La Pandemia come spinta accelerativa al cambiamento: le risposte di policy in ambito europeo e nazionale

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La Pandemia sta rappresentando una spinta accelerativa al necessario cambiamento delle moderne società, orientato al raggiungimento di sistemi socio-economici sostenibili. Il presente lavoro discute gli aspetti fondamentali su cui intervenire per avviare un processo di cambiamento profondo, attribuendo un ruolo centrale agli Stati e alle Istituzioni sovranazionali. In particolare, tenendo anche conto delle rilevazioni e suggerimenti di alcune tra le più importanti Organizzazioni internazionali, vengono discusse le questioni prioritarie che richiedono interventi urgenti e analizzate le relative risposte di policy intraprese in ambito europeo e nazionale. In questo contesto, una particolare attenzione viene data alle caratteristiche essenziali che le misure/azioni di policy devono possedere per consentire un’efficace transizione verso sistemi sostenibili.

1. La direzione del cambiamento

La Pandemia ha reso straordinariamente evidenti le debolezze degli attuali sistemi economici e sociali fondati su principi economici tradizionali. Questi principi hanno condotto ad una forma deludente di capitalismo da cui è conseguita una subordinazione dell’interesse pubblico a quello privato, focalizzato sulla massimizzazione dei profitti. La Pandemia rappresenta, dunque, l’occasione di mettere in atto il cambiamento dell’attuale sistema capitalistico e, più in generale, delle moderne società orientato al raggiungimento di sistemi sostenibili che garantiscano la salvaguardia di beni comuni, di importanza prioritaria, come l’ambiente, la salute umana, la pace e l’equità distributiva. Per conseguire questi ambiziosi obiettivi è necessario cambiare l’ordine delle priorità, riaffermando principi etici e morali, come quello solidaristico e di uguaglianza, che sono stati di ispirazione proprio per la costituzione delle moderne società democratiche (Pierleoni, 2020).

La direzione del cambiamento richiede, dunque, un maggior coinvolgimento dello Stato e delle Organizzazioni sovranazionali, che in passato hanno visto ridimensionato il loro ruolo in osservanza della logica di mercato, della massimizzazione dei profitti, delle regole di efficienza e di contenimento della spesa pubblica. Gli Stati e le Organizzazioni sovranazionali dovranno agire, in primo luogo, come soggetti legittimati in grado di guidare – attraverso la definizione di adeguate politiche – la transizione verso un nuovo paradigma di sviluppo sociale ed economico che implica cambiamenti profondi, di tipo trasformativo, sia sul piano intellettuale e teorico[1] sia sul piano più operativo, ossia quello istituzionale, privato e della società civile. Ed è proprio sul piano operativo che gli Stati e le Organizzazioni sovranazionali devono fare la “prima mossa”, immaginando i cambiamenti trasformativi al loro interno con l’intento di attuarli e al tempo stesso, guidare il cambiamento esterno, ossia quello della società civile. In secondo luogo, come soggetti attuatori capofila nella messa in pratica delle politiche, le quali possono riguardare tra l’altro politiche redistributive, di investimento pubblico e industriali. Infine, come soggetti fornitori di beni pubblici, anche globali, con il rafforzamento di forme di cooperazione tra gli Stati. Assumere questa molteplicità di ruoli nell’ambito di sistemi economici e sociali complessi e molto incerti, soprattutto ora a causa della seconda ondata del virus e delle sue varianti, implica Stati e Istituzioni sovranazionali capaci, credibili, forti e flessibili, in grado di governare gli animal spirit di un capitalismo assoluto e totalmente disancorato da un’equità distributiva e da principi etici.

La strada da seguire è stata già delineata dall’Agenda ONU 2030 e dall’Accordo Parigi (COP21). E, pertanto, quanto sopra affermato dovrà tradursi nella definizione di misure e azioni in linea con questi Documenti, tenendo conto di alcune questioni prioritarie determinate dall’attuale situazione economica e sociale. Nel successivo paragrafo, considerando anche le rilevazioni ed i suggerimenti di alcune tra le più importanti Organizzazioni internazionali, vengono discusse tali questioni e analizzate le relative risposte di policy in ambito europeo. Nel terzo paragrafo, verranno approfondite le azioni/misure intraprese dall’Italia, esaminando alcuni dei più importanti e recenti Provvedimenti approvati o di prossima approvazione dal Parlamento. L’ultimo paragrafo contiene delle considerazioni conclusive.   

