Il reddito di cittadinanza come strumento di una politica economica espansiva

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The purpose of this study is to explore current issues concerning Italy’s economic conditions from an international context.
Although the topic has already been abundantly discussed, it is felt that it should be analyzed and studied not only from a legal/institutional perspective but also and above all from an economic perspective. Therefore, the present study aims to broaden the scope of research by advancing the field through the study of the RdC institution from a macroeconomic point of view, therefore considered simply as an anti-crisis fiscal policy instrument to demonstrate its effectiveness.
To do this, a whole series of macroeconomic indicators will be analyzed by means of a quantitative survey that, through a graphical representation, will highlight the economic repercussions of the Covid-19 pandemic and the role assumed in this regard by the Citizenship Income in terms of its capacity to affect the real economy. For this reason, the object of analysis will be the widening of the North-South divide that occurred following the aforementioned pandemic crisis, observing not only some of the most important macroeconomic data on the industrial and productive context of the aforementioned areas, but also and above all through the analysis of the data concerning the RdC, concerning, for example, the number of people involved rather than their place of residence.

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Motivazioni e cause che hanno portato all’adozione del RdC: l’economia italiana degli ultimi 15 anni; 3. L’economia italiana oggi; 4. Reddito di cittadinanza e il divario Nord/Sud; 5. Conclusioni: il grado di incidenza del RdC sull’economia reale.

1. Introduzione

Rispetto a quanto si è soliti affermare sull’istituto del reddito di cittadinanza, il presente studio intende rappresentare un cambio di rotta entrando nel merito prettamente economico della questione osservando ed analizzando suddetto istituto esclusivamente mediante lo studio dei dati macroeconomici osservati nel corso degli ultimi quattro anni.

Il contesto storico cui la misura si trova ad operare, induce ad una necessaria riflessione su come gli strumenti tipici delle politiche fiscali possano agire in modo efficace in termini di contrasto agli shock economici come quelli derivanti dalla pandemia da Covid-19 prima e dalla guerra in Ucraina dopo, e come quest’ultimi si siano insediati con forza in un contesto, quello italiano, già provato dal processo di spending review operato dal 2011 in poi quale risultato della crisi dei mutui sub-prime del 2007 e della successiva crisi dei debiti sovrani dell’eurozona del 2011. Come se non bastasse tutto ciò non ha fatto altro che acuire il gap tra regioni del nord e quelle del sud Italia in termini di crescita economica.

Sulla base di tutte queste ragioni nonché degli studi precedenti[1] , l’elaborato si propone l’obiettivo di sovvertire la convinzione secondo cui le politiche di sostegno al reddito rappresentino un mero assistenzialismo ma al contrario, come gli strumenti di politica fiscale espansiva concernenti ad esempio i conferimenti welfare, possano risultare efficaci non soltanto nel breve periodo ma così come già ampiamente sostenuto dalla scuola keynesiana, possano costituire il migliore strumento nelle mani dei policy maker atto a sovvertire una stagnazione economica o più semplicemente un disallineamento tra domanda e offerta.

Il saggio, attraverso un’indagine quantitativa e l’utilizzo di strumenti di statistica descrittiva, andrà così a studiare il reddito di cittadinanza quale strumento di politica fiscale anticongiunturale da un punto di vista prettamente macroeconomico al fine di dimostrarne l’efficacia, mediante l’elaborazione e l’analisi di tutta una serie di dati macroeconomici riguardanti il Pil, il tasso di crescita, il tasso di disoccupazione, il tasso di occupazione non soltanto a livello nazionale ma anche regionale al fine di porre a confronto le due macroaree che interessano il paese ovverosia regioni del centro/nord e quelle del sud e delle isole in riferimento anche e soprattutto al numero di famiglie e di persone coinvolte dalla fruizione del beneficio di cui oggetto di studio.

2. Motivazioni e cause che hanno portato all’adozione del RdC: l’economia italiana degli ultimi 15 anni.

Al fine di comprendere l’attuale situazione economica italiana è doveroso e necessario fare un passo indietro di oltre un decennio fino ad arrivare alla difficile e complicata situazione economica scaturita dalla crisi finanziaria internazionale Ad oggi l’Italia, così come altri paesi europei, fa i conti con la difficile situazione economica scaturita dalla crisi finanziaria internazionale del 2007 la c.d. crisi dei mutui sub-prime e della successiva crisi dei debiti sovrani dell’eurozona, dettata anzitutto da una scarsa regolamentazione dei mercati finanziari in relazione all’introduzione di strumenti di finanza strutturata che nel breve periodo, avrebbero permesso una più facile circolazione del capitale mediante la rideterminazione dei requisiti per l’accesso al credito, mentre nel lungo periodo avrebbero invece generato una forte difficoltà nella gestione e nell’individuazione delle attività cartolarizzate.

Nella fattispecie tale difficoltà di gestione, deriva in primo luogo dal fatto che all’interno del mercato dei mutui subprime vi è la presenza di un nuovo strumento finanziario, il c.d. Credit Risk Transfer, il quale prevede un elevato numero di partecipanti si pensi: alle banche d’investimento, agli hedge founds, alle imprese di assicurazione, ai fondi pensione, alle agenzie di rating, ilche consente il trasferimento del rischio ed una redistribuzione degli stessi tra Mortage Broker i quali, non sono soggetti al controllo da parte dell’autorità di vigilanza ma sono sottoposti esclusivamente alla supervisione dello Stato in cui sono stati autorizzati all’esercizio dell’attività.

In secondo luogo, al Credit Risk Transfer si associa lo sviluppo di un nuovo modello di business utilizzato dalle banche le quali passano da un modello definito originate-and-hold, in cui i prestiti vengono accettati sopportandone il rischio fino alla scadenza, originate to distribuite (ODT), in cui i prestiti vengono creati per essere ceduti. Il modello ODT è pertanto incentrato sul trasferimento, in capo ai mercati finanziari, del rischio di credito, connesso nel caso di specie ai mutui subprime.

