Il reddito di cittadinanza è stata la policy-bandiera per il MoVimento 5 Stelle sin dalla campagna elettorale per le elezioni politiche del 2018. Difatti la promessa di attuazione del reddito pare esser stata un elemento decisivo per l’affermazione di quel partito nelle urne. Dopo l’attuazione, i cosiddetti grillini hanno appena un anno dopo visto drammaticamente ridimensionarsi il loro elettorato. E’ ciò dovuto ad un malcontento per l’attuazione della politica? Era questa stata sopravvalutata sin dall’analisi dell’esito del 2018? Oppure le elezioni politiche e quelle europee non sono davvero comparabili? Questo articolo si propone di fare chiarezza sul fenomeno rispondendo a queste domande, proponendo un’analisi formale della correlazione tra voti e domande del reddito di cittadinanza per provincia.
Introduzione
Le ultime elezioni europee, svoltesi appena pochi giorni fa nel nostro Paese, hanno visto un radicale cambio nelle preferenze accordate dagli elettori ai principali partiti. In particolare, il grande sconfitto è il MoVimento 5 Stelle (d’ora in avanti M5S), primo partito alle elezioni politiche di appena un anno prima, e solo terzo partito alle europee, avendo perso circa sei milioni di voti.
Fig. 1 Voti alle politiche del 2018 per il M5S nelle diverse province italiane. Elaborazione da dati Ministero degli interni
Gran parte degli analisti hanno attribuito l’exploit elettorale del M5S di un anno fa alla promessa di implementare nel Paese il reddito di cittadinanza, una policy (apparentemente) nuova per il panorama italiano (Mandrone 2019). Parte dell’aneddotica ma anche le analisi post-elettorali scientifiche (Emanuele e Maggini 2018) hanno dipinto un nord affascinato dalla flat-tax promessa dalla Lega, ed un Sud incantato dalla promessa di reddito di cittadinanza. Le elezioni europee paiono tuttavia mettere in discussione questa narrazione. Nonostante la promessa elettorale del M5S sia stata mantenuta (con tutti i limiti e le critiche del caso date da un disegno rappresentato in maniera troppo rosea per la realtà), la policy di bandiera pre-elettorale vantata dalla Lega prima delle elezioni politiche del 2018 non è (ancora) stata implementata.
Fig. 2 Voti alle europee del 2019 per il M5S nelle diverse province italiane. Elaborazione da dati Ministero degli interni
Nemmeno la Lega ha davvero provato a rivendicare il timido regime forfettario implementato per parte delle partite IVA come flat-tax, tant’è che oggi rivendicano la necessità di fare questa riforma quanto prima. Ciò nonostante, proprio la metà del governo che parrebbe aver meno adempiuto a quanto promesso prima delle politiche del 2018, si è affermata nelle elezioni (la Lega ha guadagnato oltre tre milioni di voti). Viene dunque spontaneo chiedersi: quanto l’attuazione del reddito di cittadinanza abbia influito nei voti presi dal M5S alle ultime Europee? Potremmo infatti trovarci di fronte ad un elettorato deluso dopo aver effettivamente riscontrato la portata della politica attuata; oppure semplicemente le analisi potrebbero averne sopravvalutato l’effetto nel 2018; o ancora si potrebbe ipotizzare che alle Europee per qualche ragione il M5S sia strutturalmente meno competitivo che alle elezioni politiche.
In termini più formali, le tre ipotesi da testare nel resto della trattazione saranno:
- H1: Gran parte dell’elettorato che ha votato a favore del M5S nel 2018 ha girato le spalle a quel partito cambiando idea a seguito dell’attuazione del reddito di cittadinanza, perché deluso dall’implementazione della policy (e ciò spiega la perdita di voti);
- H2: Gli elettori del M5S alle politiche del 2018 non erano particolarmente interessati all’attuazione del reddito di cittadinanza, ed il successo elettorale in quelle elezioni va ricercato altrove;
- H3: Il M5S è strutturalmente svantaggiato a competere nelle elezioni europee.
