In molti paesi, i governi stanno rispondendo alle conseguenze economiche della pandemia da Covid19 con programmi di sostegno fiscale eccezionalmente ampi e le banche centrali, da parte loro, stanno effettuando acquisti di titoli di Stato (e del settore privato) altrettanto eccezionalmente ampi.
Di conseguenza, molti osservatori (ivi inclusi noti studiosi) parlano erroneamente di monetizzazione dei deficit fiscali, giungendo a conclusioni non corrette circa i suoi possibili effetti, e anche nel dibattito italiano definizioni erronee sono state date del concetto di monetizzazione in numerosi articoli di stampa, che non hanno giovato a una corretta comprensione delle relative implicazioni.
In quest’articolo, proverò a definire compiutamente il concetto di monetizzazione dei deficit fiscali e le sue modalità applicative, discuterò le implicazioni che derivano dall’accezione corretta del concetto e sottoporrò a critica esempi di implicazioni derivanti da accezioni dello stesso incorrette.
Monetizzazione dei deficit fiscali: che cos’è?
Nell’ambito del proprio modus operandi, le banche centrali effettuano continuamente acquisti (o vendite) di titoli di Stato, per assicurarsi che l’economia disponga sempre di liquidità sufficiente e per far sì che le condizioni di costo della liquidità si attestino su determinati livelli o cambino secondo gli obiettivi di policy perseguiti. Ciò non significa, tuttavia, che ogni acquisto di titoli di stato da parte delle banche centrali equivalga a una “monetizzazione” del debito emesso dagli stati per finanziare i deficit di bilancio.
La monetizzazione dei deficit fiscali – e cioè degli eccessi delle spese statali sulle entrate – implica che il finanziamento di questi deficit avvenga con emissione di moneta da non restituire, invece che attraverso l’emissione di debito pubblico da restituire a qualche data futura. Si tratta pertanto essenzialmente di “finanziamento senza debito”. Le modalità per effettuare tale forma di finanziamento sono due.
Secondo la prima modalità, il “sovrano” (lo stato) stampa moneta e con essa finanzia le proprie spese eccedenti le entrate. In pratica, ciò avviene quando il disavanzo fiscale è finanziato con danaro creato dalla banca centrale e trasferito al tesoro dello stato senza obbligo di restituzione: il danaro emesso dalla banca centrale è accreditato sul conto del tesoro oppure il tesoro “va in rosso” sul proprio conto laddove esso abbia facoltà di scoperto. Ovviamente, se il tesoro prendesse a prestito la moneta emessa dalla banca centrale, si genererebbe debito; questo avviene nei casi in cui il finanziamento ha luogo per via di anticipazioni di liquidità dalla banca centrale al tesoro, che quest’ultimo è tenuto a restituire entro certi termini e a certe condizioni. Tuttavia, tali casi non costituiscono vera monetizzazione dei deficit, ma soltanto agevolazioni temporanee delle esigenze di cassa del tesoro.
In base alla seconda modalità, i deficit fiscali sono monetizzati quando il governo emette obbligazioni sul mercato primario e la banca centrale contestualmente acquista una quantità equivalente di titoli di stato sul mercato secondario (cioè da chi detiene titoli già emessi dallo stato). È tuttavia importante sottolineare a questo riguardo quel che assai spesso si trascura o si ignora del tutto, e che appunto induce a parlare a sproposito di monetizzazione dei deficit: affinché questa seconda modalità replichi i medesimi effetti della prima, la banca centrale deve formalmente impegnarsi a i) mantenere in perpetuo i titoli acquistati nel proprio bilancio, ii) rinnovare tutti titoli acquistati che giungono a scadenza, e iii) restituire al governo gli interessi maturati su detti titoli (Turner, 2013). Il mancato rispetto di tali impegni invalida la monetizzazione e ne annulla gli effetti.
Nella prima modalità, i deficit sono immediatamente e permanentemente monetizzati (Andolfatto e Li, 2013), non c’è creazione di debito e il vincolo di bilancio dello stato rimane inalterato. Anzi, tale vincolo è rimosso ab initio e per sempre.