Tant’è vero che i principali intermediari finanziari nonché le più importanti banche d’investimento fecero difficoltà nel comprendere la portata dei titoli in portafoglio. Tutto ciò generò una forte crisi del sistema finanziario mondiale portando al default di alcune tra le maggiori banche d’investimento a livello mondiale, come la Lehamn Brothers Inc il cui default rappresentò l’inizio di una lunga crisi finanziaria che andrà a colpire l’economia reale di ogni singolo Paese coinvolto. In tali circostanze, gli interventi isolati messi in atto dalle singole autorità nazionali non risultarono più sufficienti. Al fine di arrestare l’aggravarsi della crisi finanziaria, per la prima volta fu’ elaborata un’azione ufficiale coordinata a livello internazionale, mediante la riduzione di 50 punti base dei tassi ufficiali da parte di sei importanti banche centrali, fra cui la Bank of England, la BCE e la Federal Reserve. Quest’ultime si trovarono di fronte alla necessità di adottare nuovi strumenti di politica fiscale mediante l’immissione di ingenti capitali all’interno del sistema economico al fine di salvare il sistema bancario e di conseguenza di fornire una fonte di stimolo all’economia reale in prenda ad una prima fase di recessione.

Nella fattispecie considerato il crollo del mercato azionario, l’obiettivo delle principali banche centrali coinvolte, sarà quello di stabilizzare il sistema bancario mediante una progressiva e significativa riduzione dei tassi d’interesse.

Si rende necessario specificare cheal fine di contrastare suddetta crisi finanziaria, l’Unione Europea mise in atto due meccanismi di salvaguardia della propria economia; si pensi all’istituto ESM (European Stability Mechanism)[2] che si occupò della gestione di un fondo di salvataggiodei paesi che non riuscirono più a collocare i titoli pubblici sul mercato primario; ed il programma OMT (Outright Monetary Transaction)[3] quale scudo anti-spread che consentì alla Banca Centrale Europea di sostenere, attraverso l’acquisto illimitato sul mercato secondario, le quotazioni dei titoli dei paesi in difficoltà con l’obbligo da parte di questi ultimi, di adottare politiche di bilancio virtuose.

Mediante l’adesione a suddetto programma, la Banca Centrale Europea si impegnava ad acquistare i titoli dei governi in difficoltà per assicurare un tasso ragionevole, a condizione che questi ultimi si impegnassero ad attuare un programma di riforme economiche con il fondo di assistenza dell’area euro, il c.d. Meccanismo europeo di stabilità (MES). Al fine di arginare la crisi finanziaria del 2007, oltre ad aver attuato tutta una serie di interventi economico/normativi, l’Unione Europea ha imposto le c.d. politiche di austerity nei confronti degli Stati con un elevato debito pubblico (PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), si pensi ad esempio: all’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio; all’obbligo del non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL; alla significativa riduzione del rapporto debito pubblico/PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL; all’impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea.

In via conclusiva la crisi dei mutui subprime, quindi, generò una serie di reazioni a catena che portarono ad una lenta e progressiva stagnazione dei mercati finanziari non soltanto americani ma anche e soprattutto europei che portarono nel tempo alla formazione della c.d. crisi dei debiti sovrani dell’eurozona. Per impedire il tracollo del sistema bancario, i governi europei adottarono un piano di salvataggio con aiuti immediati da parte della BCE la quale, tra il 2008 ed il 2011, stanziò circa 1,6 mila miliardi di euro, l’equivalente del 13% del PIL annuale dell’UE.[4]

Nonostante i ripetuti interventi effettuati sia dalla Banca Centrale Europea mediante iniezione di capitale nelle principali banche europee, che dagli stati membri mediante l’attuazione di politiche economiche restrittive in ossequio alle disposizioni comunitarie, non si è riusciti a contrastare efficacemente suddetta crisi ma al contrario, si è contribuito a formare un Europea che corre a doppia velocità.

 Più precisamente i paesi membri che avevano accumulato un ritardo sul cammino dell’integrazione caratterizzati inoltre da una lenta crescita economica (si pensi all’Italia) sono stati maggiormente colpiti dalla su citata crisi, rispetto ai paesi che avevano consolidato le loro economie nel quadro europeo (si pensi alla Germania) e, conseguentemente, non sono più riusciti a rispettare i vincoli comunitari; ciò ha determinato ad esempio il default della Grecia o l’uscita dell’Inghilterra dall’eurozona.

3. L’economia italiana oggi

Ad oggi l’Italia, fa i conti con una difficile crisi economica scaturita in primis dell’epidemia da Sars-Cov2 ed in secundis dal conflitto russo-ucraino. Prima di procedere con la disamina dall’odierna situazione economica del nostro è doveroso ricordare molto sinteticamente cosa avvenne in Italia e non solo dal gennaio 2020 in poi.

Nella fattispecie il 11 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiara, la pandemia da Covid-19 presente già da diversi mesi in Cina, quale emergenza sanitaria di interesse internazionale a causa della sua rapidità di diffusione e dell’elevato tasso di mortalità. In breve tempo, nonostante le misure di contenimento poste in essere dapprima dalla Cina e successivamente anche da altri paesi europei e non solo, attraverso ad esempio le limitazioni all’entrata e all’uscita dallo stato piuttosto che mediante controlli fisici dei passeggeri sino a giungere ad un lockdown generalizzato che ha comportato tra le altre cose, il divieto di spostamento da uno stato all’altro.

L’Italia è stato uno dei paesi europei maggiormente colpiti dalla prima ondata di Covid-19 tant’è vero che il giorno successivo alla dichiarazione fornita da parte dell’OMS il Governo italiano con a capo il Presidente Giuseppe Conte, dopo i primi provvedimenti cautelativi adottati a partire dal 22 gennaio, tenuto conto del carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia, ha proclamato lo stato di emergenza e messo in atto le prime misure di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale.

