La discussione sviluppatasi in seguito alla pubblicazione del nostro precedente articolo “L’insostenibile rimborso del debito” ha fatto emergere un diverso modo di intendere il vincolo di riduzione del debito contenuto nell’articolo 4 del Fiscal Compact. Esso andrebbe conseguito nei termini di un ventesimo dello scostamento tra il peso del debito sul Pil dell’anno precedente e il parametro del 60%[1]. Ciò porta, naturalmente, ad un diverso percorso di rientro del debito, non essendo previsti obiettivi predeterminati da raggiungere in un prefissato arco temporale. Ne discenderebbe un panorama tranquillizzante per i risultati da realizzare da parte della finanza pubblica italiana?
Abbiamo replicato la nostra simulazione, modificando come sopra specificato il vincolo sul debito previsto dalla legge n. 114 del 23 luglio 2012 e imponendo che il saldo complessivo dei conti pubblici non possa scendere al di sotto di un deficit dello 0,5% del Pil per adeguarsi al vincolo sul deficit (le crescite ipotizzate risultano tutte superiori a quelle del Pil potenziale stimato dalla Commissione Europea). Infine, per far meglio comprendere il significato della simulazione, abbiamo ipotizzato tre scenari:
1. il primo, che riprende gli stessi parametri già utilizzati in precedenza (crescita reale del Pil dell’1,6%, inflazione 1,5% e tasso medio sul debito del 4%), lo abbiamo definito ottimista;
2. il secondo, che prevede una crescita reale del Pil all’1,25%, un incremento dei prezzi al consumo anch’esso all’1,25% e un servizio del debito pari al 4,5%, lo abbiamo definito intermedio;
3. il terzo, che abbiamo denominato tendenziale, si avvicina di più ad un panorama di stagnazione, con la crescita reale del Pil posta all’1%, il tasso di inflazione anch’esso all’1% e il costo medio del debito al 5%. Sono condizioni che estrapolano quelle che l’Italia sta sperimentando in questi ultimi anni[2] (escludiamo, comunque, la ricaduta in fasi recessive, così come non contempliamo l’avverarsi di un contesto deflattivo).
Va precisato che abbiamo imposto il pedissequo rispetto, in ogni anno, dei due criteri di valutazione dei vincoli sul debito e sul deficit, ignorando le metriche di giudizio previste dalla Commissione Europea durante il percorso di aggiustamento (backward looking, forward looking e relazione tra debito e Pil strutturale), poiché il nostro obiettivo è valutare la sostenibilità per l’economia italiana del trattato in questione su un orizzonte temporale ampio. Per il modello adottato, vale quanto abbiamo già specificato nel nostro precedente articolo[3].
I risultati dei tre scenari sono riassunti nella tabella che segue, dove AP sta per avanzo primario:
Nello scenario ottimista l’avanzo primario medio necessario scenderebbe al 3,5% (meno di quello da noi calcolato in precedenza: 4,5% del Pil). Come negli altri scenari, l’entità dell’avanzo primario (in termini di Pil) risulterebbe in progressiva discesa a partire dal massimo previsto per il 2017 (4,6% del Pil). Pertanto, se consideriamo che nel 2013 l’avanzo primario si è attestato al 2,2% del Pil, si capisce bene come occorrerebbe una manovra di rilevante entità (aumento della pressione fiscale, riduzione della spesa pubblica, o una combinazione delle due) per portarlo alle dimensioni richieste. In questo scenario, non si avrebbe mai un calo del valore assoluto del debito pubblico, il cui ridimensionamento sul Pil si conseguirebbe, oltreché in virtù dell’aumento dell’avanzo primario, grazie alla buona crescita reale dell’economia e alla soddisfacente dinamica dei prezzi. Alla fine del periodo di simulazione (2035), l’avanzo primario dovrebbe comunque ancora attestarsi al 2,6% del Pil, un livello più elevato di quello attuale.
Nello scenario intermedio l’avanzo primario medio richiesto è del 4,4%, molto simile a quello della nostra simulazione originale. In questo caso, l’entità dell’avanzo primario da conseguire nei primi anni sarebbe molto elevato (6% nel 2017, pari a 102,1 miliardi di euro). Siamo, con tutta probabilità, sulla soglia dell’ambito gestibile da un’ordinaria amministrazione dei conti pubblici. In condizioni di una crescita economica ridotta, il vincolo del debito si eserciterebbe su un periodo più esteso (dal 2017 al 2029) e, in ogni caso, alla fine del periodo, l’avanzo primario necessario si attesterebbe ancora al 3,3% del Pil.
Nello scenario tendenziale, si assiste ad un generale deterioramento del quadro. Gli avanzi primari da conseguire nei primi anni sarebbero pari o addirittura superiori al 7% del Pil. Nella media del periodo 2017 – 2035 sarebbe richiesto un saldo primario attivo non inferiore al 5,3% del Pil. Si tratta di condizioni in cui il controllo dei conti pubblici appare totalmente al di fuori della capacità gestionale in regime ordinario.
In conclusione, tornando allo spirito che ci aveva animato nella costruzione della prima simulazione, osserviamo che anche nello scenario ottimista sarebbe comunque richiesto uno sforzo non indifferente ad un sistema economico e sociale, come quello italiano, che sta subendo un processo di ridimensionamento della sua base produttiva in atto da almeno quattro anni[4]. Inoltre, il rapporto debito/Pil scenderebbe sotto il 60% solo nel 2047: nella migliore delle ipotesi ci aspetterebbero altri 30 anni di avanzi primari consistenti!
È opportuno, peraltro, ricordare che l’esistenza di un avanzo primario implica un prelievo fiscale sul sistema economico superiore al valore dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione (a maggior ragione laddove, come nei calcoli di questo modello, nel computo del saldo primario entrino anche gli investimenti pubblici, che sarebbe opportuno venissero finanziati attraverso l’indebitamento).
* Università di Bologna. ** Responsabile Ufficio Studi Unipol.