2. Questioni prioritarie e azioni di policy

A distanza di quasi un anno dalla diffusione incontrollata del Covid-19, ci troviamo ancora ad affrontare situazioni sanitarie emergenziali a causa della seconda ondata del virus e della comparsa di alcune sue varianti più aggressive. La situazione economica e sociale peggiora ulteriormente ed i Governi vengono nuovamente criticati, al pari di quanto accaduto con la prima ondata, per non essere intervenuti efficacemente ed in tempo utile. Le principali accuse mosse ai Governi riguardano la scarsa capacità di prevedere e pianificare politiche in un’ottica di lungo periodo e la tempistica, ossia la capacità di agire in tempi utili.

La comunicazione degli esperti al grande pubblico continua ad essere divergente e/o contradditoria, anche perché non si conosce ancora pienamente il virus e le sue tre varianti fino ad ora accertate, le quali potrebbero portare ad ulteriori misure restrittive. Per esempio, in Europa al fine di frenare la propagazione dei ceppi britannico e sudafricano, molto più contagiosi di quello originario, si sta ragionando anche sull’introduzione di un lockdown europeo.

Vale la pena, quindi, interrogarsi sulle questioni prioritarie che richiedono interventi di policy urgenti e al tempo stesso, analizzare le relative risposte – in termini di azioni / misure – intraprese in ambito europeo per contrastare efficacemente le conseguenze negative causate dalla Pandemia e per guidare i sistemi economici e sociali verso sentieri di sviluppo sostenibile.

Tra le questioni prioritarie del momento, c’è quella di portare avanti una campagna di vaccinazione efficace e rapida su scala mondiale, nel rispetto di principi solidaristici e di aiuto reciproco. Da questo punto di vista, le Istituzioni Europee ed, in particolare, la Commissione ha agito con lungimiranza e determinazione, avviando una campagna di acquisti unica per tutti i Paesi membri (quasi due miliardi di dosi). Ciò rappresenta un grande passo in avanti, se si tiene in considerazione il fatto che lo scorso marzo, all’inizio della diffusione del virus, esistevamo divieti di esportazione di mascherine e ventilatori da Paesi membri verso altri Paesi europei. La scelta intrapresa dall’Unione Europea va nella direzione giusta, perché risponde alla necessità di fornire beni pubblici globali – come la tutela della salute – attraverso una governance sovranazionale, forte e lungimirante. Tuttavia, la fase distributiva sta subendo dei rallentamenti, dovuti alla consegna di minori quantitativi di dosi di vaccino da parte delle società farmaceutiche autorizzate alla produzione.

L’altra questione prioritaria, che richiede un impegno comune e globale, è il contenimento del fenomeno della disuguaglianza, nella sua accezione più ampia, che a causa della Pandemia risulta in crescente aumento. Il rapporto delle Nazioni Unite (2020) evidenzia sia una tendenza in aumento delle disuguaglianze, la cui riduzione rappresenta, invece, un obiettivo di sviluppo sostenibile, sia un peggioramento su scala mondiale di tutti gli altri obiettivi di sviluppo sostenibile. Nella stessa direzione va anche il lavoro di Oxfam (2021). Il documento denuncia che gli effetti del virus non sono stati uguali per tutti: circa il 10% dei redditi è andato perso nel mondo, colpendo soprattutto Paesi a reddito medio, con la conseguenza che altri 250 milioni di persone vivranno al di sotto della soglia dei 5,50 dollari al giorno. Lo studio evidenzia, poi, che anche la risposta dei Governi non è stata uguale, perché dei complessivi 11 mila miliardi di dollari in aiuti nazionali stanziati, circa l’83% è stato speso dai 36 Paesi più industrializzati, mentre i 59 Paesi a basso reddito ne hanno impiegato meno dello 0,4%, pari ad appena 42 miliardi di dollari. A rendere ancora più critica la situazione è la differenza di denaro aggiuntivo che è stato stanziato dai programmi di protezione socio-sanitaria nei mesi della Pandemia: in media i governi dei 28 Paesi più ricchi hanno assegnato 695 dollari pro capite, mentre quelli dei Paesi a basso reddito ed emergenti hanno incrementato la spesa sanitaria pro capite di un ammontare compreso tra 28 e 4 dollari. Infine, lo studio rileva che le nazioni più ricche stanno facendo mancare anche i trasferimenti a favore dei Paesi più poveri. Oxfam propone l’istituzione di un Fondo globale per la protezione sociale, per evitare un enorme aumento della disuguaglianza e della povertà globali e come chiave di volta verso un’economia post-Covid più equa e resiliente. La proposta dell’Organizzazione va chiaramente nella direzione di un rafforzamento del multilateralismo perché la fornitura di alcuni beni pubblici, come la salvaguardia della salute, la riduzione delle disuguaglianze deve avere una governance globale. Infine, nell’aggiornamento del World Economic Outlook (2021), il FMI ha stimato per il 2020 un crollo della produzione mondiale, pari a -3,5%, con ripercussioni molto negative soprattutto su donne, giovani, poveri, lavoratori informali e coloro che lavorano in settori ad alta intensità di contatto. Inoltre, il FMI ha previsto che, nel periodo 2020-2021 nei Paesi in via di Sviluppo e nelle economie emergenti, quasi 90 milioni di persone si troveranno, probabilmente, a vivere in povertà estrema.

