Il declassamento del rating dell’Italia da parte di Standard & Poor è solo l’ultima mossa di quegli ambienti finanziari anglo-sassoni che cercano da mesi di scaricare i costi della crisi globale del capitalismo sugli anelli più deboli della catena.
Il vero obiettivo di questi ripetuti attacchi speculativi non è tanto il fallimento di uno o più Stati (semi)sovrani che resta peraltro un esito possibile, quanto l’abbassamento del prezzo di quei pezzi di patrimonio pubblico europeo che stanno per essere svenduti in Grecia, e che potrebbero esserlo in Italia. Se si riesce a convincere “i mercati” che uno Stato (semi)sovrano non è più in grado di ripagare i propri debiti attraverso la crescita del reddito, non resta che sperare di mettere le mani sulla parte più appetibile del patrimonio, ma per far ciò occorre prima svalutarlo il più possibile, in modo da spuntare un prezzo da saldi di fine stagione. Un’eco di tali preoccupazioni sembra aver guidato le parole del segretario generale con delega alle privatizzazioni del Ministero delle finanze greco il quale, annunciando per i prossimi giorni la firma di tre accordi tra cui la vendita al settore privato dell’aeroporto di Atene, ha aggiunto che non è possibile vendere ai prezzi del 2008 quando l’economia greca si trova nelle condizioni in cui è.
Dal canto suo, l’Unione europea sta facendo tutto quello che è umanamente possibile fare per favorire un esito del genere. A partire dalla primavera scorsa, in un susseguirsi convulso di eventi, prima la Commissione e il Consiglio hanno imposto la decisione di rendere molto più stringenti i vincoli ai bilanci degli Stati, poi la Banca centrale europea ha deciso unilateralmente che il peggio della crisi era passato, dunque si potevano aumentare i tassi di interesse; infine hanno deciso di comune accordo di istituire un fondo di salvataggio troppo esiguo per poter sostenere gli attacchi speculativi a paesi del calibro di Spagna e Italia, ma abbastanza cospicuo da attirare i pescecani della finanza che hanno azzannato alla gola la Grecia.
In realtà, se solo volesse, la Banca centrale europea potrebbe resistere da sola e senza problemi a qualunque attacco speculativo anche contro il terzo debito pubblico più alto del mondo come è quello italiano. Basterebbe, come in parte sta facendo, acquistare i titoli eventualmente venduti dagli speculatori e il prezzo di tali titoli si manterrebbe sufficientemente alto da non far diventare insostenibile il sentiero della spesa per interessi. D’altra parte, per quale altra ragione sarebbe valsa la pena per un paese rinunciare alla propria sovranità monetaria se non per godere del vantaggio di una Banca centrale più forte, ricca e indipendente degli istituti monetari nazionali? Annunci dunque pubblicamente la BCE che non tollererà attacchi speculativi alle obbligazioni dei paesi membri dell’Unione e contemporaneamente abbassi i tassi di interesse.
Con uno scenario finanziario meno volatile, i paesi membri dell’Unione potranno non solo rilassare, ma invertire di segno quelle politiche fiscali recessive che, come sta già accadendo in Grecia, sortiscono l’unico effetto di rendere più lunga e pesante la depressione economica in corso. Secondo la Banca d’Italia[1] alla fine del 2009 la ricchezza netta delle famiglie italiane, cioè la somma di attività reali (abitazioni, terreni ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.) è stimabile in circa 8.600 miliardi di euro (pag. 7); nello stesso studio si sottolinea come la distribuzione di tale ricchezza sia caratterizzata da un elevato grado di concentrazione[2] con la metà più povera delle famiglie italiane che a fine 2008 deteneva il 10% della ricchezza totale, mentre il 10% più ricco deteneva quasi il 45% della ricchezza complessiva (pag. 9). A fronte di un tale livello di diseguaglianza, una imposta – poniamo – del 10% sui patrimoni della frazione più ricca delle famiglie italiane consentirebbe di ricavare circa 400 miliardi di euro con evidenti effetti redistributivi. Con il livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive, sarebbe possibile far utilizzare tecnologie di alto livello ad alcune migliaia di lavoratori, particolarmente giovani precari, da impegnare in uno straordinario programma di risanamento ambientale, cominciando col mettere in sicurezza i fiumi e i boschi di questo bel paese disastrato (anche) dal punto di vista ambientale. Così ci meriteremmo la serie A, quella vera.
*Università di Teramo.