Nella seconda modalità, la monetizzazione del deficit fiscale è indiretta: grazie ai tre impegni della banca centrale, il debito acquistato viene de facto rimosso dall’insieme delle obbligazioni future pendenti sul bilancio dello stato. Ciò allevia permanentemente il vincolo di bilancio sulle scelte di spesa del governo e consente allo stesso di finanziare un livello equivalente di disavanzo attraverso nuove emissioni di debito che tuttavia non modificano l’indebitamento totale e che pertanto rimane costante (a condizione che le nuove emissioni non superino il debito monetizzato).
In linea di principio, il debito monetizzato potrebbe essere cancellato e rimosso non solo di fatto ma anche de iure dall’insieme di obbligazioni future dello stato giacché, in forza dei suddetti impegni della banca centrale, quest’ultima non potrebbe mai chiedere il rimborso del debito monetizzato, in denaro o altre forme di valore. Tuttavia, ciò si rifletterebbe negativamente sul patrimonio netto della banca centrale (sebbene senza conseguenze finanziarie dirette per sé medesima)[1]. Pertanto, il debito monetizzato non verrebbe cancellato ma rimarrebbe come attività fittizia nel bilancio della banca centrale e come passività fittizia nel bilancio dello stato, poiché cade per quest’ultimo l’obbligo effettivo di rimborsarlo in futuro.
La monetizzazione (attuata secondo le modalità descritte) allevia permanentemente il vincolo di bilancio dello stato, preservando in tal modo lo spazio fiscale del governo o dandogli maggiore spazio fiscale, soprattutto quando il settore pubblico fosse gravato da pesante indebitamento pregresso.
Si osservi, per inciso, che la condizione di “permanenza” della rimozione del vincolo di bilancio (relativamente alla quota di debito monetizzato) non richiede – come spesso erroneamente si ritiene – che la moneta una volta emessa non sia mai più ritirata dal sistema attraverso successive operazioni di politica monetaria. Essa richiede soltanto che eventuali, successive operazioni di drenaggio della liquidità non siano eseguite rivendendo i titoli originariamente acquistati per dar corso alla monetizzazione: quei titoli (almeno di fatto) sono indisponibili e tali vanno considerati. Dunque, eventuali operazioni di drenaggio andranno effettuate con altri strumenti (ritornerò su questo punto più oltre).
Per le ragioni sopra esposte, la monetizzazione dovrebbe indurre a considerare le statistiche sul debito pubblico al netto delle quote del debito monetizzato – un altro elemento importantissimo che viene comunemente trascurato da chi affronta il tema. In caso di monetizzazione, dovrebbe essere il debito pubblico netto (non quello lordo) a essere utilizzato come voce di riferimento del debito pubblico di un paese, tanto per le decisioni di politica fiscale quanto per la definizione di regole di bilancio nonché per le analisi di stabilità finanziaria. Una volta monetizzato, il debito semplicemente cessa di esistere e le valutazioni di sostenibilità del debito dovrebbero per questo ignorarlo, concentrandosi invece esclusivamente sugli obblighi finanziari effettivi del settore pubblico, vale a dire sulla parte di debito non monetizzato che lo stato dovrà effettivamente onorare.
Questa precisazione non si rinviene, per esempio, nella prolusione di recente tenuta sull’argomento da uno dei membri del Monetary Policy Committee della Banca d’Inghilterra (Vlieghe, 2020), poiché nel caso del finanziamento diretto dalla Banca d’Inghilterra al Tesoro del Regno Unito, attivabile da quest’ultimo in caso di necessità, si tratterebbe comunque di anticipazioni di liquidità al Tesoro che il Tesoro sarebbe tenuto a restituire successivamente alla Banca d’Inghilterra, laddove vi facesse ricorso[2].
