Capitale Globale, Sovranità economica e gli insegnamenti di Keynes

In quest’articolo sostengo che gli attuali modelli macroeconomici (sia ortodossi, sia eterodossi), incentrati su agenti o agenzie locali, non riconoscono il ruolo che gli “investitori globali” svolgono nel determinare lo spazio per politiche macroeconomiche efficaci. Sostengo pertanto che tali importanti attori debbano essere posti al centro dell’analisi macroeconomica se si intende comprendere come funzionano realmente le politiche macroeconomiche nel contesto finanziario globale. L’articolo descrive le caratteristiche chiave degli investitori globali, analizza il loro potere di determinare il valore al quale le passività del settore pubblico (moneta e debito) vengono scambiate sui mercati internazionali e come questo potere influisce sull’efficacia delle politiche. Di conseguenza, nessun paese è veramente sovrano in un mondo globalizzato e il governo di ogni paese è soggetto a un vincolo intertemporale di bilancio (VIB), sebbene, ovviamente, non tutti i paesi siano uguali e non tutti i VIB siano ugualmente vincolanti: i VIB sono elastici ed endogeni alle decisioni degli investitori globali, ma in ogni caso ineluttabili. Concludo l’articolo sostenendo che le scelte di policy dei paesi nell’odierno contesto finanziario globalizzato trarrebbero vantaggio dalla rivisitazione di alcuni degli insegnamenti di John Maynard Keynes, alla luce della sua profonda conoscenza dei mercati finanziari globali e del modo in cui questi influenzano le economie dei paesi.

L’efficacia del Next Generation EU per la ripresa dell’economia italiana

La pandemia Covid-19 ha causato un drammatico shock economico mondiale nel 2020, con un calo senza precedenti sia dell’offerta aggregata sia della domanda aggregata. L’impatto della crisi pandemica è stato particolarmente forte in Italia, già colpita da una lunga stagnazione iniziata con la crisi finanziaria globale del 2008. Oltre alle misure politiche adottate da ciascun Paese, le autorità dell’Unione Europea hanno intrapreso azioni straordinarie di politica fiscale e monetaria a sostegno degli Stati membri. Il presente lavoro si basa su un modello macro-econometrico strutturale di coerenza stock-flussi e ha l’obiettivo di valutare l’efficacia delle azioni politiche europee. I risultati sottolineano che le misure dell’Unione Europea attualmente pianificate sono insufficienti per stimolare la ripresa dell’economia italiana e garantire la sostenibilità del debito pubblico nel medio periodo.

Keywords: Covid-19, Next Generation EU, sostenibilità del debito, Italia, Recovery Plan

Prime riflessioni sulla Governance della Sanità in Italia dopo la Riforma del Titolo V. Conflitti costituzionali e divari regionali

Obiettivo principale di questo studio è quello analizzare il tema della tutela della salute in termini di valutazione di politiche pubbliche come complesso sistema di interventi che abbraccia politiche di spesa intimamente interconnesse con il quadro ordinamentale.

La Pandemia come spinta accelerativa al cambiamento: le risposte di policy in ambito europeo e nazionale

La Pandemia sta rappresentando una spinta accelerativa al necessario cambiamento delle moderne società, orientato al raggiungimento di sistemi socio-economici sostenibili. Il presente lavoro discute gli aspetti fondamentali su cui intervenire per avviare un processo di cambiamento profondo, attribuendo un ruolo centrale agli Stati e alle Istituzioni sovranazionali. In particolare, tenendo anche conto delle rilevazioni e suggerimenti di alcune tra le più importanti Organizzazioni internazionali, vengono discusse le questioni prioritarie che richiedono interventi urgenti e analizzate le relative risposte di policy intraprese in ambito europeo e nazionale. In questo contesto, una particolare attenzione viene data alle caratteristiche essenziali che le misure/azioni di policy devono possedere per consentire un’efficace transizione verso sistemi sostenibili.

Investimenti, profitti e ripresa: il problema italiano. Un’analisi di lungo periodo

La lunga fase di declino economico dell’Italia si può sintetizzare nella “legge del meno uno”: dal 1995 in poi, l’economia cresce ogni anno (in media) un punto in meno dell’insieme dell’Eurozona. In questo deludente risultato quale ruolo svolgono gli investimenti? Per rispondere a questa domanda l’articolo sottopone a un’analisi di lungo periodo (1995-2019) l’indebolimento della funzione di investimento dell’economia italiana. L’analisi empirica è anzitutto comparativa con altri paesi europei, in termini sia di crescita del volume degli investimenti, sia dell’incidenza sul Pil, sia degli effetti sulla crescita. In tutti i casi si conferma il continuo peggioramento relativo della situazione italiana. Un altro aspetto di rilievo è quello della comune tendenza prociclica alla riduzione in rapporto al valore aggiunto degli investimenti pubblici e privati, con un più forte ridimensionamento di quelli pubblici. Nel caso del settore pubblico la riduzione è legata alle politiche di austerità che, in un paese caratterizzato da una spesa corrente elevata, hanno investito in misura crescente la spesa in conto capitale. In quello del settore privato si riscontra invece la compresenza di ragioni opposte: da un lato l’indebolimento della maggioranza delle imprese ad opera delle sfide tecnologiche, di apertura dei mercati globali e della moneta unica; ma dall’altro la creazione di un ambiente interno particolarmente se non eccessivamente favorevole, non solo in termini di costo del denaro e del lavoro (diretto e indiretto), ma anche di politiche contributive e fiscali attuate da governi di varia coloritura politica. In questa situazione, nonostante le fortissime perturbazioni che attraversano il periodo, il saggio di profitto in rapporto al valore aggiunto si è fortunatamente dimostrato notevolmente stabile e resiliente. Tuttavia, dopo la “doppia crisi” (2008-2013) la capacità di reinvestire i profitti realizzati ha ciononostante mostrato una significativa caduta. Il problema italiano attuale è dunque la bassa propensione delle imprese a reinvestire i profitti realizzati più che l’esaurimento delle opportunità di profitto che, al contrario, appaiono paradossalmente migliorate. Una politica economica di lotta alla “legge del meno uno” richiede pertanto che si rianimi la propensione all’investimento delle imprese italiane – un compito certamente cruciale nella fase attuale di uscita dagli effetti economici della crisi pandemica.

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