Le Europee non piacciono a M5S?
Partiamo proprio da quest’ultima ipotesi stipulata. Motivi di debolezza strutturale del M5S alle competizioni elettorali europee potrebbero sostanzialmente essere ricondotti al minor peso d’un tipo di voto in quelle elezioni. La letteratura si è difatti da tempo assestata su di una tripartizione delle tipologie di voto prevalenti (Parisi e Pasquino 1977): ci sono voti d’appartenenza (il votante si identifica nel partito e lo voterà a prescindere), di scambio (il votante vota il partito in cambio di un ritorno, sia esso mero clientelismo o interesse verso una policy) o di opinione (il votante ritiene che quel partito sia la migliore opzione per quel livello di governo). Se per ovvie ragioni i voti d’appartenenza non si spostano di molto da elezione in elezione (ed a quanto pare sono sempre più rari in Italia, ma questo è un altro discorso), si potrebbe invece argomentare che il M5S, per la sua breve storia e per la sua particolare struttura (o assenza di) sia meno competitivo sul fronte del voto di scambio. Ovvero che, al crescere dell’importanza dei voti “comprati” in un’elezione, il M5S sia penalizzato. In quest’ottica, così come con la poca popolarità al grande pubblico dei suoi candidati, può spiegarsi l’usuale poco successo del M5S alle elezioni regionali. Tuttavia al tempo stesso ci viene facile smentire questa ipotesi con riferimento alle elezioni europee analizzando i contributi scientifici sul tema (per una revisione sistematica della letteratura, si rimanda a Marsh e Mikhaylov 2010). Un comune e ben stabilito risultato, infatti, suggerisce come le elezioni del Parlamento Europeo vedano gli elettori esprimere un voto più ideologico e meno strategico, e dunque, brutalizzando e semplificando nelle categorie espresse, più d’opinione e meno di scambio (Reif and Schmitt 1980). Ciò resta vero anche comparando queste elezioni con altre elezioni di secondo livello (Heath et al. 1999; Koepke and Ringe, 2006); in particolare si è anche proposto come le europee possano essere lette come votazioni punitive per il livello di governo nazionale (Hix e Marsh 2006), rendendo ancora più lecita ed interessante la nostra analisi comparativa tra politiche ed europee visto che è proprio quanto pare essere accaduto, essendo stato il voto alle europee apparentemente più un giudizio sul governo italiano in carica che sui migliori parlamentari da mandare a Strasburgo e Bruxelles.
Il reddito di cittadinanza ha pesato nel 2018?
Proseguendo nell’analisi, esclusa l’ipotesi H3, resta possibile che in realtà il gran successo del M5S nel 2018 non sia stato dovuto alla promessa del reddito di cittadinanza, ma ad altri fattori non ancora evidenziati dalla letteratura. Che insomma la narrativa che vuole l’affermazione del M5S al Sud e nelle regioni più povere d’Italia sia semplicistica, e che l’analisi abbia sovradimensionato l’importanza della promessa di creare una policy di reddito di cittadinanza per l’elettorato grillino. Analizzando le domande di reddito di cittadinanza presentate nelle diverse province italiane, ed i voti presi dal M5S nelle corrispondenti province alle elezioni politiche del 2018, questa ipotesi H2 sembra essere tuttavia facilmente smentibile. Difatti il coefficiente di correlazione tra i valori assoluti di domande di reddito di cittadinanza (nel 2019) ed i voti di lista alla camera nei collegi uninominali nelle diverse province per il M5S, risulta altissimo: 0.8378. Ciò significa che nelle province dove sono state presentate più domande di reddito di cittadinanza, il M5S ha preso più voti, con una corrispondenza pari ad oltre l’80%. Appare dunque difficile sostenere che la promessa di questa policy (che, ovviamente, nel 2018 non era ancora implementata e che addirittura non era molto chiaro come lo sarebbe stata) non abbia giocato un importante ruolo attrattivo in quell’elettorato. Ci si sente dunque anche di poter ribadire, come tra l’altro già fatto da diversi analisi (Biancalana e Colloca 2018) che la promessa del reddito di cittadinanza sia stata fondamentale per fare del M5S il primo partito alle elezioni del 2018.