Occorre tenere presente che la monetizzazione dei deficit fiscali può indebolire l’effetto disciplinante di un rigido vincolo di bilancio[3]. Tuttavia, i vantaggi della sua eventuale applicazione superano i relativi costi nel caso di gravi emergenze economiche (come quella che stiamo attraversando) e se le potenziali conseguenze inflazionistiche della monetizzazione sono al più remote (come è oggi nei fatti).
Monetizzazione impropriamente intesa
Per quanto ne sappia, nessuna grande banca centrale al mondo è attualmente impegnata in operazioni di monetizzazione dei deficit fiscali secondo le modalità sopra descritte. Le banche centrali in Europa, Giappone e Stati Uniti stanno intervenendo massicciamente sui mercati acquistando debito pubblico (e privato), ma nessuna ha adottato esplicitamente gli impegni prima richiamati. Verosimilmente, i mercati reputano che esse agiranno in modo responsabile in futuro, mantenendo in bilancio il debito acquistato, rinnovando quello che giunge man mano a scadenza e restituendo al governo gli interessi maturati sul debito acquistato; tuttavia, questa è tuttalpiù un’aspettativa dei mercati. Pertanto, secondo quanto discusso in precedenza, tali acquisti non costituiscono monetizzazione dei deficit fiscali stricto sensu e la loro capacità di ottenere effetti analoghi a quelli di una vera monetizzazione dipende dalla fiducia dei mercati riguardo al comportamento responsabile della banca centrale e al sottostante contesto di policy. In altri termini, se i mercati ritengono che la banca centrale rispetterà gli impegni ancorché impliciti, allora gli effetti degli acquisti di debito saranno equivalenti a quelli di una monetizzazione. Laddove, al contrario, le scelte e il comportamento futuro della banca centrale fossero oggetto di aspettative incerte, gli effetti sarebbero di assai minore portata.
Per comprendere ciò, prendiamo il caso dell’Eurozona e dell’Italia, il cui settore pubblico, già fortemente indebitato, si trova a dover affrontare spese enormi per evitare il collasso da Covid19. Lo stato italiano è destinato ad aumentare significativamente il proprio indebitamento, analogamente a molti altri paesi membri dell’area dell’euro. Come forma di assistenza per gestire l’emergenza, la Banca centrale europea (BCE) ha lanciato un nuovo programma di acquisti temporanei di attività del settore privato e pubblico. Poiché il programma mira a impedire che la speculazione finanziaria porti gli spread oltre i livelli di guardia, e quindi a contrastare i rischi che ne deriverebbero per il meccanismo di trasmissione della politica monetaria dell’area, si potrebbe concludere che la BCE stia (indirettamente) monetizzando le nuove emissioni di debito pubblico.
Tuttavia, non è così. A prescindere dai titoli del debito pubblico italiano che la BCE sta acquistando sul mercato secondario, il debito acquistato rimane nel calcolo del debito pubblico lordo dell’Italia e ci si aspetterebbe che l’Italia ne onorasse il rimborso allorché la BCE decidesse di rivenderlo sul mercato. Mentre è improbabile che la BCE lo faccia nell’immediato futuro, l’Italia sarà soggetta ai requisiti di aggiustamento fiscale previsti dalle norme dell’UE (fra i quali certamente quelli per ridurre il debito eccessivo) e che torneranno in vigore una volta che l’emergenza sarà finita.[4]
Inoltre, e questo è l’aspetto cruciale, tali requisiti saranno commisurati al debito pubblico lordo del paese debito, non a quello netto (come invece avverrebbe nel caso di vera monetizzazione). Pertanto, non vi è alcun vantaggio che l’Italia trarrà dall’intervento della BCE in termini di sollievo permanente del suo bilancio pubblico, che invece una monetizzazione assicurerebbe offrirebbe. Oltretutto, resta incerto sino quando e per quali ammontari aggiuntivi la BCE s’impegnerà a intervenire.