Al fine di contrastare efficacemente la pandemia il governo ha adottato diversi decreti attuativi tra i quali il DPCM 8 marzo 2020[5], il DPCM Iorestoacasa[6] ed il DPCM 11 marzo 2020[7]. Attraverso i suddetti il Primo ministro Conte ha ordinato ancora più stringenti misure di confinamento della popolazione, e l’interruzione di numerose attività produttive, commerciali e professionali, ad eccezione del settore agro-alimentare, sanitario, servizi essenziali e altre attività di necessarie al loro funzionamento. Nel contempo, sono state attivate dapprima nella pubblica amministrazione, poi anche nelle imprese private di pubblico interesse, nelle imprese e negli uffici sia pubblici che privati, regole di lavoro agile per ogni attività che consentisse tali modalità di lavoro.

È chiaro comprendere come tale condizione di isolamento perpetrata per circa 3 mesi con riapertura graduale delle varie attività economiche abbia provocato uno shock congiunto di domanda e di offerta sia all’interno che all’esterno del nostro paese.

Il governo è stato così costretto ad intervenire mediante tutta una serie di strumenti economici a sostegno delle imprese e delle famiglie attraverso i c.d. decreti aiuti e decreti ristoricostati all’incirca 18 miliardi di euro. Al fine di comprendere l’impatto economico della pandemia e i suoi risvolti sull’economia reale, con la tabella successiva, si andranno a considerare 3 indicatori, tra quelli fondamentali del ciclo economico, osservandone l’andamento per gli anni 2020, 2021, 2022 a confronto con l’anno pre-pandemico 2019.

Tabella 1: previsioni espresse in variazioni percentuali.

Fonte: elaborazione propria su dati ISTAT.

Dalla tabella si evince come l’economia italiana durante l’anno 2020 abbia subito una battuta d’arresto a seguito della pandemia da Covid-19 e alle relative restrizioni in termini di interscambio. Nella fattispecie il primo indicatore da considerare è sicuramente il PIL il quale rappresenta il miglior strumento per calcolare le dimensioni di un dato sistema economico in un dato anno con la possibilità quindi di poterlo porre anche a confronto con le prestazioni economiche di un diverso paese.

Senza entrare nel dettaglio su come si calcoli il PIL e sui relativi aspetti macroeconomici è opportuno ricordare che in Italia il PIL si compone principalmente di 4 indicatori: consumi delle famiglie – spesa pubblica – investimenti – import/export – turismo. Il settore industriale ha beneficiato di un andamento nel complesso favorevole sia del commercio internazionale che della domanda interna, anche per gli investimenti. La crescita annuale acquisita è pari al 3,4%, superiore al 3,1% previsto nel Documento di economia e finanza. Per ciò che attiene le esportazioni, che nel 2019 rappresentavo il 31,7 % del PIL, vi è stata una significativa contrazione nel 2020 rispetto all’anno precedente per poi riprendersi con forza nel 2021 e dalle previsioni, anche nel 2022. Nel 2021 la crescita ha riguardato, il settore farmaceutico (+25,6%), la metallurgia (+5,3%), il settore metalmeccanico (17,2%), la moda (11,9%) e la filiera agro-alimentare (9,1%).

Il tasso di disoccupazione rappresenta sicuramente una nota dolente per l’economia del nostro paese dal momento che il suo valore è da sempre tra i più bassi in Europa seguita, per farne un esempio, da Spagna e Grecia. Ad ogni modo, nonostante la stagnazione dell’economia e la riduzione della domanda e dell’offerta aggregata durante l’anno 2020, si è comunque registrato un trend in decrescita rispetto agli anni precedenti arrivando a raggiungere ad oggi il 7,9%.

Allo stato attuale vi è stata una sorprendente ripresa del PIL rispetto a quanto auspicato dal rapporto provvisorio del MEF il quale ritiene che il notevole incremento dello stesso si sia verificato nonostante un contesto di grande difficoltàper via della guerra in Ucraina, che ha determinato un aumento repentino dei prezzi internazionali dell’energia, e di conseguenza dei beni di prima necessità, si pensi ai prodotti alimentari e farmaceutici, fino a giungere ad un aumento costante e crescente del tasso di inflazione che sfiora il 10% ed un relativo rialzo dei tassi di interesse a livello globale.

Tale condizione può essere il risultato di tutta una serie di interventi che il nostro establishment ha messo, e sta mettendo in atto, con l’intento di raggiungere gli obbiettivi delineati dall’Unione Europea e nella fattispecie dalla BCE, la quale al fine di sostenere l’economia degli stati della zona euro e ad assorbirne lo shock derivante dalla pandemia da Covid-19, ha attuato tutta una serie di strumenti a sostegno dell’accesso al credito delle famiglie e delle imprese, l’aumento della capacità di finanziamento delle banche e dell’accessibilità dei costi di finanziamento mediante un pacchetto di circa 1.850 miliardi di euro, attuando quindi una politica monetaria espansiva attraverso anzitutto un controllo dell’inflazione che ad oggi può essere pari e non più inferiore al 2%.

All’interno di questo complesso di aiuti, si inserisce un nuovo strumento finanziario denominato Next Generetion Eu, istituito con l’obbiettivo risollevare le economie nazionali e quella dell’UE fortemente colpite dalla crisi pandemica, attraverso il sostegno degli Stati membri per ciò che attiene gli investimenti, le riforme, il rilancio dell’investimento privato, rendendo così le economie più sostenibili e resilienti attraverso una logica di transizione digitale ed ecologica.