In proposito, una risposta positiva e di rilievo a livello globale è avvenuta in occasione del World Economic Forum di Davos (25-29 gennaio 2021), durante il quale i Capi di stato e i leader delle grandi istituzioni e organizzazioni internazionali hanno messo al centro del dibattito globale questioni come l’importanza di costruire un multilateralismo efficace, la necessità di pensare ad un nuovo modello di capitalismo e di ridurre la povertà e le diseguaglianze economiche, sociali, geografiche e climatiche sempre crescenti. Su questo fronte c’è ancora molto lavoro da fare e l’auspicio è che i decisori politici agiscano in fretta ed in modo cooperativo.

L’altra questione prioritaria riguarda la risposta, in termini di misure di politica economica, che i Governi intendono attuare per far ripartire l’economia a beneficio di tutti. In proposito, è ormai condivisa dal mondo accademico e politico l’adozione di una politica economica espansiva, basata su un massiccio programma di investimenti pubblici. L’elevato indebitamento pubblico che ne potrebbe conseguire è per il momento posto in secondo piano e con esso anche le situazioni debitorie di alcuni Paesi. Allo stato attuale le priorità sono altre, come la tutela della salute, la ripresa economica e il rapido impoverimento delle persone. Come è noto, in Europa a seguito della Pandemia, il Patto di Stabilità e Crescita è stato sospeso e con esso le sue regole del limite del 3% di deficit nominale, della discesa del deficit strutturale e della riduzione del rapporto debito pubblico/Pil. Questo rappresenta un importante cambio di passo e per il futuro ci si aspetta che le menzionate regole subiranno delle modifiche. Chiaramente la sospensione del Patto non implica una finanza pubblica senza limiti, soprattutto per i Paesi che hanno già un elevato indebitamento pubblico, ma la possibilità di valutare la sua sostenibilità su un orizzonte temporale di lungo periodo.

In proposito, Draghi ha proposto di recente la distinzione tra debito buono e cattivo, la cui differenziazione poggia su analisi di tipo economico ed etico. In particolare, poiché i debiti saranno ripagati dalle future generazioni (gli attuali giovani), è importante che l’indebitamento sia finalizzato a scopi produttivi – ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca e altri impieghi – che possano garantire la sua sostenibilità al di là del suo ammontare, in un’ottica di lungo termine. Il debito cattivo, invece, riguarda l’impiego di capitali per mantenere in vita imprese e programmi senza futuro e improduttivi. L’ex Governatore della BCE sostiene, inoltre, che si può cambiare l’approccio al debito, imparando a convivere con stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo, purché l’indebitamento sia a fini produttivi (e quindi “buono”). Sulla questione anche la Boone capo economista dell’OCSE – che è tra le più importanti organizzazioni internazionali di studi economici per i paesi membri, ossia paesi sviluppati aventi in comune un’economia di mercato – ha affermato, in una recente intervista al Financial Times, che i Governi devono puntare agli stimoli fiscali – caratterizzati da aumenti della spesa pubblica e da una riduzione delle tasse – per favorire la ripresa economica, soprattutto alla luce dell’esperienza della crisi del 2008. L’economista, pertanto, raccomanda ai Governi di portare avanti politiche espansive per tutto il tempo necessario a superare la crisi, rilanciare l’economia e ridurre la disoccupazione sulla base di un nuovo quadro concettuale, nel quale la sostenibilità del debito pubblico deve essere letta in un’ottica di lungo termine. L’adozione di un nuovo approccio al debito pubblico implica un cambiamento, di non poco conto, nell’analisi degli investimenti e, più in particolare, nella stima del premio per il rischio paese. Si tratta di una proposta, con chiari ed evidenti effetti positivi, soprattutto per i paesi con un debito pubblico elevato e/o in via di sviluppo, che intendono destinare le risorse pubbliche ad investimenti efficienti e sostenibili.   