M5S ha pagato la delusione nel 2019?
Non ci resta che dunque un’ultima ipotesi, H1, da testare. Il crollo del M5S alle elezioni europee del 2019, è attribuibile alla delusione dei beneficiari del reddito di cittadinanza, resisi conto di non avere tutti diritto a 780 euro al mese, ma di veder modulato questo contributo di disoccupato sulla base della propria situazione personale? In fondo diversa aneddotica ha mostrato come i delusi e disillusi da questa politica siano stati tanti: che si sia trasformata per il M5S in un cavallo di Troia, in un retrovirus che, invece di consolidare ulteriormente la loro espansione tra l’elettorato (il M5S ha guadagnato nel 2018 circa 2 milioni di voti rispetto le precedenti politiche) si è rivoltato contro quel partito facendogli perdere tantissimi consensi (circa 6 milioni di voti, come si diceva) nel 2019? Ancora una volta, si ritiene di poter smentire questa ipotesi. Difatti, analizzando (similmente a quanto fatto con le politiche del 2018) i voti assoluti ottenuti dal M5S nelle diverse province italiane, e le domande assolute di reddito di cittadinanza nelle stesse, otteniamo una correlazione di 0.9553.
Fig. 3 Correlazione tra voti e domande di reddito
Questo valore, davvero impressionante, suggerisce come in realtà a votare M5S nelle elezioni europee del 2019, siano stati proprio più di tutto i beneficiari della politica bandiera del movimento nella campagna elettorale per le politiche del 2019. Mentre difatti, come è osservabile dal grafico 3, nonostante la chiarissima correlazione, nelle politiche del 2018 ci sono alcune province che risultano outliers, e piuttosto lontane dalla retta che minimizza la somma delle distanze al quadrato (ci si riferisce a Milano, Torino, Palermo, Roma ed, in misura minore, Catania, Brescia e Caserta), nel 2019 la linea che riassume la nuvola dei punti è quasi perfettamente disegnata da quest’ultima.
Ci si sente dunque di poter sia confermare l’importanza per il successo del M5S nel 2018 della policy di reddito di cittadinanza, e sia, cosa forse più importante, ritenere che questa policy (stavolta attuata) sia stata un importante fattore nella scelta degli elettori che hanno votato M5S nelle europee del 2019.
Conclusioni
Vista tuttavia l’oggettiva débâcle che il partito ha esperito, resta da chiedersi a cosa ciò sia dovuta. Una possibile spiegazione (ma siamo ormai nel campo della speculazione non avendo dati di dettaglio affidabili in merito) è che ad un elettorato d’appartenenza (probabilmente altamente correlato con i disoccupati e dunque i destinatari del provvedimento in oggetto, come suggerito dall’alta correlazione tra voti per il M5S nel 2018 e domande di reddito di cittadinanza alle precedenti politiche) nel 2018 si è sommato una parte di voto di scambio (intesa non come voto clientelare ma come voto di elettori interessati alla specifica policy) ed una parte di voto d’opinione. Quest’ultima doveva essere una grossa fetta, ed è principalmente quella che è venuta a mancare al M5S nelle europee del 2019, a seguito di una delusione dovuta forse ai tanti smacchi subiti al governo. Ciò ha portato ad un crollo verticale che, tuttavia, come si diceva non pare essere imputabile ad un mancato gradimento della policy di reddito di cittadinanza da parte dell’elettorato.
*Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo – Consiglio Nazionale delle Ricerche
Riferimenti bibliografici
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