Infine, in assenza di monetizzazione dei deficit fiscali, le nuove emissioni di titoli di stato aumenteranno il già elevato debito pubblico lordo dell’Italia e il costo del suo servizio, ed esporranno l’economia ad attacchi speculativi che non sorgerebbero in caso di monetizzazione. Nella migliore delle ipotesi, pertanto, l’intervento della BCE conseguirà meno efficienti di quelli che la monetizzazione consentirebbe di conseguire, permettendo di mantenere invariato il livello dei debiti pubblici fino a che le economie nazionali non riprendano a crescere.
D’altra parte, non è ipotizzabile che la BCE voglia decidere di fare diversamente e intraprendere una vera azione di monetizzazione dei nuovi debiti (come sopra descritta): non lo consente il suo statuto e non lo accetterebbe la guida “teutonica” dell’istituto.
Monetizzazione: elementi da chiarire
Le interpretazioni erronee della monetizzazione generano messaggi confusi e implicazioni errate sul suo possibile utilizzo come strumento di policy. Ad esempio, considerando che la monetizzazione a tassi di interesse pari a zero si limiti semplicemente a sostituire un’attività a tasso di interesse zero (chiamato debito) con un’altra (chiamata denaro) e lasci invariate le dinamiche del debito pubblico – come recentemente hanno fatto Olivier Blanchard e Jean Pisany-Ferri (2020) – non tiene conto del fatto che, come prima discusso, la monetizzazione cambia la dinamica del debito ed è anzi intesa proprio a far ciò: monetizzazione del debito senza cambiamento del debito e della sua dinamica è un ossimoro…
Inoltre, un’interpretazione impropria della monetizzazione, peraltro erroneamente intesa come necessariamente implicante un regime di dominanza fiscale, porta gli stessi autori a un’analisi errata della sua eventuale implementazione nell’Eurozona. Supponiamo che gli stati membri emettano nuovo debito e che la BCE intervenga sul secondario, creando moneta. In questo caso, secondo gli autori, la monetizzazione redistribuirebbe il rischio tra i vari paesi dell’area sulla base della considerazione, dal punto di vista del bilancio consolidato che mette insieme tutti i titoli di debito pubblico acquistati dalla BCE per ogni paese e la BCE stessa, si determinerebbe un trasferimento di rischio dagli originali detentori di titoli emessi dai paesi ad alto debito verso gli azionisti della BCE (e cioè i governi nazionali che ne sono membri), senza variazioni per il debito totale detenuto dal pubblico.
In realtà, non è così. Il debito effettivamente monetizzato ridurrebbe il debito totale detenuto dal pubblico, per le ragioni discusse, creerebbe nuovo spazio fiscale che i governi potrebbero sfruttare senza modificare il loro debito totale, e non esporrebbe gli azionisti della BCE a nessun rischio aggiuntivo: una volta monetizzato, il debito cesserebbe di essere debito e pertanto non comporterebbe alcun rischio d’insolvenza per la BCE.
Riguardo all’illiquidità delle attività fittizie in bilancio, queste non costituirebbero un problema dal momento che non manca alla BCE di potersi avvalere di un vasto arsenale di strumenti utilizzabili per drenare liquidità in caso ciò si renda necessario, dai titoli liquidi in portafoglio (a esclusione di quelli corrispondenti al debito monetizzato), alla remunerazione delle riserve e agli obblighi di riserva, fino alla possibilità di emettere titoli propri.
Inoltre, i trasferimenti tra paesi generati dagli interessi pagati sui titoli acquistati dalla BCE e da restituire ai suoi azionisti (stati membri) dipenderebbero solo dal debito emesso da ciascun paese e monetizzato dalla BCE, non dal totale dei debiti pubblici nazionali in essere. Semmai, per ogni euro di debito monetizzato, i paesi con debito monetizzato che matura interessi più elevati (per esempio, l’Italia) genererebbero trasferimenti verso paesi con debito monetizzato che matura interessi inferiori (per esempio, Germania). Dunque, il trasferimento avverrebbe dai paesi meno ricchi a quelli più ricchi, ma sarebbe di entità trascurabile rispetto ai benefici che i primi otterrebbero dalla monetizzazione in una fase come questa.