La risposta dell’Europa alla Pandemia non si è fermata solo alla sola sospensione delle regole del Patto di Stabilità e Crescita, in quanto i Paesi membri hanno raggiunto un accordo su un pacchetto di misure di stimolo mai finanziato dall’UE, pari ad un totale di 1.800 miliardi di euro. Gli strumenti messi in campo sono il bilancio di lungo termine dell’Unione e l’iniziativa Next Generation EU, che è uno strumento temporaneo – da 750 miliardi di euro – pensato per stimolare la ripresa dopo la pandemia di COVID-19. Questo dispositivo sarà finanziato dall’UE in parte con risorse proprie e, in parte, mediante assunzione diretta di prestiti sui mercati finanziari, a costi più favorevoli rispetto a molti Stati membri. Ciò rappresenta un altro passo in avanti verso una cooperazione rafforzata, perché per la prima volta l’Unione Europea ha previsto un debito comune per obiettivi comuni. In merito alle modalità di finanziamento delle politiche di contrasto alla Pandemia, il dibattito è stato acceso ed ha riguardato anche il potenziale ruolo della Banca Centrale Europea. Le modalità individuate sono state due; la prima consiste nel finanziamento da parte delle banche centrali delle politiche contro la crisi indotta dalla Pandemia (modalità peraltro praticata dagli USA, dalla Cina, dalla Gran Bretagna e dal Giappone). La seconda riguarda l’emissione dei titoli di debito comune verso il mercato finanziario. Quest’ultima modalità è quella adottata dall’UE ed è stata considerata una soluzione di second best rispetto alla prima modalità, perché non è a costo zero per gli Stati, anche se permette di non contabilizzare una crescita del debito pubblico dei singoli Paesi membri (Realfonzo, 2020). Lo strumento del Next Generation EU prevede che gli Stati membri preparino dei propri piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR), in cui venga definito il programma di riforme e investimenti per il periodo 2021-2023. La quota maggiore delle risorse messe a disposizione da questo strumento è destinata all’Italia ed è pari a 209 miliardi di euro. Il Paese deve, dunque, essere all’altezza della situazione presentando un PNRR solido e convincente ed utilizzando in modo consapevole e lungimirante la flessibilità di bilancio (possibile grazie alla sospensione del PSC).

Negli Stati Uniti con l’amministrazione Trump, la risposta al Covid-19 è stata pressoché limitata. Con l’insediamento del nuovo Presidente Biden, la situazione emergenziale sanitaria e sociale è destinata ad essere contrastata con opportune misure. Di recente, il neoeletto Presidente ha presentato la strategia nazionale per sconfiggere la pandemia COVID-19. Si tratta di un piano che prevede tra l’altro l’avvio di una campagna di vaccinazione sicura ed efficace, l’applicazione di misure restrittive per la riduzione del contagio, l’aiuto pubblico per fronteggiare situazioni emergenziali, la protezione delle fasce più deboli, la riapertura in sicurezza delle scuole e delle aziende e la tutela dei lavoratori. In termini di numeri, si parla di un piano di investimenti pari a circa 1.900 miliardi di dollari, da sottoporre all’approvazione del Congresso e che dovrebbe essere finanziato con aumenti del deficit pubblico e della pressione fiscale verso i grandi gruppi societari e l’1% dei redditi più elevati (Istituto di Affari Internazionali, 2020). La nuova Amministrazione ha previsto, poi, il rientro degli Stati Uniti nell’Organizzazione Mondiale della Sanità e nell’Accordo di Parigi sul clima. Queste ultime due misure avranno dei riflessi molto positivi anche su scala internazionale, perché delineano la volontà degli Stati Uniti di riprendere il multilateralismo e la cooperazione. Tuttavia, dato il recente insediamento del presidente Biden, è ancora presto per fare delle considerazioni più robuste.

In termini generali, è plausibile ipotizzare che le politiche economiche espansive e nello specifico i PNRR per i Paesi europei, si orienteranno al raggiungimento degli Obiettivi previsti dall’Agenda 2030 e dall’Accordo di Parigi – che si contraddistinguono per aver attribuito un ruolo centrale e prioritario agli investimenti infrastrutturali sostenibili (Pierleoni, 2019). In Europa, poi, il Green Deal offre ulteriori indicazioni sugli investimenti necessari per raggiungere i menzionati obiettivi. La spesa infrastrutturale dovrà essere declinata su specifici settori, come quello sanitario, di protezione sociale, dei trasporti e di gestione delle risorse idriche, della gestione e smaltimento dei rifiuti, della mobilità (soprattutto nelle grandi città), delle fonti rinnovabili, della coesione sociale, della digitalizzazione e della salvaguardia dell’ambiente. La realizzazione di vasti programmi di spesa infrastrutturale sostenibile implica sia un cambiamento radicale all’interno delle pubbliche amministrazioni per quanto riguarda le fasi di pianificazione, programmazione, realizzazione e monitoraggio degli investimenti – in linea con un nuovo modello di sviluppo sostenibile – sia la mobilitazione di un’enorme quantità di risorse private e di ulteriori aiuti pubblici allo sviluppo.

