1. Introduzione
Negli anni successivi alla crisi finanziaria globale del 2008, molti Paesi avanzati hanno attuato politiche di consolidamento fiscale – anche definite politiche di austerità – al fine di ridurre i crescenti livelli di debito pubblico e promuovere la crescita economica. Tali politiche, basate su una riduzione di spesa pubblica o ad un aumento delle tasse, sono state implementate con l’obiettivo di stimolare l’attività economica attraverso una riduzione dell’onere del debito pubblico e dei tassi di interesse (Corsetti et al., 2013; Alesina et al., 2015). La teoria fondante di questa prospettiva si basa sull’idea che riduzioni significative e credibili del rapporto debito pubblico/PIL e quindi dei tassi di interesse a lungo termine portino ad effetti positivi sui livelli dell’attività economica privata (Ardagna, 2004). In questo contesto teorico, si ritiene che i valori dei moltiplicatori fiscali siano prossimi allo zero se non negativi, per cui le politiche di consolidamento fiscale produrrebbero effetti non keynesiani (Giavazzi e Pagano, 1990; 1995). Tuttavia, negli anni successivi alla realizzazione dei consolidamenti fiscali, la realtà divenne ben presto chiara in molti paesi avanzati: la crescita economica continuò a stagnare, il rapporto debito pubblico/PIL e il tasso di disoccupazione aumentarono drasticamente e i tassi di interesse si stabilizzarono solo dopo gli annunci delle banche centrali e la realizzazione di politiche monetarie non convenzionali.
Come conseguenza di tutto ciò, molti economisti e istituzioni internazionali hanno messo in dubbio i fondamenti delle politiche di consolidamento fiscale, dimostrando che i moltiplicatori erano stati sottostimati di 0.7–1.3 unità nel periodo 2010-2011 (Blanchard e Leight, 2014; Fatás e Summers, 2018; Gechert et al., 2019) e che le politiche di austerità hanno rappresentato un freno alla crescita economica, soprattutto durante le fasi recessive (Guajardo et al., 2014; Jordà e Taylor, 2016). Molti lavori hanno mostrato che i moltiplicatori fiscali della spesa pubblica si muovono in un intervallo tra 0.8 e 1.5 (Gechert, 2015; Ramey, 2016; 2019) e gli investimenti pubblici sono associati un effetto moltiplicativo maggiore dei consumi pubblici. Infatti, mentre le stime dei moltiplicatori degli investimenti pubblici si aggirano in un intervallo tra 1.3 e 2, quelle dei consumi pubblici si attestano tra 0.8 e 1.5 (Gechert e Rannenberg, 2018). Il valore dei moltiplicatori fiscali ha anche importanti implicazioni per la sostenibilità del debito pubblico. I valori positivi e prossimi all’unità dei moltiplicatori e gli effetti persistenti che le politiche di consolidamento fiscale possono produrre sul PIL hanno messo in discussione l’idea che politiche fiscali restrittive possano ridurre il rapporto debito pubblico/PIL (Fatás e Summers, 2018). Infatti, una riduzione della spesa pubblica genera una sostanziale ed ampia riduzione dell’attività economica e può portare ad un aumento del rapporto debito pubblico/PIL. A tal riguardo, alcuni contributi teorici hanno evidenziato quali sono le condizioni macroeconomiche in corrispondenza delle quali le variazioni della spesa pubblica portano ad un aumento o ad una diminuzione del rapporto debito pubblico/PIL (𝐷/Y). Tali condizioni, nella loro forma più semplice, dipendono da due fattori principali: (i) il valore del moltiplicatore; (ii) il valore iniziale del rapporto debito pubblico/PIL. Secondo questi contributi teorici, per consentire al rapporto debito pubblico/PIL (𝐷/Y) di ridursi a seguito di una politica di consolidamento fiscale, la condizione che deve essere soddisfatta può essere riassunta come segue: 𝑌/𝐷 > 𝑚, dove 𝑚 è il moltiplicatore fiscale e 𝑌/𝐷 è l’inverso del debito pubblico/PIL (Ciccone, 2013; Leão, 2013; Di Bucchianico, 2019; Ciaffi et al., 2019).