È in questo contesto che si inserisce il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso il quale l’Italia riceverà 191,5 miliardi di euro, quale pacchetto di investimenti e riforme aventi l’obiettivo di innovare il paese e renderlo più competitivo in ambito internazionale. Per fare ciò si prevede un investimento di 40,31 miliardi di euro destinati all’innovazione digitale; 59,47 miliardi di euro da investire nel comparto relativo la transizione ecologica; 25,40 miliardi di euro per l’ammodernamento della rete infrastrutturale; 30,88 miliardi di euro destinasti alla ricerca e innovazione; 19,81 miliardi per incentivare l’inclusione e la coesione e 15,63 miliardi di euro da investire sul Servizio Sanitario nazionale.

In conclusione è opportuno però riportare all’attenzione che superata la crisi pandemica, la BCE al fine di evitare un aumento eccessivo dell’inflazione arrivata a toccare nel 2021 il 2,6%, quindi oltre la soglia limite posta al 2%, derivato in gran parte da un abbassamento dei tassi di interesse e dalla presenza di una maggiore quantità di moneta circolante, si è trovata costretta ad invertire la rotta adottando una politica economica restrittiva attraverso un aumento dei tassi di interesse di riferimento dell’euro-zona, con una conseguente ricaduta in negativo sulle economie reali.

4. Reddito di cittadinanza e divario Nord/sud

Istituito con la l. n.26 del 28 marzo 2019, il Reddito di cittadinanza rappresenta un interessante strumento di politica economica anticongiunturale volto al superamento di un periodo di recessione, mediante l’immissione indiretta di risorse all’interno del ciclo economico.

L’articolo 2 della suddetta legge istitutiva ne delinea i beneficiari disponendo che, il RdC, è riconosciuto in capo ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di molteplici requisiti (economici, di cittadinanza e di residenza).

È doveroso precisare che, la presenza di elementi legati a requisiti economici e di residenza rende il RdC una misura assimilabile al c.d reddito minimo, ovvero un trasferimento monetario indirizzato a qualsiasi nucleo che si trovi al di sotto di determinate soglie economiche e patrimoniali; è inoltre assimilabile a un trasferimento monetario condizionato (means tested), in quanto è presente la componente dell’adesione a programmi legati alla ricerca di lavoro e al- l’inclusione sociale per i beneficiari in età̀ attiva[8].

Il dibattito in merito alla possibilità che un tale strumento possa riequilibrare la congiuntura economica nel periodo in cui lo stesso è attivo è tuttavia divampante in quanto alcuni, lo considerano come uno strumento idoneo a contrastare la povertà mediante il sostegno al reddito, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale; utile per stimolare la crescita economica mediante il sostegno alla domanda; ciò perché, non vi è data possibilità alcuna al ricevente di poter operare azioni di risparmio rispetto all’importo caricato sulla carta elettronica. Si ritiene inoltre essere un efficace strumento di contrasto al lavoro nero, in quanto disincentiva i disoccupati percettori della misura, ad accettare lavori non contrattualizzati e dal salario basso.

Altre scuole di pensiero invece, considerano il Reddito di cittadinanza come uno strumento controproducente poiché contrasta la povertà solo nel breve periodo, inducendo i percettori a non lavorare e a non ricercare attivamente un occupazione posto che, in alcune regioni d’Italia, si veda il sud e le isole, il lavoro continua a mancare.

Tralasciando momentaneamente tali considerazioni, si può affermare con una certa sicurezza che il legislatore, attraverso l’introduzione di suddetto strumento, intendeva sicuramente spingere al rialzo gli stipendi medi in modo tale da indurre i beneficiari alla ricerca attiva di un lavoro serio e duraturo ma soprattutto non sottopagato nonché tentare di ridurre i divari territoriali.

Orbene, durante le due su citate crisi che ricoprono un orizzonte temporale che va dal 2007 al 2015 anno di iniziale ripresa, il Pil italiano subisce una decrescita del -7,9% di cui il -5,9% al nord est, il -5,7% al nord ovest, il -11,9% al sud e il -15,7% al centro.  È evidente quindi, come la successiva crisi economica del 2020 collegata all’avvento della pandemia da Covid-19 abbia maggiormente impattato sulle regioni del centro/sud, inasprendo i divari territoriali nonché generando un’economia a doppia velocità all’interno del paese; tant’è vero che “la perdita di Pil registrata in Italia dal 2007 al 2019 è stata del 2% al nord e del 10% al sud[9]”.

Il divario territoriale rappresenta un nodo dolente per il nostro paese in quanto attanaglia diversi settori che impediscono un pieno sviluppo delle regioni del sud e delle isole: il divario territoriale attiene all’istruzione, alla digitalizzazione, al tessuto imprenditoriale in generale, alla sanità ed alle infrastrutture. In questa sede sarebbe troppo complicato riassumere in poche righe le debolezze dei comparti appena citati e si rischierebbe di andare fuori tema, pur tuttavia risulta essere necessario almeno un breve accenno sulle criticità che attanagliano il comparto produttivo meridionale segnato da un profondo deficit infrastrutturale, da una carenza dei servizi pubblici rispetto alle regioni del nord nonché dalla presenza della criminalità organizzata.

Molto brevemente il centro sud, rispetto alle altre aree del paese, presenta un’economia caratterizzata da microimprese spesso a conduzione familiare e a minore contenuto di conoscenza, tecnologia e produttività in cui si registra un’alta incidenza del lavoro irregolare, di instabilità dei rapporti lavorativi nonché un aumento costante e crescente dei processi migratori in uscita di lavoratori giovani e qualificati[10].