3. Le azioni di policy in ambito nazionale  

L’Italia in questo momento storico si trova ad affrontare diverse sfide. La prima, la più importante e comune a tutti i Paesi, è quella di far ripartire l’economia senza lasciare indietro nessuno. La seconda, correlata alla prima, riguarda la capacità del Paese di saper gestire efficientemente le risorse assegnate dal Next Generation UE, le quali, come già detto, rappresentano la quota maggiore attribuita ad uno Stato membro. L’Europa ha scommesso sulla nostra ripresa e, in primo luogo, sulla nostra capacità di attuare misure di politiche economica efficaci e credibili. L’altra sfida anch’essa legata alle precedenti, è di tipo globale perché riguarda la Presidenza del G20 che spetta quest’anno al nostro Paese. L’Italia, in qualità di Presidente del G20, avrà il compito di coordinare i lavori e di definire gli obiettivi dell’agenda politica ed economica. In altre parole, spetterà al nostro Paese stabilire l’ordine delle priorità da sottoporre all’attenzione dei Paesi partecipanti, con l’obiettivo di raggiungere accordi e consensi ampi. Si tratta di un ruolo chiave che, se ben giocato, può dare inizio ad un rinnovato multilateralismo che preveda la fornitura di beni pubblici su scala globale. In proposito, Massolo (2021) evidenzia: i) l’affermazione dei vaccini come beni pubblici globali, ii) l’importanza della cooperazione in funzione del conseguimento di obiettivi comuni, come la riduzione delle disuguaglianze e iii) la riaffermazione del rafforzamento delle relazioni transatlantiche, puntando alla ricostituzione di rapporti stabili ed equilibrati tra USA, Cina e Europa, in base ai quali derivare uno schema realistico di governance globale.

Tuttavia, il nostro Paese presenta problemi molto seri che, se non risolti, limiteranno in modo irreversibile le opportunità di ripresa economica – sociale e la nostra credibilità. Sappiamo che uno dei principali punti deboli riguarda la mancanza di riforme efficaci in ambiti strategici – come quello della giustizia, della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici, del lavoro e del fisco. A questo si aggiunge una dubbia capacità di pianificare, programmare e spendere efficientemente le risorse pubbliche, nazionali ed europee, in un’ottica di lungo periodo. La ripresa economica e sociale del Paese richiede un cambiamento trasformativo dell’attuale sistema, in linea con i principi della sostenibilità. Un cambiamento che implica la combinazione di riforme strutturali – con l’intento di trasformare la cultura organizzativa e il connesso sistema di credenze – e investimenti pubblici efficienti e sostenibili. In proposito, anche in risposta alla Pandemia, il Governo Conte bis ha approvato dei Provvedimenti che sembrano andare nella direzione di un cambiamento. Di seguito esaminerò quelli che a mio parere sono i più significativi in un’ottica trasformativa.

Il DL Semplificazioni[2]

Il recente Rapporto ASviS (2020), utilizzando le categorie della “resilienza trasformativa” (Giovannini 2018), classifica gli interventi previsti dal Decreto Semplificazioni per il 51% come trasformativi. In altre parole, le misure in esso definite sono nella maggioranza rivolte a creare nel nostro Paese una “resilienza trasformativa”, al fine di porre le basi per un futuro più sostenibile. Risulta, altresì, che rispetto agli altri Provvedimenti (“Cura Italia”, “Liquidità”, “Rilancio” e “Agosto”), il Decreto Semplificazioni prevede il maggior numero di interventi di tipo trasformativo, con l’intento di accelerare i tempi degli investimenti pubblici per far ripartire l’attività delle imprese e rilanciare l’economia gravemente depressa dalla Pandemia.

In particolare, il testo del Decreto: i) interviene sul procedimento amministrativo semplificandolo e velocizzandolo, ii) cerca di risolvere l’ostacolo frapposto dalla c.d. burocrazia difensiva, infondendo un maggior “coraggio” alla stessa nell’adozione delle decisioni, iii) rende più rapidi gli adempimenti burocratici, iv) digitalizza la Pubblica Amministrazione, v) accelera gli interventi infrastrutturali e più in generale gli investimenti pubblici anche attraverso il rafforzamento dei sistemi di monitoraggio, al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, vi) sostiene la green economy e l’attività di impresa in generale.

