Quella attuale è soprattutto una crisi deflattiva provocata dalla carenza di domanda: la politica europea ha costruito la “trappola della liquidità”. Il problema immediato è che il denaro non circola più e che le banche non fanno più credito alle famiglie e alle aziende. E che neppure lo stato può fare investimenti perché aumenterebbe il debito pubblico. Stiamo arrivando alla situazione in cui, come afferma il “monito degli economisti” apparso sul Financial Times “ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”. John Maynard Keynes ci ha insegnato che per uscire da una drammatica crisi deflattiva, come è l’attuale in Italia, occorre creare nuova domanda. Ma l’Unione Europea e l’euro alimentano austerità e deflazione: dunque occorre che lo stato italiano crei un nuovo tipo di moneta nazionale. Il governo di Matteo Renzi cerca, a parole, di rilanciare l’economia dando l’illusione che la nuova finanziaria sia espansiva: in realtà però è costretto a seguire i diktat della Commissione UE guidata da Jean-Claude Juncker (l’ex-premier del paradiso fiscale del Lussemburgo). Quindi taglia il welfare, riduce i costi del lavoro, aumenta la precarietà e aumenta le tasse. Renzi cerca più flessibilità; ma la sua politica è nei fatti strettamente subordinata alla rigida politica deflattiva imposta dalla UE. Senza denunciare i trattati della UE è infatti impossibile attuare politiche diverse da quelle dei precedenti governi Monti e Letta.
La BCE cerca in molti modi di dare ossigeno alla moribonda economia europea per salvare l’euro (e sé stessa): il problema è che dà i soldi alle banche. Ma le banche trattengono i denari per timore delle crisi aziendali e di non avere liquidità quando scoppierà la prossima (probabile) crisi finanziaria. Le banche restringono il credito e preferiscono investire nei più remunerativi titoli finanziari. L’economia quindi non riparte. Occorre allora che lo stato italiano prenda autonomamente l’iniziativa di creare nuova domanda e nuova moneta bypassando le banche. E’ necessario riprendere almeno un po’ di sovranità monetaria, anche per creare le condizioni di un nuovo controllo democratico sull’economia. Purtroppo però lo stato non può battere moneta corrente, dal momento che l’emissione di euro è, come noto, monopolio della BCE.
Per uscire dalla trappola della liquidità, Biagio Bossone, Luciano Gallino, Marco Cattaneo, e gli autori di questo articolo hanno lanciato un appello aperto Risolviamo la crisi dell’Italia: adesso! Uscire dalla depressione con l’emissione di “moneta statale” a circolazione interna. L’appello propone che lo stato italiano emetta gratuitamente a favore del lavoro e delle imprese un nuovo tipo di strumento monetario, i Certificati di Credito Fiscale (CCF), che lo Stato si impegna ad accettare per il pagamento delle tasse. Lo Stato creerebbe fino a 200 miliardi all’anno di CCF, una “quasi moneta” nazionale parallela all’euro. Lo schock monetario sarebbe molto forte e in grado di rilanciare l’economia. L’obiettivo è di aumentare la capacità di spesa senza però creare nuovo debito, rispettando i parametri (pur rigidi e assurdi) imposti dalla moneta unica, in attesa di potere riformare radicalmente il sistema monetario europeo senza più essere sottoposti al ricatto della crisi economica incombente.
In questo modo l’Italia potrebbe sfuggire ai rigidi vincoli imposti dalla UE e dall’euro. E’ ormai certo infatti che la gabbia dell’euro genera crisi: la moneta unica impedisce i riallineamenti competitivi (cioè le svalutazioni monetarie dei paesi deboli e le rivalutazioni di quelli forti) e quindi provoca crescenti squilibri commerciali e conseguenti debiti dei paesi deboli verso l’estero. Così i paesi creditori, come Germania, Olanda e Austria, dettano legge a quelli debitori, come Italia, Francia e Spagna. Per garantirsi il recupero dei crediti le nazioni creditrici impongono austerità, riduzioni drastiche del costo del lavoro, tagli del welfare e aumenti delle tasse. Le economie dei paesi meno competitivi entrano quindi nella spirale della deflazione e della crisi.