Le dinamiche demografiche rappresentano delle tendenze di fondo che influenzano l’economia di un paese nel lungo periodo, pertanto, assumono particolare rilievo in quanto sono in grado di ridisegnare, trasformare, la geografia economica delle nazioni. L’andamento demografico della popolazione in età da lavoro costituisce ad oggi uno tra gli indicatori più importanti, alla stregua del Pil reale, utile al fine di analizzare e misurare i divari territoriali. Nel 2020, Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti in età compresa tra i 25 ed i 34 anni, nei flussi interni extra-regionali e 56 su 100 in quelli esteri[11]. Inoltre, nel 2022, solo per fare un esempio, circa 65 mila calabresi in età da lavoro sono emigrati verso regioni del Nord Italia riducendo così ulteriormente il numero di persone in età da lavoro presenti sul territorio regionale[12]. Inoltre, se si osservano i dati sull’occupazione forniti dall’ISTAT[13] per l’anno 2019, emerge come nel sud e nelle isole risulta occupata solo il 44,5% della popolazione tra i 15 e i 64 anni a fronte del 66,6% al centro/nord.

Nonostante ciò, il tessuto economico meridionale[14] trova il suo punto di forza nel: turismo; nella commercializzazione a livello nazionale di prodotti tipici; nella produzione di energia, la cui capacità, stando ai dati forniti dal report della Banca d’Italia, è aumentata nel periodo 2007-2019 del 50% circa rispetto il 10% nel centro nord. Tale aumento di produzione si deve anzitutto alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile, ‘’la cui potenza installata è cresciuta di 4 volte, arrivando a contare per il 40% del totale nazionale.[15]’’

Ciò posto, sebbene sia complicato quantificare quale sia stato il reale effetto di tale misura sull’economia reale, attraverso la tabella successiva si cercherà di ripotare in maniera sintetica alcuni tra i più significativi indicatori macroeconomici, osservati da aprile 2019 anno di introduzione della misura a settembre 2022, con l’obiettivo di comprenderne quantomeno il peso dallo stesso esercitato.

Tabella 2: Nuclei familiari percettori di almeno una mensilità di Reddito di Cittadinanza espressi in valori assoluti.

Fonte: elaborazione propria su dati INPS.

Dalla tabella sopra riportata possiamo osservare un aumento del numero dei nuclei familiari beneficiari del RdC che da circa 975 mila i ad aprile 2019, anno di introduzione della misura, sono passati a circa 1.489.051 a settembre 2022 con circa 3,5 milioni di persone coinvolte. Di questi nuclei familiari circa 939 mila risiedono nel Sud e nelle Isole con un aumento del 17% rispetto all’anno precedente, seguiti da circa 236 mila nel centro e circa 312 mila al Nord. L’importo medio mensile del sussidio ad oggi è di 581,96 euro rispetto ai 530.02 euro del 2019.

I dati poc’anzi esposti  mostrano con evidenza come il numero di nuclei familiari coinvolti sia maggiormente presente al Sud e nelle isole: le persone coinvolte sono 2,3 milioni, rispetto alle 654 mila del nord, sinonimo del fatto che il sud sia ancora fortemente provato dalla crisi economia derivante dalla pandemia da Covid-19 che non ha fatto altro che evidenziare il divario esistente oramai da più di 50 anni tra le regioni del nord e quelle del sud che si è andato ad inasprire a seguito della già citata crisi finanziaria internazionale del 2007 e della conseguente crisi dei debiti sovrani del 2011.

5. Conclusioni: il grado di incidenza del RdC sull’economia reale.

 Considerata la situazione emergenziale caratterizzata da una considerevole contrazione dell’economia nella maggior parte dei paesi colpiti dalla pandemia da Covid-19, l’Unione Europea ha percepito sin da subito l’importanza di contrastare la stagnazione economica dell’eurozona mediante l’elaborazione ed attuazione di una politica economica espansiva attraverso l’utilizzo di tutta una serie di strumenti di politica fiscale; si pensi: all’abbassamento dei tassi di interesse di riferimento, ai tassi di interesse di riserva obbligatoria, o ancora ai tassi ufficiali delle operazioni dell’euro sistema (tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale, marginale e di deposito presso la BCE); e allo stanziamento di ingenti flussi di denaro (Next generation Eu).

Allo stesso modo anche gli stati membri sono intervenuti, in ossequio alle linee guida europee, mediante l’elaborazione di provvedimenti aventi come obiettivo iniziale il sostegno al reddito. Nella fattispecie il governo italiano ha predisposto un pacchetto di interventi, si pensi al Decreto aiuti e ai Decreti Rilancio, rivolti al sostegno delle imprese e dei lavoratori maggiormente colpiti dalla crisi economica, con l’intento di contrastare la povertà e di supportare il sistema produttivo.

Partendo dal presupposto, così come riconosciuto dall’economista Keynes, che una politica di sostegno della domanda rappresenti il modo migliore per evitare il crollo della produzione ed in generale le depressioni economiche: l’istituto del Reddito di cittadinanza ben si avvicina a quest’ottica in quanto, seppur per tutta una serie di ragioni non abbia funzionato sotto il profilo della ricerca attiva del lavoro, è indubbio che sia stato ed è tutt’ora un’importate strumento di sostegno al reddito, ai consumi e quindi alla domanda, rappresentando un modo intelligente di immettere moneta all’interno del sistema economico. A supporto della tesi portata avanti in questo scritto attraverso un’indagine quantitativa, nel grafico successivo si andranno ad osservare alcuni tra gli indicatori macroeconomici più importati, al fine di analizzarne l’andamento nel corso degli anni, e nello specifico dal 2019 anno pre-pandemico nonché anno di introduzione della misura, al 2022.

Grafico 1: andamento del PIL, del Tasso di inflazione e del tasso di disoccupazione in Italia espresso in valori percentuali.

Fonte: elaborazione propria su dati ISTAT.