[1] Contrariamente, fintanto che l’inverso del rapporto debito pubblico/PIL (𝑌/𝐷) è minore del valore del moltiplicatore (𝑚), una politica di consolidamento fiscale basata su tagli della spesa conduce ad aumento del rapporto debito pubblico/PIL. Ne consegue che per i paesi che sperimentano un elevato rapporto debito pubblico/PIL (ossia, dove l’inverso del rapporto debito pubblico/PIL è basso), è più probabile che una politica fiscale restrittiva metta a rischio la sostenibilità del debito pubblico, anche per valori molto bassi del moltiplicatore. In altre parole, quando i paesi sperimentano livelli di debito/PIL elevati, è più probabile che politiche fiscali espansive riducano il rapporto debito pubblico/PIL, dal momento che il moltiplicatore richiesto per soddisfare la condizione è più basso. Dal punto di vista empirico, recenti contributi hanno dimostrato che politiche fiscali espansive sono in grado di favorire la sostenibilità fiscale, soprattutto nei periodi caratterizzati da una debole crescita economica (Abiad et al., 2016; Auerbach e Gorodnichenko, 2017). Tuttavia, la letteratura, quando valuta gli effetti delle diverse componenti di spesa pubblica, sostiene che un aumento degli investimenti pubblici porta ad una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL (FMI, 2014; Abiad et al., 2016), mentre un incremento dei consumi pubblici ne determina un aumento (Petrović et al., 2021).
Basandoci su queste premesse, il presente lavoro si propone di quantificare l’impatto della spesa pubblica totale e delle sue componenti (consumi e investimenti pubblici) sul PIL e rapporto debito pubblico/PIL. A tale fine, si applica un modello econometrico basato sul Local-Projection ad un dataset composto da 14 paesi OCSE osservati per il periodo 1981-2017. Tale metodologia prevede l’identificazione di shock esogeni di politica fiscale. Il presente lavoro si propone di utilizzare due dei principali metodi presenti in letteratura per ottenere gli shock fiscali: la strategia basata sull’identificazione sviluppata da Blanchard e Perotti (Blanchard e Perotti, 2002) e l’approccio narrativo che usa gli episodi di consolidamento fiscale forniti da Devries et al. (2011) e Alesina et al. (2015). I risultati della nostra analisi mostrano che: (i) i moltiplicatori fiscali della spesa pubblica totale sono positivi e intorno all’unità; (ii) i moltiplicatori degli investimenti pubblici sono superiori a quelli dei consumi; (iii) tutti gli stimoli fiscali volti ad aumentare la spesa pubblica conducono ad una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL; (iv) gli investimenti pubblici sono più efficaci dei consumi nel ridurre il rapporto debito/PIL.
2. Dati e Metodologia
Per valutare l’effetto delle diverse componenti della spesa pubblica sul PIL e la dinamica del rapporto debito pubblico/PIL, utilizziamo i dati annuali forniti dalle banche dati dell’OCSE e del FMI (L’Economic Outlook, i National Accounts e il World Economic Outlook)per il periodo 1981-2017, considerando un campione di 14 Paesi OCSE.[2] Nello specifico, usiamo le seguenti variabili: il PIL (Y), la spesa pubblica per consumi e investimenti, sia congiuntamente che considerando le singole componenti separatamente (G,G_I , e G_C), il tasso di interesse a breve termine (i) e il rapporto debito pubblico/PIL (D/Y). Le variabili considerate sono state deflazionate in modo da esprimerle in termini reali e sono state convertite in dollari alla parità di potere di acquisto (PPP) per rendere i dati confrontabili tra i diversi paesi.