La nostra proposta contrasta l’austerità deflattiva ma resta dentro l’euro. Riteniamo infatti che un’uscita unilaterale dall’euro, propugnata da economisti come Alberto Bagnai e altri, sarebbe difficilmente praticabile e avrebbe esiti incerti, pericolosi e negativi. La rottura sarebbe molto problematica: centinaia di miliardi di euro sono infatti detenuti come valuta di riserva da paesi come Cina, Russia, India. L’uscita dall’euro provocherebbe traumi geopolitici dalle conseguenze imprevedibili; e comunque molti cittadini italiani sono contrari a uscire dall’eurozona perché vedrebbero svalutati i loro risparmi.
Le nostre proposte intendono presentare un’alternativa più praticabile per risollevare l’economia italiana e creare nuova occupazione. Con una logica analoga a quella dell’helicopter money (denaro gettato dall’elicottero), di cui insigni economisti discutono da decenni, i CCF dovrebbero essere emessi e distribuiti gratuitamente e direttamente dallo stato all’economia reale, cioè ai lavoratori (occupati, disoccupati e pensionati) e alle aziende, senza passare dal sistema bancario. Solo l’emissione massiccia – fino a 200 miliardi di euro all’anno – di CCF potrebbe rilanciare l’economia italiana che dall’inizio della crisi ha perso 11 punti di PIL e ha visto cadere la produzione industriale del 25%. Un disastro di proporzioni inaudite che a causa della folle politica europea rischia di prolungarsi all’infinito e di approfondirsi ulteriormente.
La nostra proposta è compatibile con i vincoli del sistema dell’euro, perché la BCE ha il monopolio sull’emissione di moneta ma non sulla creazione di quasi-moneta (come i Certificati di Credito Fiscale, i depositi bancari e i titoli di stato). Ogni stato sovrano ha il diritto di offrire legittimamente sconti fiscali, e quindi anche i CCF. E questi ultimi non costituiscono debito, cioè non devono essere pagati in euro dallo stato, perché rappresentano “solo” dei crediti fiscali.
Il nostro progetto prevede che lo Stato italiano emetta gratuitamente a favore dei lavoratori e delle imprese CCF ad utilizzo differito, cioè utilizzabili per pagare qualsiasi tipo di impegno finanziario verso la pubblica amministrazione (tasse, contributi, tariffe, multe, ecc) due anni dopo la loro emissione. I CCF sarebbero però immediatamente scambiati sul mercato finanziario analogamente a qualunque altro titolo emesso dallo Stato. Si creerebbe un mercato in cui, in cambio di euro, i lavoratori cederebbero (a sconto) i CCF alle aziende che hanno bisogno di crediti fiscali. I CCF potrebbero anche essere anche utilizzati come mezzi di pagamento nel mercato interno. La nuova moneta fiscale aumenterebbe immediatamente la capacità di spesa dei consumatori e delle aziende ma non genererebbe maggiore debito pubblico. Infatti il calo delle entrate pubbliche che si verificherebbe alla scadenza dei CCF – cioè due anni dopo la loro emissione – verrebbe compensato dall’aumento dei ricavi fiscali prodotto dal forte recupero del PIL, a sua volta generato dall’incremento di domanda dovuto all’utilizzo dei CCF. Ciò perché oggi le risorse produttive (capitale e lavoro) sono fortemente sottoutilizzate ed esistono quindi ampi margini di recupero del PIL senza che ci sia il rischio di fiammate inflazionistiche.
L’appello propone, in prima approssimazione, di assegnare gratuitamente a partire dal primo gennaio 2015 circa 70 miliardi di CCF ai lavoratori dipendenti e autonomi in proporzione inversa del loro livello di reddito; e circa 50 miliardi circa di CCF per finanziare un New Deal di opere pubbliche gestite in maniera decentrata a livello locale per gli interventi infrastrutturali, di prevenzione e riparazione dei danni ambientali, per l’occupazione giovanile e femminile, per assicurare forme di reddito garantito, per nuove iniziative di imprenditoria sociale, in particolare nel sud Italia, e per l’energia verde.
Altri 80 miliardi dovrebbero essere distribuiti alle aziende private per abbattere del 18% il costo del lavoro e recuperare il gap competitivo con la Germania. Grazie alla maggiore competitività, il prevedibile aumento delle importazioni legato alla ripresa della domanda interna sarebbe bilanciato dalla crescita delle esportazioni. Con la crescita del PIL, il deficit e il debito pubblico diventerebbero più facilmente sostenibili. Soprattutto aumenterebbe l’occupazione: l’aumento dell’occupazione avrebbe non solo un enorme significato sociale ma segnerebbe davvero l’uscita definitiva dalla crisi.