Dai dati in possesso si osserva, per l’anno 2020, una decrescita del Pil pari all’8,9% con una perdita di circa 150 miliardi di euro, la quale nel dettaglio ha riguardato i consumi per 108 miliardi di euro, gli investimenti per 16 miliardi e le esportazioni per 78 miliardi di euro. Nonostante la forte depressione del Pil avuta nel 2020 a causa anzitutto del lockdown generalizzato, dal grafico si evince come per il 2021 e dalle previsioni anche per il 2022, quest’ultimo abbia avuto un andamento costante e crescente arrivando a toccare rispettivamente il + 6,6% ed il + 4,7%, valori del tutto alti se si considera il 2019. Tale condizione di ripresa, si deve senza dubbio ad una politica economica espansiva intrapresa dall’Unione Europea e dagli stati membri; tant’è vero che ponendo a confronto il tasso di disoccupazione del 2019 e del 2022, sebbene in quest’ultimo caso si tratti ancora di stime preliminari, si può osservare una riduzione dello stesso dal 10% del 2019 al 7,9% del 2022.

Per tale ragione si ritiene che sebbene sia difficile quantificare quanto il reddito di cittadinanza abbia inciso sulla ripresa economica del paese ed al contempo abbia ridotto gli effetti della recessione, quantomeno durante la prima ondata pandemica, è indubbio che sia stato uno strumento indispensabile a sostegno della domanda e conseguentemente dell’offerta. Della stessa linea di pensiero alcuni recentissimi studi condotti da Inps[16] e Caritas[17] i quali rilevano, come suddetto strumento, abbia inciso notevolmente sulla riduzione della povertà assoluta scesa dal 39,2% al 33,4% dal 2029 al 2020.

È bene sottolineare che, così come emerso anche da un recente studio condotto da INAPP, per oltre il 77% delle famiglie beneficiarie, il RdC rappresenta una risorsa economica indispensabile difatti, secondo un’analisi condotta da Inps[18] i nuclei familiari che percepiscono il RdC hanno dichiarato una minore pressione dei vincoli al consumo relativamente ai beni primari; cui si aggiunge il relativo impatto positivo in termini di benessere fisico e psicologico[19] ciò perché, tale integrazione di reddito, indurrebbe la fascia di popolazione più fragile soggetta a maggiore probabilità di esclusione sociale, a ridurre la propria condizione di incertezza nei confronti del futuro e di instabilità del presente data non soltanto dall’importo economico in sé ma anche e soprattutto dalla presenza dello stato.

Pertanto, così come riportato anche all’interno del documento programmatico di bilancio del MEF per l’anno 2023, dai dati macroeconomici sopra indicati e nella fattispecie dai dati sulla disoccupazione si può comprendere come il reddito di cittadinanza quale strumento di politica fiscale anticongiunturale, rappresenti un efficace strumento finanziario idoneo a stimolare un’economia in fase di stress. Sembrerebbe infatti che, così come riportato dal già citato studio condotto dalla Direzione Centrale Studi e Ricerche Inps, il Reddito di Cittadinanza, abbia avuto un effetto significativo sulla riduzione dei vincoli di consumo legati a condizioni di estrema povertà e sul miglioramento della qualità della vita.

A riprova di tale affermazione, quando nel 2013 arriva la prima proposta per istituire il RdC, il 6,3% degli italiani si trova al disotto della soglia di povertà assoluta, nel 2007 prima della già citata crisi internazionale il dato si attestava al 3,5% quindi nel tempo, l’idea della necessità di applicare misure di contrasto alla povertà si fa sempre più strada nell’opinione pubblica e conseguentemente anche nella politica non soltanto italiana ma anche e soprattutto europea. In Italia, nella fattispecie, mancava uno strumento di sostegno economico rivolto alle persone a più basso reddito, sia in termini di sostegno diretto come il RdC sia indiretto come potrebbe essere il salario minimo universale.

Con l’introduzione del RdC, il tasso di povertà assoluta scende dal 7% del 2018 al 6,4% del 2019.

Per completezza di informazione, è doveroso ricordare che il periodo appena trascorso è stato caratterizzato da shock economici derivanti dalla pandemia da Covid-19 e da tutto l’insieme delle misure di contenimento adottate dai vari stati che ha generato una profonda contrazione del Pil globale con una riduzione dell’occupazione pari al 2,4% nel secondo semestre del 2020, che ha interessato principalmente i lavoratori dipendenti a termine, con una contrazione delle ore lavorate che è stata circa 2,5 volte più ampia rispetto a quella avvenuta durante la crisi finanziaria del 2008 di cui si è ampiamente discusso all’inizio dell’elaborato. Tale periodo di contrazione economica ha prodotto dei contraccolpi con effetto diretto sulla domanda aggregata, generando una riduzione dei consumi nel 2020 pari all’11,7%.

Ciò che però emerge con evidenza dal grafico numero 1 è l’impennata del tasso di inflazione che ad oggi si attesta intorno all’8,9%; tale condizione è dovuta anzitutto ad un aumento del livello generale dei prezzi al consumo che rappresenta a sua volta un risvolto negativo di una politica economica espansiva. È opportuno però specificare, che allo stato attuale, l’aumento generale dell’indice dei prezzi al consumo nonché dell’inflazione, è dovuto non soltanto a quanto poc’anzi detto ma soprattutto ai risvolti economici della guerra in Ucraina in seguito all’invasione da parte della Russia, che, ricordiamo, è uno dei principali fornitori di gas in Europa.

In un contesto caratterizzato da forte instabilità economica dovuto all’aumento dei prezzi, all’aumento dei tassi di interesse, nonché a una maggiore propensione al risparmio da parte dei consumatori, si rischia di incorrere in un ulteriore fase di recessione nonostante tutte le interessanti ed innovative misure a sostegno delle famiglie e delle imprese poste in essere dall’Unione Europea. Tuttavia, come accennato all’interno dello scritto, il legislatore italiano sembrerebbe operare un cambio di rotta rispetto al passato più recente mediante una graduale abolizione dell’istituto del reddito di cittadinanza a partire dal 2024 così come disposto dalla l. 197 del 29.12.2022.