Il tema della semplificazione delle procedure amministrative, invero, viene strettamente legato ai comportamenti inerti o omissivi dei funzionari pubblici che alimentano le membra della “burocrazia difensiva”, la quale si caratterizza per la scarsa propensione all’innovazione e soprattutto alla decisione, perché spaventata dal rischio in cui potrebbe incorrere per responsabilità erariale (disciplinata dalla legge n. 20 del 1994) e per abuso d’ufficio (art. 323 del codice penale). Il Decreto-legge in parola interviene sulle menzionate questioni. In particolare, gli articoli 21 (comma 1 e 2) e 23 prevedono, come misure di contrasto alla burocrazia difensiva e incentivo all’azione del funzionario pubblico, l’abolizione della colpa grave e l’innalzamento della soglia di responsabilità al dolo.

Si potrebbe pensare, magari con successivo provvedimento, di “legare a doppio filo” quanto previsto dagli articoli 21 e 23, con la semplificazione introdotta dall’art. 41 del medesimo Decreto, che interviene per rafforzare il Sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici, anche per garantire la trasparenza e la correttezza dell’azione amministrativa. Il monitoraggio degli investimenti pubblici consente di tracciare il passaggio di ogni singolo intervento di spesa nelle diverse fasi (consecutive) che caratterizzano la realizzazione di un’opera pubblica (dalla progettazione alla messa in esercizio dell’opera). La pubblica amministrazione, dunque, potenziando il monitoraggio (anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati), potrebbe disporre di quadri informativi robusti e attendibili sullo stato di attuazione dei singoli interventi, ricompresi in specifici programmi di spesa pubblica. Da qui, si potrebbe addivenire anche alla costruzione di indicatori, al fine di individuare le stazioni appaltanti con le migliori e peggiori performance in termini di capacità realizzativa (relativa ai tempi di realizzazione delle opere pubbliche) e dichiarativa (relativa al corretto adempimento dichiarativo). Con un sistema di questo tipo è possibile pensare a meccanismi ponderati di definanziamento di alcuni progetti e all’allocazione dei fondi su altre opere di più facile realizzabilità. Inoltre, la costruzione di indicatori attendibili e diversamente articolati in base al settore di attività, al territorio di realizzazione, o ad altre variabili, potrebbe indurre anche ad elaborare meccanismi “automatici” di esonero della responsabilità dei funzionari pubblici che abbiano adottato comportamenti virtuosi nel rispetto dei tempi previsti, contrastando in tal modo la burocrazia difensiva. Infine, nell’attuale contesto, il rafforzamento del monitoraggio attuativo è cruciale per usufruire delle risorse assegnate dal Next Generation EU e destinate a finanziare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

La trasformazione del CIPE in CIPESS

In linea con le più recenti iniziative volte a rafforzare il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello nazionale, l’articolo 1-bis del Decreto legge n. 111 del 2019 (c.d. Decreto clima), ha previsto a decorrere dal 1° gennaio 2021, la trasformazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica in Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), intendendo, in tal modo, consolidare il coordinamento delle politiche pubbliche in materia. Il CIPESS ha il compito di: i) approvare una programmazione di investimenti pubblici sostenibili in linea con gli obiettivi internazionali ed europei che l’Italia dovrà perseguire per la decarbonizzazione, nello sviluppo dell’economia circolare e nella lotta ai cambiamenti climatici e ii) orientare anche gli investimenti privati, attraverso l’emanazione di “Atti di indirizzo” sui clean investment che potranno accedere ai finanziamenti e alle garanzie statali. In proposito, il CIPE, giocando con un pochino di anticipo, aveva già emanato la delibera n. 55 del 29 settembre 2020, con la quale sono stati approvati gli indirizzi per l’anno 2020 in materia di rilascio di garanzie per progetti o iniziative riguardanti il Green Deal.

Con tale delibera, dunque, è stato compiuto il primo passo per finanziare investimenti sostenibili, perché il Ministro dell’Economia è stato autorizzato ad intervenire attraverso la concessione di una o più garanzie, a titolo oneroso, al fine di sostenere programmi specifici di investimento e operazioni, anche in partenariato pubblico privato (PPP) o realizzati con l’intervento di università e organismi privati di ricerca, finalizzati a realizzare progetti economicamente sostenibili e che abbiano come obiettivo: i) la decarbonizzazione dell’economia, ii) l’economia circolare, iii) il supporto all’imprenditoria giovanile e femminile, iv) la riduzione dell’uso della plastica e la sostituzione della plastica con materiali alternativi, v) la rigenerazione urbana, vi) il turismo sostenibile e vi) l’adattamento e la mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dal cambiamento climatico.