Conclusione
Precisare cosa intendiamo quando parliamo di monetizzazione dei deficit fiscali è importante sia per ragioni di rigore e coerenza teorica sia, soprattutto, per trarre le giuste implicazioni sull’uso di uno strumento di politica macroeconomica così critico. Auspico che le modalità descritte in quest’articolo forniscano chiarimenti sufficienti riguardo a ciò che la monetizzazione dei deficit fiscali effettivamente rappresenta, identificandone le condizioni applicative necessarie e le conseguenti risultanze attese.
Una definizione precisa di monetizzazione è importante, ad esempio, per valutare le conseguenze di una sua applicazione all’Eurozona nella lotta al Covid19, non tanto perché sia realistico immaginare che essa possa essere effettuata, ma per comprendere correttamente la differenza fra i risultati ottenuti con gli strumenti di politica monetaria attualmente in uso presso la BCE e quelli che potrebbero ottenersi attraverso la monetizzazione dei debiti pubblici di nuova emissione. Come ho cercato sopra di mostrare, un’interpretazione erronea porta a implicazioni errate.
*Desidero ringraziare gli amici e colleghi Marco Cattaneo e Massimo Costa per i commenti fornitimi su una versione precedente di quest’articolo. Naturalmente, la responsabilità per le opinioni espresse e gli eventuali errori è esclusivamente mia.
Riferimenti Bibliografici
Andolfatto, D., e L. Li (2013), Is the Fed Monetizing Government Debt?, Federal Reserve Bank of St. Louis Economic Synopses, 2013, No. 5.
Archer, D., e P. Moser-Boehm (2013), Central bank finances, BIS Papers No 71, Bank for International Settelements, April.
Blanchard, O., e J. Pisani-Ferry, Monetisation do not panic, Vox, 10 April 2020.
Bossone, B. (2019), The portfolio theory of inflation and policy (in)effectiveness, Economics 13 (2019-33): 1–25.
Bossone, B. (2020), Global Finance and the effectiveness of macro-policies, World Economics, 21.1, June edition, forthcoming.
Bossone, B., e M. Costa (2018), Moneta bancaria: debito o rendita da signoraggio?, Economia e Politica, 15 febbraio.
Bossone, B., M. Costa, A. Cuccia, e G. Valenza (2018), Accounting Meets Economics: Towards an ‘Accounting View’ of Money, d/SEAS Working Paper No. 18-5, 22 ottobre.
Turner, A. (2013), Debt, Money, and Mephistopheles: How Do We Get Out of This Mess?, Group of Thirty, Occasional Paper No. 87, Washington, D.C, May.
Vlieghe, G. (2020), Monetary policy and the Bank of England’s balance sheet, speech given by Gertjan Vlieghe, External Member of the Monetary Policy Committee, Bank of England, 23 April.
[1] Riguardo all’impatto delle operazioni di politica monetaria sul capital delle banche centrali, si veda Archer e Moser-Boehm (2013). Circa il concetto stesso di capitale delle banche centrali in relazione alle caratteristiche della moneta da esse emessa, si vedano Bossone e Costa (2018) su questa rivista, e Bossone et al. (2018).
[2] La recentissima decisione della Banca d’Inghilterra di finanziare il Tesoro del Regno Unito (laddove la situazione sui mercati dovesse diventare difficile durante l’attuale fase pandemica) implica una forma d’indebitamento. Con la decisione in parola, infatti, il Tesoro acquisisce facoltà di scoperto sul proprio conto presso la Banca d’Inghilterra, così disponendo di anticipazioni di liquidità da attivare qualora se ne manifestasse la necessità. Successivamente, tuttavia, il Tesoro sarebbe obbligato a restituire le anticipazioni attivate.
[3] Rinvio il lettore interessato ai miei recenti lavori (Bossone 2019, 2020).
[4] Realfonzo (2020), su questa rivista, ha analizzato gli effetti della mancata esposizione della monetizzazione sul debito pubblico italiano.