Probabilmente in un periodo di forte instabilità economica in cui il rischio di piombare in una fase recessiva possa rappresentare più che una semplice previsione negativa è soltanto attraverso una politica fiscale espansiva che si può spingere al rialzo il sistema economico attraverso il sostegno alla domanda aggregata con il rischio, certo, di aumentare il disavanzo debito/Pil ma con la certezza di contrastare un differenziale recessivo che non può far altro che acuire il divario Nord/Sud all’interno del paese.

Si ritiene, quindi, che sulle orme del principio del reddito minimo garantito, il reddito di cittadinanza, quale strumento a sostegno del reddito, all’inclusione sociale e alla dignità di ciascun individuo, possa aprire la strada a tutta una serie di riforme che consentirebbero alle classi più deboli di diventare esse stesse motore di un paese che punta ad essere più competitivo sui mercati internazionali; ricordando che una tassazione equamente distribuita, una formazione adeguata, una burocrazia non opprimente, ed una riduzione dei tempi della giustizia, consentirebbe all’individuo di sentirsi libero di impegnarsi, di investire e perché no anche di remunerarsi.

Ciò posto, sebbene sia difficile quantificare la reale efficacia del RdC ed il suo grado di influenza sull’economia reale, dai dati riportati, sembrerebbe abbia giocato un ruolo determinante nella tenuta dell’economia specie in fase pandemica grazie al sostegno alla domanda, posto che per l’intero anno 2020 il numero di famiglie coinvolte si attestava a 1.421.082 con un aumento esponenziale nel 2021 anno in cui, così come emerso dal report Istat relativo alle Condizioni di vita e reddito delle famiglie anno 2021-2022, “il reddito di cittadinanza ha consolidato il suo ruolo come misura strutturale di contrasto della povertà̀. Difatti se nel 2019 le famiglie beneficiarie del RdC si attestavano a circa 970mila, pari al 3,8% del totale delle famiglie italiane nel 2021 si stima siano state circa 1,6 milioni, il 5,9% del totale, con un beneficio annuo pari in media a 5.522 euro. L’impatto del trasferimento è stato in media di circa il 30% del reddito familiare complessivo.”[20]

Considerato che l’arrivo della pandemia da Covid-19 ha prodotto una considerevole contrazione del Pil globale determinando un incremento di cittadini italiani in condizione di povertà assoluta del 7,7% nel 2020 e del 7,5% nel 2021 il grado di incidenza dello strumento di politica fiscale oggetto di studio potrebbe essere più semplice da quantificare a partire dal primo trimestre del 2024, anno in cui sarà possibile osservare i primi risvolti economici prodotti dalla legge n. 197/2022, abrogativa dell’istituto.

Pertanto, il presente lavoro risponde solo in parte alla domanda relativa a quanto lo strumento del reddito di cittadinanza possa incidere sull’economia reale e lascia aperto il campo ad ulteriori indagini, analisi e valutazioni future prefiggendosi, altresì, l’obiettivo di fare da apripista ad ulteriori valutazioni di natura esclusivamente economica alla luce della recente abolizione di suddetto beneficio.


[1] Direzione centrale Studi e Ricerche INPS. Reddito di Cittadinanza e benessere dei percettori: evidenze dell’indagine INPS di gradimento sul servizio ISEE. N. 3/2022.
XIX Rapporto Annuale INPS. (Capitolo 3). Misure di contrasto alla povertà ed esclusione sociale. 2020.
XX Rapporto Annuale INPS. (Capitolo 3). Le politiche per fronteggiare la pandemia. 2021
XXI Rapporto Annuale INPS. (Capitolo 4). Politiche si sostegno alla famiglia e di promozione dell’equità. 2022.
XXII Rapporto Annuale INPS. (Capitolo 4). Gli strumenti di supporto alle famiglie. 2023.
INAPP Policy Brief. Reddito di cittadinanza: evidenze dell’indagine INAPP-plus. 2022.
Rapporto Annuale Economie regionali. L’economia della Calabria. 2023.
Rapporto Caritas. Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte. Un monitoraggio plurale del Reddito di Cittadinanza. 2021.
Rivista Economia e Politica. ISSN 2281 – 5260. Pasquale Tridico, Walter Paternesi Meloni.  PIL potenziale e tasso di partecipazione: proposta per finanziare il reddito minimo. 2018.
Rivista Economia e Politica. ISSN 2281 – 5260. Pasquale Tridico, Walter Paternesi Meloni.  Reddito minimo e output gap: trucchetto contabile o questione politica? 2018.
Rivista Economia e Politica. ISSN 2281 – 5260. Pasquale Tridico. Reddito di cittadinanza, quali effetti in Italia e in Europa? 2015

[2] Molto brevemente l’ESM (European Stability Mechanism) è stato istituito nel 2012 mediante un atto di modifica dell’art. 136 del TFUE, con l’obiettivo di concedere sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai paesi membri che pur avendo un debito pubblico sostenibile si trovassero temporaneamente nella difficoltà di finanziarsi sul mercato attraverso ad esempio, l’emissione di prestiti a tassi fissi o variabili, o ancora mediante l’acquisto di titoli sul mercato primario e secondario.  

Suddetto istituto con sede in Lussemburgo e  con una capacità di oltre 650 miliardi di euro, è regolato dalla legislazione internazionale nonché gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell’area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale, con diritto di voto, nonché dal commissario UE agli affari economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice

[3]L’obiettivo principale delle OMT attiene alla salvaguardia della politica monetaria per l’area dell’euro, impedendo che forti le tensioni sui mercati dei titoli di stato potessero generare repentini innalzamenti dei tassi di interesse, che a loro volta impedirebbero alle banche e alle imprese di finanziarsi a condizioni economicamente sostenibili e accelererebbero la spirale recessiva del paese interessato, fino all’eventuale default. Le OMT consistono nell’acquisto diretto da parte della BCE di titoli di stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata. La situazione di difficoltà economica dovrà essere dimostrata dal fatto che il paese ha avviato un programma di aiuto finanziario o un programma precauzionale con il Meccanismo Europeo di Stabilità.  La principale peculiarità di queste operazioni è che con esse l’Eurosistema si è impegnato a ricevere lo stesso trattamento di un qualsiasi creditore privato, ricevendo uguale remunerazione e non potendo vantare alcuna priorità in caso di ristrutturazione del debito. La liquidità immessa nel mercato a causa dell’acquisto dei titoli di stato sarà pienamente riassorbita per evitare che queste operazioni interferiscano con la politica monetaria che mira a controllare il tasso di inflazione. 

