademiche del conformismo, e da quelle mediatiche del populismo C’è ancora molta strada da fare, ma può non essere lontano il giorno in cui la due «solitudini», quella degli intellettuali critici e quella del Mezzogiorno abbandonato a se stesso, si riconosceranno.
[1] G. Soriero, Sud, vent’anni di solitudine, Roma, Donzelli, 2014. Nel testo e nelle note, le citazioni dei numeri di pagina fra parentesi sono prese da questo volume.
[2] Anche l’abolizione del ministero per la coesione territoriale, peraltro senza portafoglio, secondo Soriero non è necessariamente un male, se − come indicherebbe l’affidamento della relativa delega al premier − così facendo l’onere della politica per il Mezzogiorno viene assunto in capo all’intero consiglio dei ministri e al suo presidente, «come componente essenziale delle scelte programmatiche nazionali» (p. 180). Gianfranco Viesti (La crisi, il Mezzogiorno e i difetti di interpretazione, in «Meridiana», 2014, 79, pp. 9-27) si è mostrato invece assai preoccupato per quella decisione. Si tratta naturalmente in entrambi icasi di posizioni di principio, la cui correttezza può essere valutata solo alla luce dei fatti concreti. In questa luce, ritengo che i due ministri della coesione territoriale che si sono succeduti, Fabrizio Barca e Carlo Trigilia, peraltro noti studiosi dei problemi del Mezzogiorno e dell’economia italiana, abbiano entrambi svolto un lavoro importante e lodevole. Ma sul piano dei principi, per quel che è diventata oggi la questione meridionale in seno al problema del declino dell’Italia tutta, condivido l’auspicio di Soriero.
[3] N. Rossi, Mediterraneo del Nord. Un’altra idea del Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza 2005.
[4]L’appendice è una sintesi della relazione svolta in occasione della Seconda Conferenza internazionale sulla Connettività globale con il bacino del Mediterraneo, tenuta a Gioia Tauro, il 26 e 27 giugno 2013, e promossa dalla Medcenter Continer Terminal e dall’Autorità portuale, d’intesa con la Regione Calabria. Il testo completo è stato pubblicato come G. Soriero, La Zona Economica Speciale per rafforzare la centralità di Gioia Tauro nella Rete Logistica Internazionale, in «Rivista economica del Mezzogiorno», 2013, 27, 3, pp. 699-738.
[5] Ne accenno in E. Felice, Perché il Sud è rimasto indietro, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 205-206 e 233n.
[6] “Renzi firma 24 progetti per un miliardo e mezzo di investimenti: “Garantiti 25mila posti lavoro”, in «La Repubblica. Economia e Finanza», 22 luglio 2014.
*Una versione abbreviata di quest’intervento è stata pubblicata su Il Corriere del Mezzogiorno, 5 agosto 2014, con il titolo “Quel Mezzogiorno malato da vent’anni di solitudine”.