Cosa sappiamo dell’attrattività territoriale dell’Italia? Quali conoscenze abbiamo dell’attrattività delle diverse aree del paese in quanto possibili localizzazioni di investimenti produttivi?
Che l’Italia sia un paese scarsamente attrattivo per gli investimenti è un fatto ormai ben noto, e acquisito. I dati sugli investimenti diretti esteri (IDE)[1], come anche i risultati di studi periodici sulla percezione del Sistema-Italia da parte della business community nazionale ed internazionale[2], sono abbastanza chiari e inequivocabili. Non a caso il decreto “Destinazione Italia”, approvato dal governo nel febbraio scorso, nasceva proprio con l’obiettivo di aggredire questa grave criticità del paese. Meno noto, tuttavia, e meno studiato, è il punto di vista delle imprese in merito all’attrattività territoriale del paese. L’immagine di regioni, province, macro-regioni (Nord, Centro, Sud), aree metropolitane, città, isole, ed altre aree e territori, è scarsamente studiato in Italia, se non modo occasionale e/o limitato a singole realtà territoriali.
Una ricerca realizzata recentemente sull’attrattività percepita di regioni e province ha consentito di ottenere diversi risultati rilevanti[3]. Innanzitutto, l’indagine conferma che il divario Nord-Sud, che emerge per tanti temi economici e sociali, esiste anche in quanto ad attrattività percepita (si vedano Fig. 1 e 2). Il Mezzogiorno risulta mediamente meno attrattivo del Centro e del Nord.
Al divario Nord-Sud si unisce una lettura territoriale del risultato meno consueta per il nostro paese, o meglio per la nostra geografia economica: la dicotomia centro-periferia (più consueta invece per i paesi dalla struttura urbane e territoriale molto polarizzata, come la Francia o la Gran Bretagna[4]). Guardando infatti alle valutazioni date a regioni e province del Centro e del Nord, si vede chiaramente come esista un core privilegiato dagli imprenditori per la localizzazione d i investimenti che è dato da tre regioni, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto. All’interno di questa grande area, poi spicca la valutazione positiva data all’area di Milano. Vengono conseguentemente valutate meno attrattive regioni del nord di fatto tutt’altro che poco sviluppate come il Friuli, la val ‘d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, accomunate dal fatto di essere piccole, periferiche (nell’ambito del territorio italiano!) e dalla geografia fisica caratterizzata dalla prevalenza di aree interne e montane.
Nel quadro di una chiave di lettura centro-periferia, il Mezzogiorno appare evidentemente ancor più marginalizzato e penalizzato nelle mappe mentali degli imprenditori, essendo appunto estremamente periferico, ovvero lontano dai centri economici del paese. Né le valutazioni degli imprenditori “vedono” le differenze interne al Mezzogiorno, se non per il voto sensibilmente superiore dato alla Puglia, e a regioni e province meridionali della fascia adriatica. Il Centro, infine, in questa logica, si pone a un livello intermedio, “spaccandosi“ tra le regioni “più settentrionali”, e a più forte vocazione manifatturiera (Toscana e Marche), che ottengono un voto superiore a 3, e le altre che ricevono invece una valutazione inferiore (il Lazio, nonostante la presenza della capitale, e l’Umbria).
Come si spiegano questi pattern territoriali dell’attrattività percepita del paese? Gli imprenditori intervistati hanno messo l’accento su tre fattori esplicativi: la questione dell’accessibilità, il tema delle economie di agglomerazione, e la criminalità (si vedano Fig. 3 e 4). Sono evidentemente temi che esaltano il ruolo delle aree del paese che non solo godono di una collocazione geografica più felice (almeno nel contesto continentale europeo), ma che sono decisamente più addensate dal punto di vista delle attività industriali e terziarie, e più e meglio infrastrutturate. Ed anche meno attaccate dalla “malapianta“ della criminalità organizzata. Meno rilevante risulta invece il ruolo da loro attribuito ad altri fattori, quali la burocrazia e l’ (in)efficienza della Pubblica Amministrazione (forse perché percepito come un fardello che agisce in modo indistinto sul territorio?), il capitale umano, la qualità della vita.
Le conseguenze di policy di questi dati vanno da sè. Si ribadisce innanzitutto la necessità di non considerare l’attrattività dell’Italia come territorialmente indifferenziata, ma di distinguere e ragionare sull’attrattività di ciascun territorio. Per cui, se è vero che c’è un problema generale di attrattività del Sistema-paese (legato a macro-fattori ben noti, come buorcrazia, inefficienza della Pubblica Amministrazione, lentezza della giustizia civile, ecc.), è anche vero che ogni territorio ha delle sue peculiarità in fatto di attrattività che vanno studiate, interpretate, aggredendo quindi in modo mirato i problemi di attrattività di ciascuno di essi.
Da qui l’indicazione che ciascuna area investa sulla definizione e sul potenziamento del proprio “modello” di attrattività e delle relative policy, facendo particolare riferimento alle proprie specializzazioni settoriali e funzionali. Esempi interessanti in questa logica vengono dalla Toscana e dalla Lombardia, con diversi casi di attrazione d’investimenti nelle funzioni di Ricerca e Sviluppo, dalla provinca di Piacenza, nell’attrazione di unità specializzate nella logistica, dalla Puglia, nel campo della meccatronica e delle rinnovabili.
E da qui viene il bisogno di rafforzare la governance, alle varie scale territoriali, delle politiche per l’attrattività. Che non significa frammentazione, e lasciare che ciascun territorio si muova in modo indipendente, come sciaguratamente accaduto nel caso delle politiche per il sostegno all’export (la moltiplicazione delle “antenne” regionali e locali in varie parti del mondo è un caso a riguardo emblematico), ma che significa agire in modo coordinato facendo valere le specificità locali, come accade per esempio in Francia. La recente creazione delle città metropolitane può essere in questo senso un’opportunità per potenziare l’azione di policy e la visibilità di determinate aree chiave del paese.
E, last but not least, queste evidenze chiamano in causa con forza le politiche di contesto. In particolare, le politiche per il potenziamento di infastrutture e servizi di trasporto, soprattutto per quelle aree che scontano localizzazioni geografiche penalizzanti, sia a scala macro-territoriale (Mezzogiorno e Isole) che micro-territoriale (per esempio, aree interne). Insieme evidentemente alle politiche per la sicurezza e la legalità in vaste aree del paese, per lo più del Mezzogiorno, per le quali implicitamente si invoca continuità ed efficacia.
*CERTeT (Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo) – Università Bocconi