In termini generali, per la sua attività di deliberazione di tipo programmatorio, il Comitato dovrà avvalersi del Regolamento UE 852/2020[3] e delle successive norme tecniche (in corso di elaborazione dalla Commissione Europea) ai fini della selezione di investimenti sostenibili. L’obiettivo è quello di individuare interventi che soddisfino i principi della sostenibilità economica, sociale e ambientale e ciò implica chiaramente un cambiamento delle procedure di selezione, con effetti evidenti sulla programmazione degli investimenti pubblici e sull’orientamento di quelli privati. Trattasi pertanto di una trasformazione importante.

Tra le prossime attività previste per il CIPESS vi è quella dell’approvazione dell’aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS). Nell’attuale contesto, cruciale sarà il raccordo e la coerenza dell’aggiornamento della Strategia con i documenti programmatici interni, come per esempio il PNRR e quelli sulla finanza pubblica, ma anche con le misure programmatiche europee e internazionali.

Il PNRR

La misura ancora in corso di elaborazione e tanto attesa anche in Europa, è il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano. Trattasi di un Piano di cruciale importanza perché ha il compito di delineare il percorso – in linea con i principi della sostenibilità e in osservanza anche degli impegni assunti in ambito europeo e internazionale – che il nostro Paese dovrà intraprendere per una rinascita economica e sociale. Esso rappresenta il passepartout per accedere alle risorse economiche stanziate dall’Europa,non solo con il Next Generation EU. E’, dunque, evidente che il Documento nei suoi contenuti dovrà spiegare la capacità del Paese di poter attuare cambiamenti profondi in un’ottica sostenibile. Ad oggi esiste una proposta presentata dal Governo Conte bis e presentata al Parlamento il 15 gennaio u.s. che può definirsi una “bozza”. I suoi sviluppi sono incerti mentre il termine per la sua presentazione alla Commissione Europea si avvicina (la data prevista è il prossimo 30 aprile).

La bozza elaborata contempla il binomio riforme e investimenti. In particolare, sono previste quattro grandi riforme – lavoro, giustizia, sistema tributario e promozione della concorrenza – in linea con le Raccomandazioni specifiche al Paese da parte dell’Unione e con l’obiettivo di rafforzare l’ambiente imprenditoriale, ridurre gli oneri burocratici e rimuovere i vincoli che hanno rallentato la realizzazione degli investimenti o ridotto la loro produttività. Con l’intento di raggiungere gli obiettivi del Green Deal, il Piano assegna circa 100 miliardi di euro alla transizione ecologica (70 miliardi) e alla mobilità sostenibile (30 miliardi), che rappresentano poco meno del 50% del totale delle risorse previste per l’Italia dal New Generation EU. Tali risorse saranno necessarie per mettere in pratica quanto già stabilito dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima (PNIEC) che, sebbene debba essere aggiornato perché predisposto oltre un anno fa (ossia prima della Pandemia e prima della definizione dei nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni del 55%), individua una serie di interventi e di linee d’azione per i prossimi 10 anni che, ora, dovranno essere ulteriormente rafforzati. Un’altra quota importante di risorse (circa 50 miliardi) è destinata alla digitalizzazione e innovazione.

L’attuale versione del Piano è stata oggetto di molte critiche da parte di esperti e accademici perché presenta delle debolezze strutturali di non poco conto. Tra le debolezze rilevate rientrano: i) l’assenza di una governance e di procedure di gestione chiare (Bini Smaghi); ii) la genericità degli obiettivi, in quanto il Piano definisce le risorse che vengono destinate ad ogni obiettivo, ma non come verranno spese, quantificando i risultati sperati (Giovannini); iii) l’assenza di un sistema coordinato e un cronogramma, in particolare per quanto riguarda le quattro grandi riforme sistemiche contemplate (Quadrio Curzio); iv) un vago disegno di politica industriale che punta al raggiungimento di obiettivi generici (digitale e verde) e non precisa i legami fra gli obiettivi e le ricadute sull’industria nazionale (Cesaratto)[4], e v) un sovradimensionamento per quanto riguarda gli importi degli interventi riconducibili al Recovery and Resilience Facility, eccedendo di circa 14 miliardi l’ammontare complessivo delle risorse europee spettanti all’Italia nell’ambito di tale dispositivo (Servizio Studi Camera e Senato).

Per i futuri sviluppi del Piano bisognerebbe manifestare, in modo più deciso, la volontà di una collaborazione proficua con tutte le parti interessate che potrebbero contribuire alla realizzazione di un Piano efficace e robusto. E’ bene tener presente, poi, che le riforme indicate nel Piano rappresentano i presupposti essenziali, ossia le precondizioni, per il suo effettivo successo. E’ quindi necessaria una maggiore riflessione sui loro contenuti e sulle loro modalità di attuazione in tempi chiaramente stretti. Altri aspetti che potrebbero essere presi in considerazione sono una maggiore progettualità e contestualizzazione dei macro-interventi previsti. Infine, si dovrebbe far tesoro dell’esperienza acquisita e dei risultati ottenuti dalla politica di coesione nei passati cicli di programmazione. Ciò permetterebbe di non commettere gli stessi errori nella gestione e allocazione delle risorse disponibili a fondo perduto (Tortorella 2021).  