[4] Rassegna trimestrale Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), dicembre 2008. 19.

[5] Attraverso il DPCM 8 marzo 2020 con l’obiettivo di contrastare e contenere il diffondersi  della pandemia da Covid-19 nelle principali regioni del Nord cui furono rinvenuti i primi casi di Coronavirus, ( per tutta la Lombardia e nelle province di  Modena,  Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e  Urbino,  Alessandria, Asti,  Novara,  Verbano-Cusio-Ossola,  Vercelli,  Padova,  Treviso  e Venezia), fu vietato ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per  gli  spostamenti  motivati  da comprovate esigenze lavorative  o  situazioni  di  necessità  ovvero spostamenti per motivi di salute; fu raccomandato ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C) di rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali; c) è stato fatto divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus.

[6] Compresa la gravità della situazione nonché l’eccezionalità dell’evento con l’obiettivo di contrastare e contenere il diffondersi della pandemia sul tutto il territorio nazionale con il DPCM 9 marzo 2020, il legislatore ha esteso su tutto il territorio nazionale, le disposizioni contenute nel già citato DPCM 8 marzo 2020 vietando di fatto ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

[7]  Mediante l’emanazione del DPCM 11 marzo del 2020, il legislatore rimarca con forza la necessità e l’importanza del distanziamento sociale mediante la sospensione, così come disposto dall’art.1 del suddetto, di tutte attività commerciali al dettaglio con esclusione di quelle attinenti i generi alimentari e di prima necessità, compresa la sospensione di tutte le attività di ristorazione nonché di quelle inerenti i servizi alla persona. Restano chiaramente escluse le attività bancarie, finanziarie e assicurative.

[8] XIX Rapporto Annuale INPS. (Capitolo 3). Misure di contrasto alla povertà ed esclusione sociale. 2020.

[9] L’attualità della questione viene evidenziata attraverso alcuni interessanti studi portati avanti dalla Banca d’Italia ed in particolare la complessità della questione emerge con forza all’interno del rapporto annuale Il divario Nord/Sud: sviluppo economico e intervento pubblico. 2022,in cui gli autori, rimarcano con forza la necessità della risoluzione della “questione territoriale” attraverso anzitutto tutta una serie di interventi infrastrutturali. Dai dati macroeconomici riportati si evince un quadro economico nazionale costituito da due macroaree la cui economia corre a velocità diverse, con le aree sud/isole che non riescono a stare al passo con i cambiamenti tecnologici collegati alla produzione ed all’attività d’impresa in generale, il ché si ripercuote anzitutto sul fabbisogno, sulla produzione nonché sull’occupazione.

[10] Banca d’Italia. Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico. 2022.

[11] Istat. I divari territoriali nel PNRR: dieci obiettivi per il Mezzogiorno. 2023.

[12] Rapporto Annuale Economie regionali. L’economia della Calabria. 2023.

[13] Statistiche Report. Istat. Conti economici territoriali: 2020-2022. 2023.

[14] Rapporto Svimez. L’economia e la società del Mezzogiorno. Cittadinanza, lavoro, imprese: l’inclusione fa crescere. 2023.

[15] Come poc’anzi accennato gli autori ritengono che uno slancio dell’economia del meridione potrebbe verificarsi principalmente mediante una spesa aumento della spesa pubblica per investimenti dandone dimostrazione riportando un esempio di ciò all’interno dello studio dalla stessa condotto annualmente, ovvero Il divario Nord/Sud: sviluppo economico e intervento pubblico. 2022, 31. Nella fattispecie così come riportato all’interno dello studio condotto da Bankitalia, tale aumento consentirà al Mezzogiorno di mantenere un ampio surplus elettrico, realizzando nel contempo una ricomposizione delle fonti di produzione energetica, che potrà favorire un ulteriore sviluppo del settore nella transizione in atto. Nondimeno, il pieno sfruttamento di questi investimenti richiederà opere aggiuntive, quali lo sviluppo di sistemi di accumulo dell’energia e delle reti di trasmissione, per servire in maniera più capillare le utenze. Inoltre, data l’elevata intensità di capitale del comparto, il ritorno occupazionale degli investimenti a livello locale potrebbe essere limitato.  Pertanto, nonostante la crescita dell’area sud/isole sia stata frenata anche e non solo dal forte ridimensionamento della componente petrolifera che pesa per circa un quinto del valore totale delle vendite all’estero dell’area. Al netto dei prodotti petroliferi le esportazioni sono cresciute in media d’anno del 4,2 per cento, su ritmi simili a quelli del resto del Paese e superiori a quelli della domanda potenziale.

[16] XIX Rapporto Annuale INPS. (Capitolo 3). Misure di contrasto alla povertà ed esclusione sociale. 2020.

[17] Rapporto Caritas. Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte. Un monitoraggio plurale del Reddito di Cittadinanza. 2021.

[18] Direzione centrale Studi e Ricerche INPS. Reddito di Cittadinanza e benessere dei percettori: evidenze dell’indagine INPS di gradimento sul servizio ISEE. N. 3/2022.

[19] INAPP Policy Brief. Reddito di cittadinanza: evidenze dell’indagine INAPP-plus. 2022.

[20] Report: Condizioni di vita e reddito delle famiglie anno 2021-2022. Istat. 2023.

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