In linea con la letteratura che si occupa di politica fiscale, si è utilizzata la metodologia del Local-Projection (LP) (Jordà, 2005; Auerbach e Gorodnichenko, 2017; Deleidi et al. 2020; 2023) che consente di analizzare gli effetti di uno shock esogeno sulle variabili di interesse in modo dinamico, ossia per i periodi successivi alla realizzazione dello shock.[3] Nello specifico, il metodo del Local-Projection stima singole regressioni in cui si analizza l’effetto di uno shock esogeno sulle variabili di interesse dal tempo t fino a t+h. Formalmente, nel caso di una struttura panel, la stima è ottenuta tramite la seguente equazione (1):
In questo lavoro, gli shock fiscali utilizzati nell’equazione (1) sono calcolati con due metodi diversi: (i) la strategia standard di Blanchard e Perotti (BP) (Modello BP); e (ii) l’approccio narrativo basato su episodi di consolidamento fiscale (FC) (Modello FC). La prima strategia di identificazione si fonda sul lavoro di Blanchard e Perotti (2002) che considera la spesa pubblica non dipendente dal PIL (Y) e dal tasso di interesse (i) nella relazione contemporanea. Quando guardiamo alle componenti di spesa pubblica, gli investimenti pubblici sono considerati più esogeni rispetto alla spesa per consumi, poiché sono influenzati da decisioni strategiche che di solito si basano su obiettivi politici, nonché da decisioni burocratiche e istituzionali fondate su studi di fattibilità che richiedono molto tempo per essere attuate e realizzate (Perotti, 2004; Deleidi et al., 2023). La seconda identificazione usata in questo lavoro si basa sull’approccio narrativo che utilizza gli episodi di consolidamento fiscale motivati dalla volontà di ridurre il deficit pubblico e garantire la sostenibilità fiscale a lungo termine. Nello specifico, poiché gli shock fiscali devono essere sia esogeni che non anticipati (Auerbach e Gorodnichenko, 2017; Ramey e Zubairy, 2018), abbiamo utilizzato la componente inattesa del consolidamento fiscale, ossia quella annunciata al momento della sua attuazione.[5]
Una volta identificati gli shock fiscali, questi vengono inseriti nell’equazione del Local-Projection al fine di ottenere la stima delle IRFs e dei moltiplicatori. L’analisi econometrica è stata condotta stimando l’effetto della spesa pubblica totale (G), dei consumi e degli investimenti pubblici (G_I e G_C) sul livello del PIL (Y) e sul rapporto debito pubblico/PIL (D/Y).
3. Risultati
Come si nota nelle IRFs riportate nelle figure 1 e 2, incrementi delle componenti della spesa pubblica generano effetti positivi e persistenti sul PIL, come testimoniano i valori positivi e significativi delle IRFs anche cinque anni dopo la realizzazione dello shock fiscale. Inoltre, dalle figure 1 e 2, si osserva che politiche fiscali espansive determinano una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL, sia quando si considera la spesa pubblica totale, sia quando gli investimenti pubblici e i consumi pubblici sono considerati separatamente. La tabella 1 riporta i valori dei moltiplicatori cumulati (Ramey e Zubairy, 2018) che indicano l’incremento del PIL generato da 1$ aggiuntivo di spesa pubblica. La tabella 2 mostra gli effetti cumulati sul rapporto debito pubblico/PIL (D7Y) generati da un aumento della spesa pubblica totale (G) e delle sue componenti (G_I e G_C).
Figura 1. Funzioni di risposta ad impulso di G, G_I, G_C su Y e D/Y. Identificazione BP. Le aree ombreggiate rappresentano gli intervalli di confidenza al 68% e al 95%.
Figura 2. Funzioni di risposta ad impulso di G, G_I, G_C su Y e D/Y. Identificazione FC. Le aree ombreggiate rappresentano gli intervalli di confidenza al 68% e al 95%.