Infine, quanto indicato dal PNIEC e dal futuro PNRR, costituirà la base su cui definire le future politiche di sviluppo sostenibile del Paese. Trattasi di documenti di rilevanza strategica e pertanto il loro aggiornamento/elaborazione richiede la definizione di una governance efficace ed adeguata e la partecipazione di tutti i portatori di interessi.

4. Considerazioni conclusive

In generale, tutte le misure di sviluppo sostenibile devono essere interpretate e applicate in modo coerente ed integrato tra loro (OECD 2019 e Commissione Europea 2020). L’auspicio è, quindi, quello che si compiano degli sforzi in modo tale che le policy non siano in contraddizione tra loro e questo inevitabilmente pone l’accento sulla governance, sul coordinamento tra gli attori in gioco e sulle capacità istituzionali. Disegnare politiche di sviluppo sostenibile richiede, poi, una chiara definizione dei problemi da risolvere e delle finalità da perseguire, in modo da individuare azioni e alternative di policy da mettere in atto – anche se implicano riforme profonde del contesto attuale – per realizzare “scenari” futuri sostenibili. Da ciò deriva che le misure di sviluppo sostenibile devono essere pensate in un’ottica di lungo termine e questo potrebbe entrare in contrasto con eventuali interessi di parte e di breve periodo. Inoltre, queste misure devono essere “tagliate” per il contesto nel quale devono essere applicate. In altre parole, la strada da seguire è nota, ma ciascun Paese ha le sue peculiarità ed una propria situazione di partenza. Questi elementi, se non debitamente considerati, possono condizionare l’efficacia delle misure attuate. In proposito, la decisione della Commissione di lasciare ai singoli Governi degli Stati membri la definizione dei PNRR è sensata e giusta.

L’esperienza della Pandemia ha reso chiaro che l’unione fa la forza e le risposte dell’Europa sul fronte vaccini e debito comune, sembrano finalmente andare in questa direzione. Tuttavia, è necessario lavorare anche a livello globale per una maggiore cooperazione tra gli Stati – soprattutto nella risoluzione di questioni come la disuguaglianza e le campagne vaccinali che necessitano di una collaborazione su scala mondiale. In proposito, di cruciale importanza sarà l’orientamento di chiusura o apertura verso l’estero che assumerà la nuova Amministrazione americana.   

Le risorse economiche che saranno messe a disposizione dai Governi nazionali e/o dalle Istituzioni sovranazionali agli Stati, se ben allocate, potranno consentire il c.d. “balzo in avanti” su un sentiero di sviluppo sostenibile. Ciò richiede come precondizione, il miglioramento delle capacità istituzionali indispensabili sia per garantire il coordinamento e la coerenza delle politiche, sia ai fini di un’efficace programmazione e allocazione delle risorse. In merito a quest’ultimo aspetto, un ruolo determinante può essere giocato dalla spesa infrastrutturale sostenibile declinata in particolari settori.

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di offrire un quadro d’insieme sulle misure di policy in atto e di prossima attuazione in ambito europeo e nazionale. L’intento è stato, anche, quello di esaminare queste misure in modo critico ma con spirito costruttivo, tenendo conto degli elementi essenziali che possono caratterizzare le politiche di sviluppo sostenibile.

*Le opinioni espresse hanno carattere personale e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Amministrazione di appartenenza

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[1] In proposito i recenti sviluppi teorici hanno portato alla nascita del paradigma della scienza della sostenibilità (Kates et al., 2001; Kemp e Martens, 2007).

[2] Tratto da Pierleoni e Macioce (2020)

[3] Il Regolamento UE 852/2020 è stato elaborato tenendo conto dei 17 Obiettivi dello Sviluppo Sostenibili e degli Accordi di Parigi e fornisce una classificazione condivisa sulle attività economiche che possono essere considerate sostenibili dal punto di vista ambientale e rappresenta il primo tentativo per provare a uniformare i criteri per stabilire quando un investimento possa essere qualificato come sostenibile.

[4] Al riguardo, Cesaratto (2021) rileva che anche a livello europeo la politica industriale da attuare con il Next Generation EU risulta poco chiara. Inoltre, ritiene che gli strumenti del Next Generation EU e del MES non siano adeguati per raggiungere obiettivi sociali ed in proposito individua misure specifiche come i trasferimenti fiscali fra Paesi e o l’emissione di eurobond.

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