Tabella 1. Moltiplicatori cumulati e medi della spesa pubblica. Risposta del PIL (Y) a shock di spesa pubblica totale (G), investimenti e consumi pubblici (G_I, G_C). Le stime significative (68%) sono riportate in grassetto.
Tabella 2. Coefficienti cumulati e medi della spesa pubblica. Risposta del rapporto debito pubblico/PIL (D/Y) a shock di spesa pubblica totale (G), investimenti e consumi pubblici (G_I e G_C). Le stime significative (68%) sono riportate in grassetto.
Dai risultati dell’analisi emerge che i moltiplicatori associati alla spesa pubblica totale sono vicini all’unità, oscillando, in media, tra 0.86 e 0.99. Inoltre, i nostri risultati confermano la rilevanza della composizione della politica fiscale poiché gli investimenti pubblici stimolano il PIL in modo più efficace dei consumi pubblici. Infatti, mentre i moltiplicatori medi degli investimenti pubblici variano tra 1.5 e 2.25, i moltiplicatori medi dei consumi pubblici sono compresi tra 0.86 e 1.86.
Guardando invece alla sostenibilità del debito pubblico, l’analisi mostra che un aumento della spesa pubblica comporta una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. Nel valutare la composizione di un piano fiscale, i nostri risultati confermano l’idea che gli investimenti pubblici sono più efficaci nel ridurre il debito pubblico rispetto alla spesa per consumi (Abiad et al., 2016; Petrović et al., 2021). Tuttavia, contrariamente alla letteratura esistente che considera gli investimenti pubblici come l’unico strumento in grado di promuovere la sostenibilità del debito pubblico, anche un aumento dei consumi pubblici può ridurre il rapporto debito pubblico/PIL. Come mostrato in tabella 2, un incremento della spesa pubblica pari all’1% del PIL determina una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL compresa, in media, tra 1.38 e 4.78 punti percentuali. Se si guarda invece alla composizione della spesa pubblica, l’incremento dell’1% rispetto al PIL degli investimenti pubblici determina una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL tra 2.88 e 10.88 punti percentuali, mentre l’impatto dei consumi pubblici risulta essere più limitato e compreso tra 0.96 e 8.15 punti percentuali. Tali risultati devono essere interpretati alla luce delle stime dei moltiplicatori fiscali riportate nella tabella 1. Infatti, a seguito di politiche fiscali espansive, più alto è il valore dei moltiplicatori, più forte è la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL in quanto il denominatore del rapporto debito/PIL cresce maggiormente. Poiché i moltiplicatori degli investimenti pubblici sono più alti di quelli della spesa per consumi, gli investimenti pubblici producono una riduzione del rapporto debito pubblico/PIL maggiore rispetto ai consumi. Pertanto, i nostri risultati suggeriscono che i consolidamenti fiscali, generando un calo sostanziale dell’attività economica, portano ad un aumento del rapporto debito pubblico/PIL. Al contrario, politiche fiscali espansive sono in grado di generare effetti positivi sui livelli di attività economica e promuovere la sostenibilità del debito pubblico.
4. Conclusioni
Le recenti crisi che hanno colpito molti paesi avanzati hanno comportato l’attuazione di diverse politiche fiscali per facilitare la ripresa economica e cercare di ridurre gli elevati debiti pubblici. Mentre dopo la crisi finanziaria globale e quella dei debiti sovrani dell’UE in molti paesi sono state attuate politiche di consolidamento fiscale, dopo la crisi del Covid-19 molte economie avanzate hanno implementato politiche fiscali espansive. Ad esempio, l’amministrazione degli Stati Uniti ha varato nel 2021 un piano fiscale di circa 5.2 triliardi di dollari (Romer, 2021). L’Europa ha stanziato un piano fiscale di circa 1.8 triliardi di euro per il periodo 2021-2027, di cui 800 miliardi di investimenti tramite il Next Generation EU. Durante la crisi finanziaria globale e quella del debito sovrano dell’UE, i sostenitori delle politiche di austerità hanno ipotizzato che i moltiplicatori fiscali fossero ben al di sotto dell’unità e che tali politiche avrebbero causato effetti non keynesiani. Tuttavia, dopo alcuni anni di lenta crescita economica e di peggioramento degli indicatori relativi alla finanza pubblica, molti economisti e istituzioni internazionali hanno iniziato a mettere in dubbio l’efficacia delle politiche di austerità (Blanchard e Leight, 2014; Fatás e Summers, 2018; Fatás, 2019). Diversi lavori hanno infatti mostrato che i moltiplicatori fiscali erano maggiori di quanto era stato ipotizzato dai sostenitori delle politiche di austerità e che le politiche di consolidamento fiscale hanno condotto ad un aumento del rapporto debito pubblico/PIL. Basandoci su questa letteratura, il presente lavoro ha voluto analizzare gli effetti che un aumento della spesa pubblica totale e delle sue componenti può produrre sul PIL e sul rapporto debito pubblico/PIL.
I nostri risultati supportano l’idea che le politiche fiscali espansive producono effetti keynesiani, generando un impatto positivo sul PIL e sulla sostenibilità del debito pubblico. I moltiplicatori fiscali associati alla spesa pubblica totale sono vicini all’unità. Quando si considera la composizione dei piani fiscali, gli investimenti pubblici presentano un moltiplicato maggiore rispetto ai consumi pubblici. Ad ogni modo, è rilevante sottolineare che l’effetto dei consumi pubblici non dovrebbe essere trascurato dal momento che produce effetti persistenti sul PIL, con un moltiplicatore prossimo all’unità. Quando invece valutiamo la capacità delle politiche fiscali espansive di promuovere la sostenibilità del debito, i nostri risultati mostrano che tutti gli aumenti delle diverse componenti di spesa sono in grado di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL e che gli investimenti pubblici sono lo strumento più efficace.
In conclusione, i nostri risultati suggeriscono che i governi dovrebbero attuare politiche fiscali espansive per promuovere sia la ripresa economica che la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. Tali implicazioni appaiono ancora più rilevanti alla luce della discussione sulla riforma delle regole fiscali comunitarie portata avanti dalla Commissione Europea (EC, 2023). A tal proposito, al fine di ridurre il rapporto debito pubblico/PIL, i recenti orientamenti della Commissione suggeriscono agli stati membri caratterizzati da elevati e moderati livelli di debito pubblico di implementare politiche di consolidamento fiscale volte a limitare la spesa pubblica corrente finanziata a livello nazionale. Se questi orientamenti fossero applicati, la riduzione di spesa pubblica che ne conseguirebbe produrrebbe effetti controproducenti sulla crescita economica e sulla sostenibilità delle finanze pubbliche soprattutto nei paesi che presentano alti rapporti debito pubblico/PIL come l’Italia.
Bibliografia
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[1] Per un’analisi matematica di questa condizione, si veda Ciccone (2013) e Di Bucchianico (2019). Per semplicità, rispetto ai loro studi, assumiamo l’aliquota fiscale pari a zero.
[2] Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.
[3] Diversi sono i contributi che sottolineano i vantaggi derivanti dall’utilizzare tale metodologia rispetto ai modelli VAR strutturali (SVAR). Per un’analisi approfondita di questi vantaggi, si veda Jordà (2005) e Auerbach e Gorodnichenko (2017). Per un confronto tra la metodologia LP e SVAR si veda, Brugnolini (2018) e Plagborg‐Møller e Wolf (2021).
[4] Quando utilizziamo gli shock del consolidamento fiscale (), includiamo anche un ritardo di per controllare la correlazione seriale (Auerbach e Gorodnichenko, 2017; Ramey e Zubairy, 2018).
[5] Per la descrizione del dataset sui consolidamenti fiscali, si veda Devries et al. (2011) e Alesina et al. (2015).Activity, 89-110.